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Musica per le nostre orecchie

I giovani cantanti tricolori? «Talentuosi, anche se arrivano dai reality». Sanremo? «Impronosticabile, perché lì conta solo l’esibizione sul palco». La polemica con i discografici? «Meglio dialogare con gli artisti». Parola di Mario Volanti, patron di Radio Italia

Sono passati 30 anni da quando Radio Italia cominciò a mandare in onda una programmazione rivoluzionaria per quel 1982: solo ed esclusivamente musica italiana. All’epoca le emittenti private trasmettevano prevalentemente hit straniere e la scommessa di Mario Volanti, fondatore di quello che sarebbe diventato il network tricolore per antonomasia, sembrava a dir poco azzardata. E invece. Oggi Radio Italia è una realtà da 26,5 milioni di euro (il fatturato del 2011, in sostanziale pareggio rispetto al 2010), punto di riferimento per tutti gli artisti nostrani che puntano a far sentire la propria voce in Fm, in Tv, su Internet e persino sugli smartphone. Già, perché nel frattempo Radio Italia è diventata anche una App.Il palinsesto per il trentennale prevede programmi speciali fino a giugno (leggi). Approfittiamo della ricorrenza per fare con Volanti un rapido bilancio di questi 30 anni, che per l’emittente milanese pare siano passati altrettanto rapidamente.

Dalla radio privata all’App per smartphone e tablet, in 30 anni ne avete fatta di strada. Ma ha mai avuto la tentazione di ritoccare il claim “Radio Italia solo musica italiana”?Intende cambiare il format? Assolutamente no, è il nostro principale patrimonio, noi abbiamo cominciato a trasmettere musica italiana quando non la faceva nessuno. Altro che modificarlo, bisognerebbe metterlo a bilancio sotto la voce “patrimonio aziendale” . Ritoccarlo sarebbe follia pura, soprattutto ora che la musica italiana continua a crescere, e trovare risorse è diventato meno difficile.

Per lei quali sono i talenti da tenere d’occhio?I Modà, prima di tutto. Noi li abbiamo seguiti fin dall’inizio. Poi ci sono Noemi e Marco Mengoni, per lo meno se ci riferiamo agli ultimi due-tre anni. E direi anche Emma e Alessandra Amoroso.

Sono destinati a durare qualche stagione televisiva come le trasmissioni che li hanno partoriti?No, non credo. È solo cambiato il modo in cui gli artisti vengono proposti. Ma il vivaio è lo stesso, non mi stupirei se uscisse presto un altro Tiziano Ferro, o un altro Alex Britti. La verità è che si è smesso di fare scouting. Le case discografiche in passato hanno sempre fatto fatica a scovare talenti. Adesso c’è molta roba, forse troppa. Più che altro la difficoltà sta nell’orientarsi in tutta questa scelta.

Ferro e Britti hanno avuto successo, certo, ma perché non emergono più mostri sacri?Per le nuove proposte è difficile aggregare numeri importanti, soprattutto nelle tournee. È un problema di collocazione musicale. Lei ha citato la Pausini: ero al Forum durante la sua tappa milanese. Sette serate tutte sold out, e a Roma è stato lo stesso. Ancor più delle vendite degli album, è questa l’aggregazione che fa la differenza.

Secondo lei non c’è un problema di, mi passi l’espressione, minor grandezza della musica italiana?La musica italiana è cambiata, certo. Ma è un’evoluzione naturale. Sulla scena sono entrati nuovi protagonisti, che hanno dato un senso di novità in termini di sonorità e di struttura autorale, ma non di linguaggio. Lucio Dalla non ha cambiato linguaggio, né lo hanno fatto Claudio Baglioni o Antonello Venditti. E noi mandiamo in onda con la stessa voglia e soddisfazione sia brani come Avrai, che ormai ha 30 anni, sia l’ultimo singolo del cantautore romano, L’Italia è. Non vedo differenze sostanziali. È più un effetto nostalgia. La musica, soprattutto attraverso la radio, si fruisce in maniera personale, ognuno ha sensazioni e ricordi diversi che sono proiettati sul brano che si sta ascoltando. È quello che rende emozionante una canzone. Mi diverto tantissimo a leggere i commenti che gli ascoltatori lasciano su Facebook sulle canzoni che stimolano ricordi. Ognuno si fa il suo film, in questo senso il mezzo radiofonico è assolutamente superiore a quello televisivo. La Tv ormai, tra satellite e digitale terrestre, la faccio da 14 anni e ho imparato a conoscerne i limiti.

Come si fa a trasformare una canzone in un ricordo, senza farne un tormentone?Noi mediamente mandiamo in onda il singolo nuovo di un artista tre-quattro volte al giorno. Escluso il “Disco Italia”, che ha una frequenza maggiore, circa il doppio, ed è l’unico momento in cui diamo a un pezzo una pressione superiore rispetto alle dinamiche normali.

Ecco, la promozione. I discografici spesso polemicamente sostengono che voi radio abbiate il coltello dalla parte del manico rispetto al lancio di nuovi artisti.Iniziamo col dire che tra le radio e i discografici oggi esiste un rapporto di collaborazione che all’inizio non c’era. È stato solo in seguito che le major ci hanno cercato, perché hanno capito che potevamo essere un veicolo utile. Ma negli ultimi anni a livello mondiale l’industria discografica ha avuto una forte contrazione, e il numero di interlocutori si è ridotto drasticamente. Abbiamo il coltello dalla parte del manico? Ni. Io ho un rispetto estremo per un artista e per la sua musica. Quando però c’è un artista e c’è della musica. Diverso è quando invece mi propongono qualcosa che musica non è. Il rapporto comunque, per quanto riguarda Radio Italia, è stato sempre più con l’artista che con la casa discografica. Sa, gli artisti restano, le case discografiche cambiano.

Chi si aspetta che emergerà da questo Sanremo?Ho visto alcuni nomi, ma anche quando arriverà (l’intervista è stata realizzata a fine dicembre, ndr) l’elenco con il cast definitivo non sarà semplice fare pronostici. L’organizzazione è molto in ritardo: di questo periodo, per la scorsa edizione, avevano già fatto tutto. Ma è un anno particolare per tutti quanti, anche per il Festival. E le dico che è difficile fare pronostici perché a Sanremo davvero la canzone è la sola protagonista. Ne parlavo sempre con Laura Pausini, confidandole una cosa che in tutti questi anni non le avevo mai detto. La solitudine (il brano con cui vinse la gara dei giovani a Sanremo 1993, ndr), al primo e anche al secondo ascolto mi era sembrata una canzone normale. Ma la differenza a Sanremo la fa quel che succede sul palco, mentre l’artista si esibisce. E Laura trasformò quella canzone che sul nastro mi era sembrata normale in un successo strepitoso.

I giovani ascoltano ancora la radio?Il pubblico giovane latita. E gli investitori puntano su altre dinamiche, da Internet a Facebook passando per tutto quello che fa tendenza. Si pensava che l’iPod, con la possibilità di caricare 5 mila e più brani in un dispositivo che sta in tasca, avrebbe ucciso la radio. Non è successo. È vero però che i ragazzi ascoltano la musica su altre piattaforme. Noi abbiamo tanti modi per farci ascoltare. L’Fm rimane fondamentale, ma le nuove tecnologie ci permettono di essere sul Web, sui telefonini, sul digitale terrestre, sul satellite. Alla radio è legato un concetto di prodotto, non di distribuzione.

Come si è evoluto il prodotto in trent’anni?Sostanzialmente non è cambiato, si è adeguato ai cambiamenti culturali e sociali, è cresciuto di pari passo all’evoluzione generale. All’inizio Radio Italia era solo musica, poi sono arrivati i programmi, fino a quando nel 2005 abbiamo cambiato rotta. Abbiamo dato una connotazione di palinsesto a un’emittente che prima trasmetteva solo canzoni. Ci siamo dati da fare per cercare conduttori adatti al nostro linguaggio e al nostro progetto, li abbiamo trovati e ora il network mi piace. Ripeto, il nostro ruolo non è cambiato molto, siamo istituzionalmente la radio di musica italiana. Piuttosto è cambiato il ruolo dei competitor, che hanno cominciato a trasmettere la musica italiana.

Come vede la radio tra dieci anni?Mi auguro di vedere esattamente quel che c’è oggi, che a sua volta non è molto distante da quel che c’era dieci anni fa. Spero che il mezzo cresca, che sia un punto di riferimento come prodotto editoriale nelle evoluzioni tecnologiche. Il concetto di radio non è tanto modificabile, e io lo vedo come ciò che stiamo facendo noi: una voce che tiene compagnia, anzi, tante voci, ognuna per proprie competenze. No, non credo ci saranno grossi cambiamenti, anche perché saremo ancora tutti quanti qui. E la prossima generazione ancora non riesco a immaginarla.

30 ANNI DI PASSIONE