
Le teche di Goppion proteggono anche i tesori del Museo Egizio di Torino
«Scegli un lavoro che ami e non ti sembrerà di lavorare nemmeno un giorno nella tua vita». Lo scriveva Confucio, e qualche millennio dopo è quel che ha fatto Alessandro Goppion. Colto imprenditore milanese, è riuscito a unire la sua passione per la storia alla tradizione vetraria dell’azienda di famiglia, diventando il produttore delle teche blindate più usate nei musei di tutto il mondo. Sono suoi, solo per citare le collaborazioni più famose, i vetri protettivi che custodiscono tesori come la Gioconda al Louvre di Parigi, oppure i gioielli della Corona nella Torre di Londra. «Quello che mi piace dei musei è che sono il luogo pubblico della storia», spiega.
La storia di Goppion: eccellenza made in Italy
Tuttavia, quella di Goppion è una passione che viene da lontano e affonda le radici in un’altra storia, quella della famiglia. Già, perché il primo vero innovatore è stato il padre Nino, fondatore nel 1952 della vetreria nata Milano in via San Vincenzo: «Vorrei sfatare un mito», precisa il figlio Alessandro, «perché la mia non è mai stata una vera e propria vetreria. Nel secondo Dopoguerra mio padre ha, infatti, avuto un’intuizione geniale: senza sapere che esistesse, ha capito che l’exhibition design avrebbe avuto un futuro davanti a sé, e che in questo ambito poteva trovare espressione il desiderio delle persone di raccontare la propria storia. Ha guardato a questo mondo in modo innovativo e ha iniziato a collaborare con alcuni musei: il primo fu il Museo civico degli strumenti musicali».
La vera svolta per l’azienda Goppion, nel frattempo trasferita a Trezzano sul Naviglio, arriva negli anni ‘80 con la decisione di puntare sullo sviluppo tecnologico, iniziando collaborazioni con importanti istituti specializzati nella tutela dei beni culturali. La prima grande commessa internazionale arriva invece all’inizio degli anni ‘90, quando Alessandro viene chiamato a progettare le vetrine che avrebbero protetto i gioielli della Corona nella Torre di Londra: come in un film di James Bond, furono i servizi segreti della regina Elisabetta a testare in un luogo segreto il prodotto dell’azienda milanese, facendo esplodere sulle teche alcune bombe. Ancora oggi Alessandro Goppion non sa dire come andò quel test, ma è sicuro che i vetri made in Italy resistettero sotto i colpi dei militari inglesi, perché l’azienda vinse il bando. «In quel momento eravamo del tutto impreparati a un lavoro così importante», continua l’imprenditore, «ma quell’esperienza ci ha insegnato molto. Ci siamo dovuti reinventare sotto il profilo della produzione, del project management e ci fu anche un cambio di passo culturale».
In teche italiane le più grandi opere del mondo
Intanto la reputazione cominciava a crescere e dopo la chiamata della Torre di Londra ne sono arrivate molte altre, dal Victoria and Albert Museum al British Museum fino al Louvre. Ormai le teche Goppion hanno superato i confini europei: «Le collaborazioni con musei del calibro del Museum of Fine Arts di Boston e del National Museum of African American History&Culture, dove è custodito l’abito di Rosa Parks, sono stati i passi più importanti per noi», prosegue. «Di recente abbiamo anche ottenuto l’incarico per le British Galleries del Metropolitan di New York e per l’ala dell’arte islamica del British Museum. Ognuno di questi lavori mi ha dato e mi sta dando la possibilità di confrontarmi con giganti dell’architettura e del design. Sono esperienze bellissime, che alzano sempre di più l’asticella della fattibilità di questa attività». Le teche di Goppion proteggono anche i tesori custoditi in alcuni dei più famosi musei tricolori. Sue le vetrine nel riallestimento del Museo Egizio di Torino, nel museo del Duomo di Firenze e nel Muse di Trento. Dei 20 milioni di euro di fatturato prodotti in media ogni anno dall’azienda, solo il 5% deriva però dal nostro Paese, mentre il restante 95% proviene dal mercato britannico, francese e statunitense. «L’Italia non ha una politica che valorizzi i musei come in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Non c’è la volontà di investire sulla cultura perché manca una visione che voglia sviluppare la conoscenza del nostro patrimonio artistico».
Come nascono le teche Goppion
Ma come si costruiscono vetrine che possano resistere agli attacchi di bombe e kalashnikov ed essere completamente invisibili? «Il vetro è un materiale che può essere facilmente assemblato e avere resistenze diverse», risponde Goppion. «Ci sono finestre di vetro anche nei carri armati o nei caveau delle banche. Le teche che produciamo oggi sono realizzate da strati differenziati, che vengono composti da oltre cento componenti. E poi devono proteggere il contenuto non solo da furti e incursioni violente, ma anche da agenti climatici e terremoti, per cui devono essere in grado di mandare segnali di allerta, controllare umidità e qualità dell’aria». Insomma, sono prodotti di alta tecnologia, che viaggiano tra i 20 mila e 500 mila euro a pezzo. Un vero e proprio miracolo dell’imprenditoria, se si pensa che tutto ciò viene realizzato in una pmi con 100 dipendenti: «Il segreto è la rete di comaker, non semplici produttori e fornitori, ma veri collaboratori che lavorano insieme in tutte le fasi del progetto. Si crea così una struttura orizzontale: ogni parte della teca viene progettata insieme, prodotta in officine specializzate e poi il tutto viene assemblato a Trezzano e installato nel museo. Ma utilizziamo un metodo collaborativo anche con i clienti: per ogni commissione costituiamo un gruppo formato da esperti che sviluppa un’idea insieme ai progettisti e allo staff museale». Per Goppion adesso la nuova frontiera è l’arte africana e sudamericana: «In quelle zone», chiosa «ci sono tesori che devono essere protetti. Mi piacerebbe partecipare a progetti che tutelino la memoria di quei luoghi».