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Altro che "bamboccioni" o "choosy", i ragazzi della generazione Z non vogliono rassegnarsi a ingrossare le file dei cosiddetti NEET, quei giovani che non studiano e non lavorano. Dalla ricerca "Dopo il diploma" condotta da Skuola.net su un campione di 3 mila alunni delle scuole superiori, in occasione della ELIS Open Week, emerge infatti la voglia di mettersi alla prova sin dai banchi di scuola. Pur essendo impegnati nella principale occupazione di studenti, infatti, quasi la metà (45%) dei ragazzi sta già facendo delle “prove tecniche di lavoro”, per crearsi un piccolo salvadanaio o togliersi qualche sfizio: il 26% lo fa nei periodi di pausa dalla didattica (vacanze estive, natalizie, ecc.), il 19% anche durante i mesi di scuola.
Certo, in sei casi su sette si tratta dei classici “lavoretti” (cameriere, baby-sitter, fattorino, ecc.). Ma è significativo che uno su sette guadagni puntando su lavori “digitali”, ovvero quelli che sfruttano il web e le nuove tecnologie informatiche. I più diffusi? In rigoroso ordine di preferenze riguardano ambiti come l’e-commerce, lo sviluppo e la gestione di app e servizi online, la gestione di pagine social, il fintech (acquisto/vendita di criptovalute, trading online), l'influencer marketing, il gaming e l’informazione online. Non è raro, quindi, imbattersi in adolescenti che acquistano prodotti griffati da rivendere online oppure in social media manager in erba o in gamer che coltivano account di gioco ricchi di punti esperienza e potenziamenti per poi venderli. Per non parlare dei visibili e molto ambiti influencer sulle varie piattaforme di social media e streaming.
Anche la complicata relazione tra formazione e mondo del lavoro sembra stia iniziando a cambiare, a oltre un anno dall’insediamento del Governo Draghi, che ha puntato molto sul rilancio della filiera di istruzione secondaria tecnico-professionale e sulla creazione di percorsi post diploma professionalizzanti, come gli ITS. Circa uno su cinque, subito dopo il diploma, punta proprio ad avere presto un’occupazione: l’8% immettendosi direttamente nel mercato del lavoro, il 10% seguendo un corso - ITS o similare - che gli permetta di specializzarsi ma accorciando il tragitto che porta dai banchi di scuola al lavoro. E, tra quanti hanno invece in programma di andare all'università, una quota simile - il 19%, che tra i maschi sale fino al 26% - cambierebbe idea se venisse a conoscenza di un percorso alternativo capace di garantire ampie possibilità di collocamento e opportunità di carriera. Non mancano poi quelli (il 7%) che sarebbero interessati ad entrare nelle forze armate o di polizia.
Di contro, complice forse anche l’incertezza in cui stiamo vivendo negli ultimi tempi, l’obiettivo laurea sembra registrare un calo di appeal. È vero che rimane la strada maestra per la metà degli studenti delle superiori, ma la flessione è sensibile: rispetto alla stessa indagine, svolta lo scorso anno, ben l’11% di studenti in meno è intenzionato a considerare solo ed esclusivamente l’opzione università dopo il diploma. Una ricerca di maggiore “praticità” dai percorsi di formazione che non sembra essere isolata tra i nostri adolescenti, visto che quest’anno per la prima volta i licei hanno registrato una flessione delle iscrizioni rispetto a dodici mesi fa: un fatto storico che non avveniva da una decade.
Tuttavia, emerge una preoccupante e diffusa incertezza su quello che accadrà dopo la scuola: uno studente su cinque immagina che i mesi successivi al suo diploma saranno dedicati alla riflessione sul futuro o addirittura a un anno sabbatico. Mentre uno su dieci si rifugia nella sempreverde prospettiva di “andare all’estero per tentare la fortuna”. Si tratta di un popolo composto potenzialmente da centinaia di migliaia di studenti, che rischiano di perdersi. Sarebbe un peccato disperdere un capitale umano che sembra pronto a guardare il mondo del lavoro in maniera diversa dai propri genitori e in linea con le prospettive attuali. Nel Paese dove il posto fisso è uno degli obiettivi principali delle mamme e dei papà per i propri figli, un ragazzo su quattro vorrebbe al contrario costruire qualcosa di suo, calandosi nei panni dell’imprenditore. Mentre il 23%, pur non osando aspirare a tanto, si immagina da grande come un lavoratore autonomo per avere più libertà. Solamente il 20% aspira ancora alla sicurezza del “tempo indeterminato”. Tuttavia, di nuovo, non tutti hanno pensato al proprio futuro professionale: il 32% degli intervistati ancora non l’ha fatto. A differenza degli aspiranti capitani d’azienda, la maggior parte dei quali (59%) pensa di avere già in mano l’idea vincente. Mentre uno su dieci sta già sviluppando la sua impresa insieme a un team.