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Non si smette mai di migliorare

È la filosofia di Bruna Bottesi, Country Manager di NetApp italia, alla continua ricerca di nuove iniziative per rendere i dipendenti ancora più motivati. Perché lavoratori appagati portano migliori risultati anche in termini di business

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Al terzo posto nella classifi­ca World’s Best Multinatio­nal Workplaces, al quinto in Europa, per il terzo anno consecutivo NetApp rien­tra nella top five stilata da Great Place to Work. Un riconoscimento frutto di un for­te orientamento per il benessere dei propri collaboratori, fondato sulla consapevolezza – più dif­fusa all’estero che in Italia – che dipendenti “felici” lavo­rano di più e meglio, con importanti ritorni in termi­ni di efficienza e produtti­vità. Ed è stata proprio la sintonia su questo versante a portare, due anni fa, Bruna Bottesi in NetApp.

Cosa significa per un’azienda e per un manager ricevere questo riconoscimento?È una grande soddisfazione, perché a monte c’è veramente molto lavoro e fa piacere che i dipendenti lo riconosca­no e apprezzino. Dopodiché considero questa survey come una fonte di spunti sulle possibili aree di miglioramento, di cui discutiamo sempre in azienda affin­ché si instauri un circolo virtuoso.

Dunque, la sente anche un po’ come una responsabilità?Se devo essere sincera, quando stiliamo i piani annuali, il ranking in questa clas­sifica non è il mio primo pensiero. Un buon posizionamento è una conseguen­za, arriva se lavoriamo bene, ma quello che mi guida è il desiderio di costruire un ambiente di lavoro in cui tutti cerca­no di dare il meglio e sono messi nelle condizioni di poterlo fare. Se poi si pen­sa alla realtà italiana in cui la disoccupa­zione è alta, allora si percepisce una re­sponsabilità sociale ancora più forte.

Può fare qualche esempio delle iniziati­ve che hanno portato questi risultati?Ne abbiamo messe in campo diverse, sia a livello corporate sia nazionale. Sul primo fronte potrei citare l’Ambassador program e la Guiding coaliton. Il primo mira a sfruttare il forte orgoglio di appar­tenenza all’azienda dando la possibilità, ai dipendenti che lo desiderano, di di­ventarne ambassador, fornendo loro la formazione necessaria affinché abbiano informazioni sempre aggiornate e cor­rette sul campo in cui lavoriamo e sap­piano distinguere quanto è il caso di condividere sui social dai dati riservati. È un’iniziativa che sta avendo grande suc­cesso, basti pensare che i NetApp am­bassador sono già 3 mila su 12 mila di­pendenti. La Guiding coalition è invece un gruppo trasversale, che cambia ogni anno e coinvolge dipendenti di ogni li­vello e area del mondo su candidatura volontaria, che identifica possibili aree di miglioramento (anche operative) e la­vora per implementare le nuove propo­ste. Il tutto con una fortissima sponsoriz­zazione da parte del nostro Vice Presi­dent americano.

E a livello italiano?Dopo aver dedicato, l’anno scorso, due giornate di lavoro alla scuola di San Fe­lice sul Panaro colpita dal terremoto in Emilia del 2012, quest’anno abbiamo reinterpretato il nostro impegno nei loro confronti preparando, con i ragazzi di seconda media, lo spettacolo NetApp’s Got Talent, tenutosi il 28 maggio scor­so, cui hanno preso parte i ragazzi stes­si, i nostri dipendenti – me compresa – e alcuni artisti professionisti. E poi stiamo portando avanti un percorso formativo dedicato alle soft skill, che vede impe­gnati sia manager che employee, in par­te separatamente e in parte insieme. Pos­so anche citare la Idea box, dove tutti possono inserire in forma anonima pro­poste e consigli di miglioramento, di cui parliamo ogni primo lunedì del mese per vedere cosa può essere implemen­tato e cosa no, e per quali motivi. Pro­prio dall’idea box è emersa l’esigenza di avere la possibilità, ogni tanto, di parla­re con me one-to-one. Così è nato B4U, ossia un certo numero di ore a disposi­zione, ogni mese, per incontrarmi diret­tamente.

C’è un’idea che non è ancora riuscita a realizzare?Mi piacerebbe poter mettere in atto progetti di aiuto agli altri di maggio­re portata, magari fuori dall’italia. Cre­do sia difficile che diventino realtà per questioni di budget, ma non si può mai sapere, magari sarà possibile trova­re una soluzione lavorando con le as­sociazioni. L’altra cosa che vorrei fare, che avevo anche già valutato quest’an­no ma che non sono riuscita a realizza­re sempre per ragioni di budget, è coin­volgere le nostre famiglie in iniziative come quella nella scuola di San Felice sul Panaro.

A sentirla parlare, sembra che, alla fine, le iniziative sociali si rivelino i più effi­caci strumenti di team building.È vero. Perché oltre a condividere con i colleghi momenti che vanno al di là del lavoro, ti danno la possibilità di tocca­re con mano il disagio altrui e ricordare quanto sei fortunato. Siamo tornati tutti commossi e più felici.

Far parte di una multinazionale aiuta? L’impressione è che all’estero le aziende siano più attente a questo aspetto…La conferma di questo fatto l’ho avu­ta ancora una volta alla serata di pre­miazione organizzata da Great Place to Work: nessuna delle aziende nomina­te tra le pmi era italiana, eppure il nostro è il Paese delle piccole e medie imprese. Purtroppo sono temi che gli imprendito­ri della Penisola tendono a non conside­rare, anche se poi naturalmente ci sono delle eccezioni.

Oggi il top management delle azien­de hi tech inizia a contare anche qual­che donna, ma fino a pochi anni fa era­no una rarità. Come è cambiato l’am­biente?I settori tecnologici sono, appunto, mol­to tecnici, per cui si tendono ad assume­re ingegneri. E di ingegneri donne ce ne sono. D’altra parte, la mia storia lo di­mostra, non tutti gli ambiti richiedono un background strettamente tecnico, il manager deve sì avere delle conoscenze in questo campo, ma anche competenze più allargate di business, finance, mer­cato… In ogni modo, ancora oggi non è che incontri poi così tante colleghe, e le incontro purtroppo più nelle function che nel business. E ovviamente più negli Usa che in Europa. Ora però in Italia la legge prevede delle quote rosa nei board delle società quotate, secondo me è un passo importante.

Eppure in molte non le vedono di buon occhio…Anch’io all’inizio! Mi dicevo: voglio entrare in un cda perché sono brava, non perché devono rispettare una quo­ta. Poi però ho mitigato questo pensie­ro. Se il sistema non permette di arriva­re a certe cariche solo grazie alle pro­prie capacità, allora bisogna forzarlo. Lo vedo come un passaggio obbligato per il cambiamento.

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Bruna Bottesi - Dal 2012 al vertice della filiale tricolore di NetApp, in precedenza la manager trentina era Vice President & General Manager Printing & Personal System Hewlett- Packard Italia