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Marco Icardi: conoscere è potere

Continua ricerca e innovazione. È questo il gene che ha spinto la multinazionale statunitense a divenire leader della business analytics e che, secondo l’amministratore delegato della filiale italiana, ha consentito a tante eccellenze tricolori di distinguersi a livello globale. L’importante è non dimenticarsi mai di ascoltare e di valorizzare la componente umana

The power to know. Il potere della conoscenza. È sul valore inestimabile che le informazioni (e la loro elaborazione) costituiscono per le imprese e le pubbliche amministrazioni, che Sas opera dal lontano 1976 a livello globale e, dal 1987, anche in Italia. Una lunga esperienza che le ha permesso di diventare la maggiore società di software e servizi di business analytics e la più grande società a capitale privato nel mercato della business intelligence. Un settore in cui è stata pioniera, oggi divenuto imprescindibile per qualsiasi impresa, pmi incluse. Perché nell’era della ipercomunicazione digitale conoscere se stessi, il mercato e i propri competitor non è più un optional e allo stesso tempo richiede gli strumenti adeguati. Così, in piena crisi economica, mentre molte realtà chiudevano i battenti, il numero dei suoi clienti è cresciuto esponenzialmente, portandola a conoscere e lavorare con il meglio dell’imprenditoria: di questo abbiamo parlato con Marco Icardi, amministratore delegato della filiale italiana dal 2009.

«UN COINVOLGIMENTO PERSONALE di tutti per orchestrare al meglio i progetti di crescita aziendale. Con un pizzico di PASSIONE ED ENTUSIASMO»

Quando si parla di aziende, di solito, si fa riferimento a qualcosa di prosaico e tangibile, prodotti e ricavi per esempio. Ma si può in qualche modo affermare che le imprese abbiano anche un’anima? Sono certo che ce l’abbiano e quella di Sas è variegata, riunisce diverse componenti. Tra queste, mi ha sempre attratto lo spirito di ricerca e di innovazione che la caratterizza, e che da un lato si concretizza in una spinta verso il futuro, dall’altro nell’immagine della scoperta: due aspetti profondi della natura umana che ritrovo in azienda. Pensare che il cuore del vostro lavoro sono i dati, comunemente ritenuti freddi, anonimi, in contrapposizione alle attività creative e umanistiche.

Possiamo, quindi, dire che anche i numeri hanno un’anima? Sicuramente hanno un loro fascino, che si scopre non appena si approfondisce la conoscenza della matematica. Oggi esplorare e rielaborare i numeri significa anche scoprire tante nuove informazioni, che di “freddo” non hanno nulla. Basti pensare all’analisi del genoma, e quindi di noi stessi in quanto esseri umani, o all’evoluzione del nostro pianeta. Ogni volta che affrontiamo queste elaborazioni riescono a stupirci oltre che ad affascinarci, e credo che siamo in possesso di tutte le tecniche e le conoscenze necessarie per andare a fondo in questa esplorazione.

Insomma, attraverso i numeri aiutate le aziende a conoscere se stesse? Questo è proprio uno dei supporti che offriamo alle imprese. E al giorno d’oggi, in cui è sempre più difficile conoscere se stessi a causa della velocità del cambiamento cui tutte le aziende sono sottoposte, avere la capacità di tenere monitorate quotidianamente le performance è un fattore molto rilevante.

Nell’era della ipercomunicazione digitale, è decisivo conoscere se stessi e gli altri, come persone e come aziende, per essere vincenti sul mercato? La comunicazione diretta, facilitata da strumenti come app e social network, così come dalla mobilità, ci porta a essere sempre interconnessi e a modificare le nostre aspettative, i nostri comportamenti, sulla base delle informazioni puntuali che riceviamo. Intervenire a questo livello suggerendo o semplificando la messa a punto di strategie e la presa di decisioni sulla base dei dati a disposizione è allora divenuto fondamentale. Ma alla interconnessione deve necessariamente accompagnarsi la capacità di elaborare le numerosissime informazioni da cui siamo bombardati. Per fare un esempio, risulta molto più stimolante ed efficace un suggerimento puntuale in seguito alla visione di un determinato film o la lettura di un certo libro, piuttosto che una pubblicità generica. Ecco, io credo che questa capacità di contestualizzare e rendere personali le interazioni sia la frontiera futura verso cui evolveranno anche i sistemi sempre più automatizzati di elaborazione dell’informatica.

Però, l’enorme mole di informazioni a disposizione rende ancora più difficile l’elaborazione dei dati. Il punto è riuscire a eliminare il rumore di fondo e individuare gli elementi distintivi. Far emergere le idee e le notizie particolari che il Web ci offre diventa un elemento differenziante per tante aziende. Proseguendo sul piano metaforico, se l’aspirazione all’innovazione e alla conoscenza è l’anima di Sas, quale potrebbe essere il suo corpo? Penso che siano le persone a fare la differenza, anche sul mercato, non solo in termini relazionali ma anche di competenze. Poi, certo, lo scheletro che ci sostiene è la qualità dei prodotti e le soluzioni solide che abbiamo costruito in più di 38 anni di lavoro nel campo del business analytics.

Lei è entrato in azienda per la prima volta nel 1998, come è cambiata Sas da allora? Quando ho fatto il mio ingresso in Sas, eravamo leader in mondi analitici che venivano considerati di nicchia; con il tempo invece questa conoscenza si è diffusa, inoltre c’è stato un salto tecnologico importante che permette di accedere a certe piattaforme e soluzioni anche a imprese che in passato non avevano nemmeno l’ambizione o la necessità farlo. Globalizzazione, digitalizzazione delle informazioni e mobilità creano oggi i presupposti per cui tutte le aziende hanno la necessità di muoversi in questa direzione, con il vantaggio di un costo economico di ingresso decisamente più basso rispetto al passato.

Anche in considerazione del fatto che il settore era di nicchia, cosa l’ha spinta a scegliere proprio Sas? Sono sempre stato appassionato di matematica e statistica, in più sono un ingegnere e proprio per elaborare la mia tesi di laurea ho sfruttato un linguaggio di programmazione Sas. È in quel momento che ho stabilito un primo legame con quest’azienda. Dopodiché per dieci anni ho seguito un percorso professionale differente, ma non appena si è presentata l’occasione, non me la sono lasciata sfuggire. Forse da fuori è difficile da cogliere, ma si tratta di un mondo davvero affascinante: siamo la più grande azienda privata al mondo di software avanzati in questo campo, e dà grandissima soddisfazione lavorare su tanti processi che, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, fanno parte della nostra vita quotidiana.

C’è un aspetto di questa impresa che non conosceva e l’ha impressionata positivamente dopo aver iniziato a lavorarci?Fin dall’inizio mi ha colpito il fatto di essere parte di una rete, e quindi di essere immediatamente messo a conoscenza di quello che man mano Sas va facendo nel mondo, ma anche di avere l’opportunità di vivere un continuo scambio di esperienze. La rete nostra interna è molto forte e penso che questo sia ancora un elemento che ci differenzia da tante multinazionali del settore.

LE PASSIONI DI MARCO ICARDI

Ci racconta una delle cose più importanti che ha imparato nel corso della carriera? Ho imparato ad ascoltare sia quanto i clienti e i colleghi sanno, sia quanto vorrebbero fare, solo così nascono progettualità nuove. È un processo di apprendimento che nel tempo, interagendo con settori e competenze diverse, ti permette di portare valore e innovazione nell’azienda in cui lavori.

C’è un’innovazione portata da lei di cui è particolarmente fiero? Essere sempre all’avanguardia, magari in pochi settori, ma rilevanti: è questo lo spirito che mi ha guidato. Per esempio, è stata la filiale italiana ad aprire il discorso sul risk management e ancora oggi in quest’area deteniamo la leadership funzionale. Negli anni abbiamo inaugurato anche altre attività, come una forte apertura alla rete dei nostri partner: siamo leader nel modo in cui comunichiamo la complessità della nostra azienda e il Sas forum ha avuto grande risonanza proprio perché siamo riusciti a trasmettere informazioni anche su materie molto complesse. Abbiamo creato un innovation hub, in cui piattaforma e tecnologia si coniugano a esperienze e casi reali e pensiamo di portare innovazione anche in quest’area.

Trovo interessanti questi primati italiani, perché si pensa sempre che in campo tecnologico il mondo anglosassone sia più avanti di noi… Noi europei possiamo insegnare molto, perché abbiamo sicuramente una cultura più aperta, una maggiore capacità di essere innovativi. Dopodiché è importante portare le novità nel mondo americano, perché loro sono poi molto bravi, più di noi, nella messa a punto della produzione.

Quali sono secondo lei i vostri punti di forza? Su cosa dovete invece migliorare? La nostra forza è dare risposte concrete ai clienti su progetti che poi vanno effettivamente in porto con successo. Sembrerebbe un elemento scontato eppure è ancora quello che ci differenzia. Riusciamo a farlo perché abbiamo tenuto al nostro interno le competenze e le tecnologie necessarie, e perché sappiamo sfruttare la rete dei partner nel modo giusto. Il mio cruccio, invece, è che ci sarebbe molto di più da fare. Potremmo essere molto più visibili a livello Paese, servendo le istituzioni pubbliche in modo più rilevante di quanto accade ora, ma anche partecipando ai progetti di trasformazione dei nostri clienti in modo più strategico. Su questo stiamo lavorando e, se da un lato rappresenta una mancanza, dall’altro apre prospettive interessanti per il futuro.

Insistete spesso sull’importanza della condivisione e della collaborazione tra aziende – credo che il Sas forum ne sia una delle prove più evidenti – perché la ritenete prioritaria? Non rappresenta un rischio condividere il proprio sapere e le proprie competenze? Oggi la domanda di data scientist è enorme, e noi stiamo lavorando con diverse università affinché questa cultura dell’informazione sia sempre più diffusa. Non solo i manager del futuro, ma anche quelli di oggi, dovrebbero essere in grado di governare i processi tecnologici attivi all’interno delle loro aziende oltre a comprendere le problematiche di business, eppure siamo di fronte a un importantissimo gap di formazione. Basti sapere che già da uno studio di un paio di anni fa risultavano mancanti, solo a livello europeo, ben 4 milioni di persone con queste caratteristiche. E in assenza di persone con queste conoscenze, il settore rimarrà nella nicchia che occupava in passato e che dovrebbe già aver superato. L’obiettivo è quindi colmare questo gap ed è possibile farlo solo parlando il più possibile di certi temi, aprendosi anche a livello di competitor e diffondendo le conoscenze in nostro possesso. Oggi il potere non è tenere per sé le informazioni, la conoscenza è diffusa. Quello che cerchiamo invece di tenere per noi, come valore aggiunto, è piuttosto come sfruttare questa conoscenza.

1976 Fondazione di Sas negli Usa. Il nome nasce come acronimo di “statistical analysis system” e all’inizio si concentra sulle ricerche agricole.1987 Sas sbarca nella penisola: è l’anno in cui apre la sua sede tricolore.1993 Sas investe la quota più alta nella storia (34%) del proprio ricavato in Ricerca & Sviluppo.2003 Sas sviluppa Iem (Information Evolution Model), un modello per supportare le aziende nel valutare l’utilizzo delle informazioni e ottimizzare i ritorni di business.2012 Esce la soluzione Sas Visual Analytics, dopo 35 anni di R&S e continui confronti con clienti provenienti da tutto il mondo. 2013 Idc identifica Sas come leader di mercato, con una quota del 35,4% negli Advanced and predictive analytics.

Per la natura stessa della vostra attività, lavorate a stretto contatto con molte imprese, dalle pmi alle multinazionali. Cosa accomuna, secondo lei, le aziende di successo? Non posso che tornare a parlare di persone, sono quei dipendenti che sanno applicare in azienda veri processi di trasformazione che permettono di fare la differenza. Per fortuna a livello italiano vi sono veramente tantissime eccellenze, anche perché da anni abbiamo scuole di alta formazione in grado di creare una cultura manageriale forte e molto avanzata, e di fare la differenza sul mercato internazionale. Oggi un approccio di questo tipo è indispensabile, e di conseguenza lo è avere una competenza global, che si costruisce anche attraverso una conoscenza molto puntuale dei vari mercati. È qui che entra in gioco il nostro lavoro.

Dunque, la spinta all’innovazione è un po’ lo spirito che accomuna tutte le aziende di successo, grandi o piccole che siano? Certo. Poi ovviamente ci si differenzia nei mondi e nei modi in cui si va ad applicare l’innovazione, che non sempre coincide con quella che vive nel nostro immaginario. Anche l’attenzione ai costi e all’ottimizzazione interna delle risorse aziendali è un elemento di trasformazione che ha colpito tutte le aziende e ha rappresentato una spinta al rinnovamento.

Ogni azienda vincente, però, ha anche un leader vincente: quali sono le qualità chiave che non possono mai mancare a un buon leader? In primis, la visione di dove vuole portare l’azienda. E poi il coinvolgimento delle persone nel progetto da realizzare: nessuno, da solo, è in grado di innescare il processo di trasformazione di un’intera impresa, specie se grande. E nessuno, ai tempi dell’evoluzione ultrarapida, deve pensare di avere tutte le capacità necessarie per essere l’unico elemento di evoluzione. Occorrono competenze molto variegate e in rapida trasformazione, e queste si ottengono solo costruendo team che sappiano lavorare molto bene insieme e siano coinvolti in un progetto visionario. Il tutto ovviamente senza scordare di tenere i piedi per terra, affinché l’azienda sia anche sostenibile. Non bisogna mai sottovalutare l’importanza dell’attenzione alle risorse e ai costi, di ottimizzazione ed efficienza.

C’è un manager o un imprenditore cui si ispira nel suo lavoro? A dire il vero ci sono tanti aspetti diversi che mi affascinano in diverse personalità, da Steve Jobs ad Andrea Guerra fino al nostro stesso Ceo, Jim Goodnight, che ha una visione affascinante di come modellare l’ambiente di business. Insomma, ci sono una serie di stimoli che ricevo dall’esterno e cerco poi di adattare alla mia personalità e all’azienda che guido, perché naturalmente ciascuno di questi personaggi ha degli aspetti estremamente positivi e altri meno. Penso per esempio a Steve Jobs e al suo modo di “comandare”, è un aspetto del suo modo di essere che non sento mio e spero sinceramente di impersonare in maniera diversa.

Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese di agosto 2015

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Appassionato di matematica e statistica, il suo legame con Sas inizia dalla tesi di laurea, elaborata sfruttando proprio un programma dell'azienda, in cui è entrato nel 1998. Dal 2009 è amministratore delegato della filiale italiana