
Gennaro Ivan Gattuso
È la risposta più efficace a chi descrive il calcio come uno sport svuotato definitivamente di ogni valore. È un simbolo ineguagliabile di grinta, determinazione, spirito di sacrificio. È, grazie alla sua immagine, il testimonal perfetto per promuovere la vendita di prodotti e servizi. È un campione del Mondo che non ha dimenticato da dove è partito ma sa bene dove vuole arrivare. È Gennaro Gattuso, più volte definito - a ragione - la faccia pulita del calcio, un uomo dai valori granitici, un personaggio che riassume in sè molti dei pregi dell’italiano medio, forse condito da qualche amabilissimo difetto.
Oltre al calcio, lei svolge varie attività: è testimonial di aziende note, presiede la Fondazione non profit Forza Ragazzi, è imprenditore in Calabria di un’azienda per la depurazione e lo stoccaggio dei molluschi ed è proprietario di alcuni negozi di articoli sportivi. Come è composta l’azienda Gennaro Ivan Gattuso? Quante persone collaborano con lei in tutte queste attività?
Diciamo che ho la fortuna di avere al mio fianco tante persone che mi vogliono bene e che, oltre a questo, mi danno una grossa mano a portare avanti un così grande numero di attività. Alcune lavorano con me qui a Milano. Altre, di cui, però, si occupano i miei genitori, un punto di riferimento importantissimo nella mia vita, sono in Calabria. In totale i collaboratori più stretti si contano forse sulle dita di una mano. Quanto poi al totale delle persone che a vario titolo sono coinvolte nell’operatività, sinceramente non saprei.
La sua popolarità, già elevatissima in precedenza, è esplosa con i Mondiali di Calcio del 2006. Su quale strategia si basa la gestione della sua immagine?
Non esiste una strategia! Io sono e rimango Rino Gattuso, un semplice ragazzo che arriva dalla Calabria e che si è fatto le ossa nel mondo del calcio, avendo la fortuna di arrivare in un grandissimo Club come il Milan che mi ha regalato tanti successi. Se sono campione del mondo è anche grazie alla vetrina che il Milan mi ha dato in Italia, oltre al mio impegno sul campo.
Come è cambiata la sua immagine dagli esordi a oggi?
Beh, quando sono arrivato al Milan, nonostante gli anni di esperienza in Italia e anche all’estero, ho dovuto imparare a confrontarmi con una mentalità e uno stile decisamente differenti. Innanzi tutto ho cambiato il mio look: via i capelli lunghi, via la barba. Inoltre, quando arrivi in un Club esposto ogni giorno, tutti i giorni dell’anno, all’attenzione di decine di media, nazionali e internazionali, devi anche imparare a “comportarti”, come dice mia mamma, sia in campo sia al di fuori perché sei sempre e comunque sotto i riflettori. È vero che dal punto di vista della grinta e della determinazione in campo il mio atteggiamento non è cambiato: sono e rimango il “Ringhio” che tutti i tifosi conoscono e per me questo è un motivo di vanto. Per il resto penso di essere cresciuto molto in questi anni e credo che anche il pubblico se ne sia reso conto.
Lei presta la sua immagine a numerosi brand: Vodafone, Nike, Gillette, Coca Cola. Quali sono le caratteristiche che la rendono il testimonial ideale di queste aziende?
Innanzitutto lavoro per aziende che hanno come riferimento principale il mondo dei giovani, non giovanissimi, e penso che il mio “personaggio” sia adatto per comunicare con questo tipo di pubblico. Cerco sempre di trasmettere agli altri l’immagine vera di me stesso. Quindi, anche se la gente è abituata a vedermi grintoso, quando gioco - atteggiamento questo che si addice bene a certe tipologie di prodotti, soprattutto sportivi - nella vita privata sono anche un papà innamorato dei suoi figli e della sua famiglia, che si scioglie davanti a una coccola. In alcuni spot pubblicitari che ho girato, penso venga fuori anche questo lato della mia personalità. Un altro aspetto che non mi dispiace mettere in mostra è l’autoironia perché, come mi piace ripetere spesso “nessuno nasce imparato”!
Recentemente ha formato anche una coppia pubblicitaria con Francesco Totti. Perché, secondo lei? Che cosa vi accomuna?
Francesco è una persona adorabile. A lui mi accomunano molte cose. Innanzitutto è un ragazzo profondamente legato alla sua città e alle sue origini e lo ammiro moltissimo perché tante sue scelte professionali sono state prese sulla base di questo grande affetto per Roma. Poi, come me, è molto attaccato alla sua famiglia e, oltre al naturale amore per i suoi figli, ha deciso di portare avanti attività trasversali alla sua professione per aiutare i bambini e le persone che si trovano in difficoltà, spesso giocando sull’autoironia, come si vede nei libri che ha pubblicato in questi anni. Da questo punto di vista, anche se in generale non giriamo gli spot nella stessa città e quindi non ci incontriamo, direi che la coppia è senz’altro vincente. Il pubblico, comunque, rimane l’unico giudice.
Lei è un simbolo di sport positivo. I tifosi milanisti, italiani quando gioca nazionale, ma anche quelli inglesi impazziscono per lei. Addirittura in Canada è stato istituito un Gattuso Day. Qual è il segreto del suo successo?
Sinceramente non penso che esista un segreto e se c’è, io non lo conosco! Una cosa di cui sono orgoglioso è di essere riuscito a rimanere Rino, quello stesso che da ragazzino sognava di diventare calciatore, quello che si ricorda dei sacrifici di mamma e papà, quello che non smetterà mai di ringraziarli per tutto quello che hanno fatto per lui. È merito loro se in Canada c’è il Gattuso Day, che io considero non il mio giorno, ma il giorno della mia famiglia.
Quali sono i suoi modelli di riferimento in ambito sportivo? E al di fuori del calcio?
Giocare in un grande club come il Milan ti dà la possibilità di confrontarti con tantissimi grandi campioni. E non parlo solamente di grandi calciatori, ma soprattutto di grandi uomini. Un esempio su tutti è Paolo Maldini: principe di fair play e fuoriclasse straordinario in campo, carisma e leadership eccezionali nello spogliatoio, discrezione ed eleganza fuori dal campo, con i media, nella vita privata. In una parola: inimitabile. Per quanto riguarda la mia vita privata il mio modello di riferimento è senz’altro mio padre Francesco, un esempio di sacrificio e determinazione, di amore e conforto, un punto fermo nella mia vita.
Quanto contano le sue origini umili, il fatto di venire da un paesino della Calabria, nella sua motivazione a raggiungere il successo?
Penso che per il carattere che ho la determinazione l’avrei avuta comunque. Forse il fatto di arrivare da un piccolo paese ti fa capire che è ancora più difficile raggiungere il successo perché hai meno opportunità, quindi ci vuole tanta pazienza, tanto impegno, tanta attenzione a non fare passi falsi.
Gli allenatori e il pubblico l’hanno sempre apprezzata, tanto nel Milan quanto nella Nazione Italiana, per la sua tenacia e per la capacità di incitare i compagni. Che cosa vuol dire fare squadra?
Fare squadra vuole dire condividere lo stesso obiettivo e capire che si può sbagliare. Fare squadra vuole dire che quando si sbaglia si ha la capacità di analizzare i propri errori e andare avanti, anche quando tutto il mondo ti dà contro. Ecco come siamo riusciti a vincere la Champions l’anno scorso, ecco come abbiamo portato a casa la Coppa Intercontinentale quest’anno. Ecco come la Nazionale ha vinto il campionato del Mondo nel 2006. Senza dimenticare la bravura dei singoli calciatori, naturalmente.
L’Italia è l’unico Paese dove il problema della violenza negli stadi non ha trovato una soluzione. Qual è il suo punto di vista?
Per trovare la soluzione alla violenza negli stadi bisognerebbe trovare la soluzione alla violenza. Non è semplice. Non credo che tutti i tifosi siano violenti, ma, come in tutti i grandi gruppi organizzati, esistono delle frange che sfuggono al controllo e che sono composte da individui che vogliono semplicemente scombussolare l’ordine e creare caos. Mi sembra assurdo, però, che ci scappino i morti, troppi fino a oggi. Sinceramente penso sia una questione molto complessa, su cui è necessario riflettere attentamente anche se chiudere gli stadi non mi sembra la soluzione migliore.
Che tipo di interventi sarebbero necessari, anche sulla scorta della sua esperienza all’estero?
Sicuramente la certezza e la severità della pena. In Inghilterra se sgarri anche di poco rischi davvero la prigione e sei bandito dagli stadi, in modo serio. In Italia siamo un po’ carenti da questo punto di vista.
Il fatto che le società calcistiche italiane abbiano una pressione fiscale decisamente superiore alle squadre ad esempio spagnole o inglesi può chiudere sempre più spazio all’arrivo in Italia di campioni stranieri. Ritiene che sia un male assoluto o un’opportunità per lavorare sul vivaio?
Scusi, mi può ripetere la domanda?
La carriera dei giocatori di calcio è destinata a concludersi quando sono ancora molto giovani. Ora ha la possibilità di gettare le basi per il suo futuro. Che cosa sta facendo?
Come ho detto in precedenza, insieme a persone che mi affiancano nella vita professionale ho dato il via a diverse attività imprenditoriali che penso rappresenteranno il mio futuro, soprattutto l’esperienza in Calabria. Sono molto legato alla mia terra e credo che, una volta appese le scarpe al chiodo, mi dedicherò molto a questa azienda (nel dicembre 2006 ha inaugurato una società per la depurazione e lo stoccaggio dei molluschi, ndr). Non so ancora se tornerò a vivere lì, comunque passerò a Corigliano molto tempo, molto più di quanto posso permettermi ora.
Che lavoro avrebbe fatto se non fosse diventato un calciatore?
Non ci ho mai pensato perché essere un calciatore fa parte di me e non riesco a immaginarmi diversamente.
A differenza di molti calciatori, lei conduce una vita “normale”. Che cosa ne pensa dello star system alla David Beckham?
È un mondo che non mi appartiene, un modo di vivere la professione di calciatore che è fuori dai miei schemi. Però è una questione di scelte e una questione di indole, di personalità. Se a lui sta bene così, e deve essere così per forza perché altrimenti non lo farebbe, allora siamo a posto.
LE PASSIONI DI GATTUSO | ||
Libro Il silenzio degli innocenti di Thomas Harris |
Luogo Gli Stati Uniti in generale |
Squadra Il Dream Team Usa (la nazionale statunitense di basket) delle Olimpiadi di Barcellona del 1992 |
Film C’era una volta in America di Sergio Leone |
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