Connettiti con noi

Attualità

Il modello upside-down

Tra i nuovi protagonisti della scena finanziaria, accanto a Canada, Russia, Brasile e Sudafrica, c’è l’Australia, che con il suo suolo ricco di minerali e le partnership con il gigante cinese potrebbe, nel giro di qualche anno, ribaltare i pesi dell’economia planetaria. In Spagna e Portogallo l’emigrazione alla rovescia è già iniziata…

Upside-down, sottosopra. Così chiamano l’Australia. Fino a qualche tempo fa si intendeva semplicemente il fatto che, rispetto al planisfero, il più grande Paese del Nuovissimo continente si trova proprio all’opposto dell’Europa, una volta il cuore pulsante dell’economia e della cultura di tutta la civiltà occidentale. Adesso le cose sono cambiate, decisamente. E non dovrebbe più destare scalpore sentir dire che, visti i nuovi equilibri della geopolitica, l’intero pianeta, dal punto di vista economico, è upside-down. Bisogna accettarlo, se proprio non si vuol dire rassegnarsi. A cavallo dell’Atlantico l’Europa e gli Stati Uniti d’America stanno vivendo forse la peggior crisi della storia contemporanea. E non tanto (si fa per dire) per i dissesti finanziari, le aziende in crisi, gli esuberi che sembrano non finire mai, il default della Grecia e l’euro sull’orlo del baratro: no, il problema vero è la totale mancanza di punti di riferimento rispetto a come e quando questo stallo si sbloccherà. Ma mentre l’Occidente e il Nord del mondo sono costretti a navigare a vista e a fare i conti con i loro modelli di sviluppo, il Sud e l’Oriente continuano a brindare a una crescita inarrestabile. Che non è sostenuta solo dalla diffusione all’interno di mercati giganteschi e famelici come quelli cinese, indiano e brasiliano dei consumi all’occidentale. Questi Paesi sono infatti sempre di più il presente e il futuro dell’economia mondiale, soprattutto per le risorse che custodiscono nel loro sottosuolo. Si stima infatti che rispetto alle riserve mondiali, possa arrivare addirittura al 90% la percentuale di commodity nascoste entro i confini di quelli che dieci anni fa furono battezzati Bric(s), con quella “s” finale che affiancava a Brasile, Russia, India e Cina anche il Sudafrica. Adesso i Brics sono già storia, alcuni di loro non si possono nemmeno più definire “mercati emergenti”. Ora quei Paesi, bene o male gli stessi, ma con un paio di clamorose new entry, sono diventati i Carbs, tradotto in italiano, “carboidrati”. E non parliamo del vetusto carbone o del capriccioso petrolio, ma di bauxite, ferro, nichel, oro e platino, senza contare le altre materie prime meno pregiate, che sono comunque alla base delle principali attività agricole del pianeta. È stato Citigroup, il gigante della consulenza finanziaria, a introdurre nei mercati internazionali questa nuova categoria, che comprende nell’ordine dell’acronimo: Canada (al posto della Cina), Australia (che sostituisce l’India), Russia, Brasile e Sudafrica. A loro è stato dedicato un approfondito report che mette in evidenza il peso crescente di queste economie su scala planetaria. Tanto per cominciare, i loro Pil, nel complesso, sono aumentati del 4% dal 2003 al 2011, mente il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è calato, sempre rispetto al dato aggregato, del 10%. Nello stesso periodo, tutti e cinque i Carbs hanno registrato un aumento dei consumi interni di un valore che si aggira intorno al 300%.Se nel report il Canada è considerato uno dei Paesi più affidabili e solidi grazie anche alla sua affermata tradizione industriale, la vera protagonista di questa rassegna è l’Australia, che da Cenerentola della scena finanziaria mondiale, grazie alla vicinanza geografica ed economica con il Celeste impero, sta conoscendo un boom senza precedenti. Per trovare conferma del successo del modello dell’upside-down in questo Paese, basta snocciolare un paio di dati sulle performance minerarie di un territorio sconfinato (circa 23 volte l’Italia) su cui vivono appena 22,3 milioni di abitanti. Come ha messo in evidenza Eugenio Occorsio su Affari e Finanza, l’export di materie prime verso il partner cinese è aumentato nel giro di dieci anni dal 5 al 37% di tutto il venduto, con la conseguente crescita degli investimenti locali ed esteri nel settore minerario, che negli ultimi sei anni ha evidenziato nei soli territori dell’Ovest, quelli con il suolo più ricco, un boom dell’occupazione pari a 35 mila unità, con un tasso di crescita di poco inferiore al 50%. Senza contare che il governo australiano continua a investire il 2% del Pil in ricerca e sviluppo (925 miliardi di dollari nel 2009). State già pensando di convertirvi al modello upside-down? Non siete i soli. I cugini iberici lo stanno già facendo. Per ovvie questioni linguistiche, si spostano prevalentemente verso l’Argentina e il Brasile. E non parliamo di immigrati con la valigia di cartone, ma di professionisti che cercano nuove opportunità a Sud del mondo. Basti pensare che nel 2011 sono stati 50 mila i portoghesi emigrati in Brasile nel 2011 e circa 60 mila gli spagnoli sbarcati a Buenos Aires. Chissà dove decideranno di andare gli italiani.

Credits Images:

L’inconfondibile skyline di Sydney, con l’Opera house affacciata sull’Oceano