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Attualità

Il futuro dei sondaggi (oltre le previsioni errate)

Non gli istituti demoscopici tradizionali… Almeno a guardare i risultati delle ultime tornate elettorali. Eppure i protagonisti del settore saprebbero già come riconquistare il loro ruolo predittivo, mutuando alcuni spunti dal mondo delle ricerche di opinione e sfruttando le nuove tecnologie

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Dalla Brexit alla vittoria di Donald Trump, ultimamente i sondaggi non ne hanno azzeccata una. Poi però hanno previsto la vittoria del No al referendum costituzionale con una precisione quasi chirurgica. Ma basta questo per salvare la “scienza della profezia”? Dipende. È vero, infatti, che si ricorda di più un solo errore di decenni di previsioni corrette, ma gli abbagli grossolani sull’uscita dell’Inghilterra dall’Ue e sulle elezioni americane sono stati due passi falsi non da poco. «Nel caso degli Usa non hanno sbagliato affatto, semplicemente sono rientrati nel margine di errore statistico previsto». Insomma, per Roberto Baldassari, presidente dell’Istituto Piepoli, se errore c’è stato, era comunque qualcosa di prevedibile. «Nel nostro caso il problema principale non è la teoria, ma il campione osservato», continua Baldassari, che ha una lunga esperienza nell’ambito delle ricerche di mercato, dei sondaggi d’opinione e del marketing politico. «Una volta era più semplice individuare un campione rappresentativo, estrapolato da un universo di riferimento più solido e storicamente più assestato. Oggi non è più così semplice. Colpa anche del discredito che molti programmi televisivi gettano sul nostro lavoro». Mettiamo sotto accusa la tv allora? «Capiamoci: se alcuni programmi che generalmente parlano a un pubblico non direttamente interessato alla politica, come per esempio trasmissioni di cucina o di intrattenimento, sparano a zero sui sondaggi dicendo che gli italiani intervistati danno una intenzione di voto contraria a quello che poi effettivamente esprimeranno nelle urne, allora il fenomeno tende ad avverarsi. Quando verranno intervistati, gli spettatori di quei programmi potrebbero mentire per confermare le dichiarazioni dei loro beniamini televisivi. È il fenomeno della profezia che si autoavvera». Sarà…

LA TUTELA della privacy

non PERMETTE L’INCROCIO DI DATI

che permetterebbe DI AUMENTARE

L’AFFIDABILITÀ del campione

e, quindi, DEI RISULTATI FINALI

FENOMENO ANTICOIl fenomeno non è nuovo; da che esistono le indagini di mercato c’è sempre stato qualcuno che dice una cosa al sondaggista e poi fa l’esatto contrario al momento del voto, anche solo per il gusto di vedere inciampare una istituzione così venerata da politici, giornalisti e uomini di marketing. La statistica ha messo a punto degli algoritmi correttivi basati su trend storici, ma questo non basta più. E la confusione tra sondaggi pre-elettorali, exit poll e proiezioni non aiuta la comprensione, dato che ognuna di queste metodologie ha un impianto di ricerca preciso e decisamente differente rispetto alle altre. «Stiamo adattando il nostro lavoro alla mutagenesi sociale in atto, sfruttando appieno le nuove tecnologie», è la ricetta di Piepoli. «Ormai quasi tutte le rilevazioni vengono effettuate con un mix di strumenti: il telefono fisso per alcune fasce più anziane della popolazione, i telefoni cellulari, per esempio per i profili business, e il web per i giovani e le persone tecnologicamente più avanzate».

FILONE ITALIANOC’è poi anche un lavoro teorico, con gli studi sulla probabilità soggettiva, sulle profezie positive, un nuovo filone di ricerca tutto italiano e dal quale ci aspettiamo la nascita di nuovi algoritmi. Algoritmi predittivi che servono a colmare le lacune dei precedenti sistemi che non riescono più a cogliere alcuni importanti cambiamenti, come il calo dell’affluenza, un fenomeno di livello mondiale e non solo italiano. Sul versante dell’opinione pubblica, l’optimum per un ricercatore è la buona fede dell’intervistato e – almeno negli exit poll, in particolare quelli relativi al referendum del 4 dicembre – gli italiani hanno partecipato con sincerità.Mentre i modelli matematici più longevi mostrano le loro lacune, perciò, molti si domandano quale futuro abbia il sondaggio politico. Di sicuro gode di ottima salute quello di opinione, usato da aziende ed esperti di marketing, per individuare trend e impostare strategie di business. «Il vero plus», ci spiega Lorenzo Pregliasco, direttore e cofondatore di Quorum e YouTrend, «sta nel saper individuare i temi al centro dell’attenzione del pubblico o dei consumatori, le idee, le opinioni, e in base a questo individuare trend e strategie. Quando si parla di intenzione di voto, invece, le difficoltà maggiori nascono dal fatto che in Italia è difficile individuare il campione rappresentativo: per legge, non si può consultare il registro dei votanti o incrociare le intenzioni di voto con altri dati, per avere un identikit più veritiero dell’elettore».

Tra i sondaggi più sballati degli ultimi anni, ricordiamo quello che dava “incerta” la vittoria (trionfante nei fatti) del futuro primo ministro inglese Cameron. Le indagini d’opinione hanno inciampato anche col premier israeliano Benjamin Netanyahu, con George W. Bush nel 2004 (no, non è stato battuto da John Kerry come in molti pronosticavano il giorno prima delle votazioni) e con José Luis Zapatero in Spagna. Lo stesso Movimento 5 Stelle ha sempre sbaragliato (al rialzo) le previsioni – nel 2013 quasi tutti gli istituti sopravvalutarono Bersani e sottovalutarono Grillo – al contrario di Emilio Fede che decretò la vittoria (poi smentita dai fatti) di Berlusconi in base alle proiezioni sull’esito dello spoglio durante una diretta tv, coprendo l’Italia di bandierine blu.

BIG DATA PER IL FUTUROSembrano, dunque, scarseggiare i dati, pur nell’epoca dei big data: quella mole incommensurabile di informazioni a cui tutti dicono di voler attingere per gli scopi più disparati. Forse anche i sondaggisti potrebbero trarne vantaggio. «In America già lo fanno», continua Pregliasco, «e riescono a incrociare i dati su quale auto si possiede, gli abbonamenti alle riviste, quante volte si è andati a votare. In questo modo ne viene fuori un ritratto preciso. Con quale risultato? Per esempio, quello di poter dire che un bianco di 65 anni che vive in un certo Stato, possiede una determinata auto ed è abbonato a una rivista di caccia e pesca, nove volte su dieci è repubblicano. In Italia questo sarebbe impossibile da fare perché la legge sulla privacy è molto più severa e protettiva. Ma quando riusciamo a incrociare più dati, tutti quelli disponibili, i risultati sono sorprendenti, come è successo con le previsioni sul ballottaggio del sindaco Giuseppe Sala di Milano, con il quale come Quorum abbiamo fatto un lavoro di analisi dei dati in vista dello scontro finale». Il sondaggio quindi è più vivo che mai, anzi. Solo che nessuno ne parla quando la previsione si dimostra corretta.«Allo stato attuale non esiste metodo migliore del sondaggio per prevedere come andranno le cose e se qualcosa ancora potrà essere migliorato, sarà nell’utilizzo dei big data e nell’affinamento del Web e dei cellulari come nuovi canali di indagine online».

FRONTIERE ONLINE Sempre più indagini online e campioni rappresentativi via Web, utilizzo massiccio dei dati e di nuovi algoritmi per analizzarli: ecco in quale direzione si sta evolvendo il lavoro degli istituti di ricerca. L’obiettivo è quello di affinare le tecniche e le metodologie di ricerca per adeguarsi a un mondo che sta cambiando, e molto rapidamente. «Il tema è che stiamo vivendo una fase di profondo cambiamento che si riflette anche nelle decisioni di voto degli elettori, sia in Italia sia all’estero», sostiene Vilma Scarpino, Ceo della prima società di ricerche in Italia, Doxa, che compie 70 anni. «Rispetto al passato l’opinione pubblica utilizza nuovi parametri di giudizio e, quindi, i modelli matematici alla base delle rilevazioni e delle elaborazioni dati rischiano di non funzionare. Nel caso di Donald Trump gli elettori sono andati contro l’establishment in una sorta di ribellione alla nomenklatura, e questo ha messo in crisi anche i sondaggisti». Come dire: più degli errori statistici o dei pregiudizi degli analisti, potrebbe essere stato il fattore umano a condizionare l’elezione meno prevedibile della storia americana. «Allora forse è arrivato il momento di unire alle analisi quantitative un nuovo tipo di analisi qualitativa, affiancando tecnologie e metodologie anche molto diverse tra loro, ma che vanno inevitabilmente integrate se vogliamo essere lo specchio che riflette una realtà liquida e mutevole».

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© iStockPhoto.com/Anton_Sokolov