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Passaporto per la competitività

Il Brevetto europeo unico non sarebbe un peso, ma un vantaggio per le pmi italiane. Parola di un vero esperto in materia, il presidente dell’European Patent Office: Benoit Battistelli

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In Italia l’argomento passa sottotraccia. Eppure i brevetti, secondo lo studio Intellectual property rights intensive industries curato dall’Epo (European Patent Office), tra il 2008 e il 2010 hanno contribuito al Pil europeo per 17 miliardi, oltre a creare 35 milioni di posti di lavoro. L’Italia, in questo scenario, arranca e rappresenta solo il 2% delle richieste effettuate all’Epo. Secondo i dati relativi al 2013, dalla Penisola è stato registrato un calo delle domande del 2,7% (per un totale di 4.662 sulle 266 mila depositate), un dato poco confortante, tanto più che segue al rallentamento del 2012 (pari al -3,4%). Non solo: con 60 domande ogni milione di abi tanti, Roma si posiziona solo al 18esimo posto della classifica internazionale stilata dall’Epo e ben al di sotto della media europea (129 richieste ogni milione di abitanti, ma con Paesi come la Svizzera che ne annoverano ben 832). L’unico dato confortante è che il numero dei brevetti concessi all’Italia dall’istituzione internazionale è salito nel 2013 del 5% rispetto all’esercizio precedente (per 2.352 brevetti con una crescita del 18% dal 2009). Il podio italiano delle aziende tricolori che hanno richiesto il maggior numero di brevetti è occupato da Lyondellbasell (società attiva nel petrolchimico con 62 domande), Indesit (con 61) e Solvay (azienda chimica con 53). Numeri rasoterra se confrontati con la top five di Epo nel 2013: Samsung (2.833 richieste), seguita da Siemens (1.974), Philips (1.839), Lg (1.648), Basf (1.577). Da sottolineare la curiosa assenza di buona parte dei big di Piazza Affari. E lo scenario potrebbe peggiorare. Mentre l’Europa, infatti, si avvia verso un Brevetto unico europeo, l’Italia, così come la Spagna, sono rimaste fuori dal progetto, per motivi sostanzialmente linguistici, nonostante i reiterati appelli all’adesione di Confindustria, che ha più volte sottolineato i vantaggi del progetto sia per le imprese sia per i conti pubblici. «Mi aspetto che la normativa sul brevetto unico diventi operativa già da fine 2015-inizio 2016», spiega a Business People il presidente dell’Epo, Benoît Battistelli. «Il rischio per Roma, qualora decidesse di rimanerne fuori, sarebbe quello di non poter partecipare alla “Champions League” al pari degli altri Paesi dell’Unione».

Presidente, in cosa consisterà il brevetto unico europeo? Sulla base di quanto approvato nel dicembre 2012 da Consiglio Ue e Parlamento, con una sola pratica all’Epo le imprese potranno proteggere le loro invenzioni in 25 Paesi, senza la necessità di ottenere il riconoscimento nazionale, come avviene oggi. Il deposito potrà avvenire nella lingua madre dell’azienda, alla quale bisognerà far seguire entro un mese una traduzione in inglese, francese o tedesco.

Se è stato approvato nel 2012, come mai non è ancora entrato in vigore? La convenzione internazionale che istituisce un sistema giuridico unico (Unified Patent Court) con competenza esclusiva sulla validità e sulla violazione del brevetto unitario europeo necessita, per entrare in vigore, della ratifica in 13 dei 25 Paesi aderenti al “pacchetto brevetto unico”, che si compone di due regolamenti: il primo istitutivo dello strumento e il secondo del regime linguistico. Finora solo l’Austria ha ratificato l’accordo intergovernativo per la costituzione di un tribunale unico, Francia e Belgio dovrebbero seguire a breve.

Perché il brevetto europeo sarebbe indispensabile per le imprese italiane? Ormai l’unico modo per essere competitivi è quello di proteggere i prodotti e i servizi dotati di creatività e innovazione, quindi che l’importanza di godere di un buon livello di sicurezza per i propri brevetti crescerà. La mancata adesione dell’Italia si tradurrà in un enorme aggravio di costi per le imprese italiane che, esportando in Europa, avranno necessità di ricorrere al brevetto unico europeo, ma non ne potranno usufruire in patria, dove sarà richiesto un procedimento a parte. È evidente che queste aziende si troveranno svantaggiate rispetto ai concorrenti tedeschi e francesi, ad esempio. Oltre al fatto che non avere una tutela unica potrebbe disincentivare gli investitori stranieri.

Eppure i dati sui brevetti non mostrano grandi attività delle società italiane…Prima di tutto in Italia il tessuto economico è dominato dalle pmi, che non possono essere raffrontate con colossi internazionali. Inoltre, bisogna tenere conto che le aziende possono decidere di depositare le richieste di brevetto dalle divisioni operative dei singoli gruppi, che possono avere sede in Paesi diversi rispetto a quello di residenza.

Cosa risponde alle pmi tricolori secondo le quali il brevetto unico comporterebbe un sensibile aggravio dei costi?In realtà sono previste agevolazioni nelle tariffe per i Paesi le cui lingue non sono riconosciute come ufficiali. L’Epo dovrebbe scontare la propria commissione del 30%. Senza considerare che abbiamo sviluppato un sistema di traduzione automatico che limiterà le spese. Anche per questo, se l’Italia aderirà al progetto, saranno soprattutto le pmi a beneficiare della maggiore protezione offerta con una diminuzione complessiva dei costi, rispetto ad oggi, di circa il 70%.

C’è apertura verso un Tribunale italiano? Dipende da cosa s’intende. Nel Trattato sono previsti tribunali centrali con sede a Parigi, Monaco e Londra e una serie di tribunali decentralizzati in altri Paesi tra cui potrebbe esserci l’Italia. In primo grado compete all’impresa o al privato decidere se ricorrere al tribunale centrale o decentralizzato. In secondo grado invece la Corte d’Appello ha sede in Lussemburgo.

Crede che la posizione italiana si risolverà felicemente? Assolutamente sì.

EPO, QUESTA SCONOSCIUTA (SOLO IN ITALIA)

Costituita 41 anni fa da sette Stati, oggi l’Epo può contare su 40 Paesi, tra cui tutti gli Stati Ue, e rappresenta la sola porta di accesso a un mercato di 600 milioni di abitanti. L’istituzione ha la sede principale a Monaco (più altre a Berlino, Vienna e L’Aia) e impiega 7 mila persone. Oggi i brevetti rilasciati dall’Epo possono essere riconosciuti negli Stati aderenti. Le richieste sono passate dalle 4 mila del 1978 alle 266 mila del 2013 (+2,8% sul 2012). A presentare richieste sono stati soprattutto Usa, Giappone, Germania, Cina e Corea del Sud. In tutto, lo scorso anno sono stati rilasciati 66.700 brevetti europei (+1,6% sul 2012). Il budget per il 2014 è pari a 2 miliardi di euro.