Connettiti con noi

Attualità

Processo Eternit: dirigenti condannati e risarcimenti milionari

Il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier dovranno scontare 16 anni di carcere. Oltre seimila le parti civili

Due condanne a 16 anni di carcere e risarcimento danni per oltre seimila parti civili. È quanto stabilito dal Tribunale di Torino nella sentenza di primo grado per il processo Eternit in cui il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny (65 anni) e il barone belga Louis De Cartier (91) erano imputati per disastro doloso e rimozione di cautele. I due dirigenti sono stati ritenuti colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria); per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) l’eventuale reato è stato prescritto. Oltre alla condanna a 16 anni di carcere ciascuno, il Tribunale ha disposto risarcimenti milionari a favore delle parti civili (circa 6.400) che si sono costituite nel processo. Tra i risarcimenti spiccano quelli decisi a favore del Comune di Casale Monferrato (25 milioni di euro), della Regione Piemonte (20 milioni) e dell’Inail (15 milioni) e del comune di Cavagnolo (4 milioni). Alle centinaia di familiari delle vittime viene riconosciuto un risarcimento medio di 30.000 euro ciascuno. “È una sentenza che senza enfasi si può definire davvero storica, sia per gli aspetti sociali che per gli aspetti strettamente tecnico-giuridici”, ha commentato il ministro della Salute, Renato Balduzzi.

Cos’è il processo EternitSi tratta di uno dei più grandi procedimenti nel campo dei reati ambientali che si sia mai celebrato in Italia e nel mondo. Secondo l’accusa il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis De Cartier De Marchienne hanno gestito – in diversi periodi della loro vita – la Eternit o società collegate e, quindi, sono responsabili dello scempio provocato dall’amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della holding a partire dal 1952: Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Migliaia di morti e di malati di tumore fra gli operai e fra le persone che popolavano le quattro località. La procura torinese ha contestato ai due dirigenti i reati di disastro ambientale doloso (per l’inquinamento e la dispersione nell’ambiente delle fibre di amianto) e di omissione di cautele antinfortunistiche nei quattro stabilimenti italiani dell’azienda.Secondo la difesa negli anni ’60 gli scienziati non erano d’accordo sulla nocività dell’amianto, ma i dirigenti “rimasero schioccati” quando, nel 1976, in un seminario in Germania vennero messi al corrente delle ultime scoperte. Stephan Schmidheiny, che ereditò la carica in quel periodo dal padre, prese “tutti gli accorgimenti tecnici possibili” per limitare i danni investendo milioni; mentre De Cartier fu, dal 1971, solo un amministratore senza deleghe e senza capacità di intervenire sul fenomeno. Che sia stato un maxi-processo lo dicono le cifre riassunte dall’agenzia Ansa: 65 udienze fra il 2009 e il 2011, 6.392 parti civili, un flusso di testi e di pubblico che ha richiesto una macchina organizzativa cui ha preso parte anche la Protezione civile.