Connettiti con noi

Lavoro

Tutte le bugie sul mondo del lavoro secondo LinkedIn

Nel suo ultimo libro il co-fondatore del social network Reid Hoffman analizza il rapporto tra datori di lavoro e impiegati. E dà la ricetta vincente: «Chi lascia l’azienda non è un traditore della tribù, ma resta un alleato»

Reid Hoffman, co-fondadore di LinkedIn svela la grande bugia alla base di ogni rapporto di lavoro. Lo fa nel suo ultimo libro, The Alliance, dove sostiene che tra datore di lavoro e dipendenti ci sia una conversazione disonesta. E se lo dice uno che ha investito sin da subito in Facebook e Airbnb, c’è da crederci. Il problema è la prima menzogna che l’azienda trasmette: «Lavorare qui è come stare in famiglia». E’ una falsità che fa comodo perché spinge il datore di lavoro a convincersi di avere un ambiente ideale e allo stesso tempo porta con sé una richiesta di lealtà. Ma l’ufficio non è come una famiglia: «Non si licenziano i figli per un brutto voto», scherza Hoffman.

DIPENDENTI DISONESTI. I dipendenti non sono da meno, però, in quando a disonestà. Sono loro a dire «vorrei lavorare qui per tutta la vita», perché sanno che chi li sta ascoltando vuole sentirselo dire. Invece sarebbe meglio che entrambe le parti vivessero la situazione come un impegno a tempo che ha obiettivi specifici da entrambe le parti. Così L’inkedIn, che aiuta le aziende ad assumere talenti, propone un cambio di prospettiva al momento del colloquio. La domanda principale deve essere: «Quale sarà il tuo prossimo posto di lavoro dopo LinkedIn?». Perché il social network vuole trasformare la carriere. E i candidati restano straniti? «Nient’affatto», dice il co-fondatore, «noi vogliamo avere un forte impatto su chi lavora qui. Ho incontrato due ex dipendenti da Airbnb. Mi hanno detto: “Come stai? Vogliamo raccontarti quello che facciamo qui”. Chi va via non tradisce la tribù, ma resta un alleato».

COLLOQUI. E allora la questione diventa metodologica: meglio il colloquio di lavoro o le referenze: «Si possono imparare tante cose da un’intervista», dice Hoffman, «ma sempre le referenze. Solo così puoi capire l’etica del lavoro di una persona. Ma molte aziende non se ne interessano, non le verificano e controllano solo quelle fornite dai candidati. Un discorso che si riflette nel dilemma se assumere o meno un amico: «Chi prenderesti tra una persona fidata competente al 70% e uno sconosciuto al 90%?», è la questione posta in un colloquio con Vox con una risposta a sopresa: «Se pensi che l’amico possa imparare in fretta, prendi lui».

Credits Images:

Reind Hoffman, co-fondatore di LinkedIn © Getty Images