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Lavoro

Lavoro, i tedeschi fanno scuola

Altro che bamboccioni e laureati infarciti di sola teoria: in Germania chi termina gli studi ha già alle spalle esperienze professionali che gli spalancano l’ingresso nelle grandi aziende. Grazie al sistema duale il tasso di disoccupazione giovanile non supera l’8%

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Ramona Gunnewicht è una studentessa tedesca come tante: bionda, giovane, carina e ormai prossima a diplomarsi in una Fachoberschule, una scuola superiore pubblica della Germania, che somiglia lontanamente agli istituti tecnici italiani. Ancor prima di terminare gli studi, però, Ramona ha già iniziato a lavorare part-time in fabbrica, negli stabilimenti del colosso industriale Bosch, dove ha conosciuto nel dettaglio il funzionamento delle macchine automatiche per l’imballaggio degli alimenti come lo zucchero o il caffè. La sua carriera scolastica proseguirà probabilmente anche dopo le superiori, in qualche facoltà universitaria di tipo tecnico o scientifico. Ma, alla catena di montaggio, Ramona ha dimostrato comunque di sapersela cavare benissimo. Tanto da spingere il gruppo Bosch a pubblicare nel proprio sito internet una breve video-intervista alla giovane studentessa, in qualità di testimonial dei programmi di formazione professionale realizzati ogni anno dalla società. A ben guardare, però, di storie come quella di Gunnewicht in Germania se ne trovano a bizzeffe e sono tutte la testimonianza vivente di un sistema di istruzione nazionale che ha soprattutto un obiettivo: proiettare i giovani nel mercato del lavoro, fornendo loro una qualifica professionale adeguata. È il sistema duale, così definito dagli esperti di formazione perché si basa su due pilastri, lo studio e il lavoro, e prevede dei programmi di apprendistato nelle aziende, che iniziano spesso quando i giovani sono ancora in età scolare e hanno appena compiuto i 15 o i 16 anni. Un sistema che affonda le proprie radici nella pragmatica cultura tedesca, che considera l’affermazione in campo professionale o l’apprendimento di un mestiere come il primo presupposto per la realizzazione personale e privata di ogni cittadino.«Si tratta di un modello di istruzione seguito non soltanto in Germania, ma anche in molti altri Paesi del Nord Europa», spiega Dario Nicoli, docente di sociologia economica del lavoro all’Università Cattolica e autore assieme a Guido Gay del saggio Sistemi di formazione professionale a confronto (Guerini e Associati). Secondo Nicoli, il sistema duale si contrappone al modello francese che, al posto della qualifica professionale, ha in primo luogo un altro obiettivo, ovvero fornire a tutti gli studenti un’educazione scolastica di livello superiore, su cui le competenze in campo lavorativo possono innestarsi in un secondo momento. INTANTO IN ITALIA…Difficile stabilire quale dei due modelli sia migliore, ma una cosa è certa: il sistema tedesco non è affatto da buttare, visto che in Germania la disoccupazione giovanile è attorno all’8%, contro il 22% della media europea, il 23% della Francia e il 29% circa dell’Italia. A Berlino o a Francoforte, come in molte altre città della Repubblica Federale, i giovani appena usciti dalle aule delle università o dagli istituti scolastici faticano meno a trovare un’occupazione rispetto a molti loro coetanei europei. In circa il 50% dei casi, gli ex-studenti tedeschi che iniziano a lavorare sono assunti proprio dalle stesse aziende in cui hanno svolto un periodo di apprendistato durante la scuola. A rivelarlo sono le statistiche riportate nel libro di Nicoli e Gay, con la collaborazione di Giuseppe Tacconi, ricercatore dell’Università di Verona. Come evidenziato dai tre studiosi, il 35% delle imprese tedesche, piccole e grandi, offre ogni anno contratti di apprendistato a circa un milione di studenti (si vedano le tabelle in pagina).

Tasso di disoccupazione

Disoccupazione giovanile

Italia

8.6%

29.4%

Germania

6.8%

8.1%

La formazione professionale in Germania

35%

Percentuale di aziende che offrono programmi di formazione professionale agli studenti

1 milione circa

Studenti che ogni anno seguono dei programmi di formazione con il sistema duale (scuola-lavoro)

Circa 60%

Quota di studenti che, nel corso della carriera scolastica, seguono dei programmi di formazione in azienda (compresi gli studenti dei licei)

Oltre 900 mila

Numero di dipendenti delle aziende tedesche abilitati a svolgere programmi di formazione per gli studenti.

Oltre il 50%

Quota di giovani che vengono assunti dalla stessa azienda in cui hanno seguito un programma di formazione durante il percorso di studi

In oltre un terzo dei casi, i primi passi nel mondo del lavoro avvengono prima della maggiore età, mentre i settori che si avvalgono di più della collaborazione dei giovani sono l’industria e il commercio (47%), seguiti a distanza dall’artigianato (38%) e dalle libere professioni. «Spesso», dice Nicoli, «sono gli stessi studenti, con l’aiuto delle famiglie, che si preoccupano di selezionare le aziende in grado di offrire loro le maggiori opportunità di crescita professionale e dei buoni programmi di formazione». Particolare non da poco, i contratti di apprendistato prevedono di solito una regolare remunerazione, seppur con livelli salariali molto più bassi rispetto a quelli di un lavoratore dipendente in età avanzata.

IMPRESE TEDESCHEI settori che impiegano i giocani

Industria e commercio

47.%

Artigianato

38.%

Libere professioni

9.%

Servizi pubblici

3.%

Agricoltura

2.%

Economia domestica

1.%

Spesso il sistema di formazione duale presenta notevoli differenziazioni geografiche, essendo gestito in buona parte dai singoli Land. Una caratteristica peculiare del modello tedesco, spesso criticata, è quella di imporre agli alunni una scelta sul proprio percorso di studi fin da giovanissimi. Terminata la scuola primaria (Grundschule), che dura quattro anni, gli studenti si trovano a scegliere tra tre indirizzi diversi: il Gymnasium, la Realschule e la Hauptschule. Il primo si caratterizza per una istruzione di base (simile a quella dei licei italiani) e non prevede un percorso di inserimento professionale. Il secondo è caratterizzato da una prima fase di formazione generale seguita da un’altra molto più pratica (Fachoberschule), con esperienze di apprendistato nelle imprese. Il terzo, ancor più vicino al mondo del lavoro, prevede di solito l’inserimento graduale nelle aziende anche in età molto giovane, a partire dai 15-16 anni. Il passaggio da una scuola all’altra è sempre possibile anche se viene subordinato al rendimento ottenuto dal singolo studente e al giudizio espresso dai docenti dell’istituto. Quando iniziano l’apprendistato, gli alunni non abbandonano affatto gli studi, ma alternano il lavoro alla formazione in aula, nelle scuole di provenienza o presso la sede dell’impresa.

Un Paese di baby worker

Prima dei 16 anni

14.3%

17 anni

21.7%

18 anni

17.7%

19 anni

14.2%

20 anni

11.3%

21 anni

7.5%

22 anni

4.6%

Sopra i 23 anni

8.7%

Spesso, l’attività di docenza spetta ai di pendenti delle stesse aziende tanto che, secondo le statistiche, circa un milione di lavoratori tedeschi risulta abilitati a svolgere il training professionale per i giovani, a tempo parziale o addirittura full-time. «Va inoltre sottolineato», aggiunge Nicoli, «che la qualità didattica degli istituti tecnici e professionali in Germania non è affatto scadente e, assieme alle esperienze di apprendistato, prevede una formazione di cultura generale di ottimo livello». Al termine del percorso di studio e lavoro, gli alunni devono poi sostenere un esame di abilitazione professionale, con cui possono essere assegnate diverse qualifiche. Il test non si svolge presso gli istituti di provenienza ma nelle sedi delle Camere di Commercio, con un variegato collegio di esaminatori che include, oltre a qualche membro del corpo-docente scolastico, anche dei rappresentanti del mondo produttivo (provenienti, per esempio, dalle stesse Camere di Commercio o delle associazioni di categoria). Le qualifiche che gli studenti possono ottenere sono tantissime e sono rigidamente identificate dalla legge tedesca. In Germania, dunque, difficilmente si possono trovare dei giovani di 18 o 19 anni che non frequentano l’università e che, nello stesso tempo, non hanno ancora appreso i rudimenti di un mestiere. Un risultato che probabilmente suscita non poca invidia in molti imprenditori italiani. Secondo una recente indagine di Confartigianato, infatti, circa il 17% delle imprese della Penisola oggi incontra notevoli difficoltà nel trovare manodopera qualificata da inserire nel proprio organico, benché nel nostro Paese la disoccupazione giovanile sia elevatissima. Senza dimenticare, poi, come rivelano i dati diffusi dall’istituto di ricerca Isfol, che in Italia, l’evasione scolastica è ancora molto alta, con 120 mila giovani tra i 14 e i 17 anni (oltre il 5% del totale) “a spasso”, cioè non studiano né lavorano. E allora: perché non importare il modello d’istruzione tedesco a Sud delle Alpi? Su questa proposta si è speso molto Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e presidente della Fondazione Marco Biagi. Nel bollettino dell’Adapt, il centro di ricerca che presiede da anni, Tiraboschi ha messo più volte in evidenza il difficile dialogo tra la scuola italiana e le imprese, sottolineando come le esperienze del Nord Europa e della Germania abbiano molto da insegnare al governo di Roma. Certo, ricopiare alla lettera il modello tedesco è difficile, ma probabilmente vale la pena di fare qualche tentativo. Lo fece a suo tempo anche il professor Biagi, autore dell’ultima riforma del mercato del lavoro, in cui era prevista la nascita nel nostro Paese di contratti di apprendistato di primo livello, promossi dalle Regioni e basati sull’inserimento progressivo nelle aziende di giovani, che frequentano ancora gli istituti tecnici o professionali. Peccato, però, che dell’apprendistato di primo livello non si sia vista finora neppure l’ombra, a quasi dieci anni di distanza dalla riforma Biagi, a parte qualche sporadica eccezione. È il caso della Provincia Autonoma di Bolzano, che ha avviato da tempo delle esperienze di questo tipo, e della Lombardia, che ha siglato un protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione, seppur soltanto nel maggio scorso. In tutto il resto del Paese, invece, nessuna autorità regionale si è ancora mossa in questa direzione.