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Giovanni Cova: dai set agli spot

Biglietti omaggio, product, placement, campagne advertising, sostegno al tax credit. Da oltre dieci anni Qmi supporta produttori e distributori del cinema, in partnership con le aziende che scelgono i film come mezzo di comunicazione alternativo. Parola al presidente…

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Usare l’entertainment come veicolo promozionale per sostenere le iniziative commerciali e comunicative di un marchio, rafforzandone l’immagine e l’awareness.

A farlo per prima, nella Penisola, oltre dieci anni fa, è stata la milanese Qmi, che da allora si è mossa su un doppio binario: da un lato, ha supportato produttori e distributori nei lanci pubblicitari di blockbuster, dall’altro ha unito il nome di brand ai contenuti emozionali e valoriali di una novità sul grande schermo, così come nel campo dei videogame o in quello della musica.

Obiettivo: far emergere tutte le potenzialità dell’intrattenimento, sfruttandone le numerose leve strategiche, dalla gestione di buoni cinema per le attività promozionali e di incentivo delle aziende ad attività di product placement, dalla produzione di branded content fino alla creazione ad hoc di eventi come l’Area Movie al Lucca Comics & Games (240 mila ingressi paganti e 400 mila presenze nel 2014).

Giovanni Cova, fondatore di Qmi, oggi presidente della società, ne illustra i progetti. E traccia un bilancio di un’impresa da 12 milioni di euro di fatturato, che in un decennio ha collaborato con quasi mille clienti nazionali e stranieri.

Debutto nella produzione

Fin dall’inizio avete affrontato una sfida, sulla scia dell’esempio americano: legare la storia e i valori di un marchio a quelli di una narrazione cinematografica tramite product placement e iniziative consumer. Con l’ultimo film di Natale del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, avete raggiunto uno step successivo che, come da lei dichiarato, potrebbe costituire un modello virtuoso da replicare in futuro… Esatto. Con Il ricco, il povero e il maggiordomo, prodotto da Agidi Film e distribuito da Medusa, per la prima volta due aziende – Carrefour e Chateau d’Ax – hanno deciso di investire su un titolo lanciando una lunga e variegata serie di attività co-marketing, sia dentro che fuori dal set, fin dall’inizio delle riprese. In particolare, l’insegna leader della grande distribuzione, che aveva già collaborato proficuamente con noi in occasione dell’uscita di saghe come Pirati dei Caraibi e Indiana Jones, ha costruito attorno alla commedia una complessa campagna durata sei mesi, mettendo i suoi prodotti a disposizione delle persone impegnate nella lavorazione e, parallelamente, lanciando promozioni mirate sui punti vendita, accanto a un’efficace strategia digital e di ufficio stampa che ha visto protagonista il famoso trio comico. Il secondo marchio, invece, in stretta sinergia con gli scenografi, ha offerto know how e complementi d’arredo per gli allestimenti e ha “raccontato” questo legame con il trio con un’attività promozionale a giugno e due forti campagne di comunicazione su tutti i mezzi a giugno e a dicembre.

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Qmi, inoltre, cura operazioni finanziarie di tax credit esterno. Che importanza strategica ha questo incentivo? Lo ritengo uno strumento molto interessante sia per un produttore sia per un investitore. Da un lato, consente a un film di poter contare su forme continuative di finanziamento; dall’altro permette a soggetti extra settore di finanziare la realizzazione di un’opera beneficiando di sgravi fiscali. Un esempio recente? Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, prodotto da Indigo Film, ha ricevuto, con tale modalità, e con la nostra consulenza, il sostegno economico di due gruppi storici come Farmaceutici Dott. Ciccarelli e De Rigo Vision, che, parallelamente, hanno comunicato i propri brand attraverso uno storytelling accattivante e coerente con la narrazione sul grande schermo.

GLI ITALIANI HANNO

UN CAPITALE UMANO

MOLTO FORTE, MA SONO

TROPPO INDIVIDUALISTI

Dal 2008 – con la distribuzione in diretta via satellite del concerto di Elton John a Parigi – vi occupate anche di contenuti alternativi per la sala. Quali sono le principali novità su questo fronte? Continueremo a portare al cinema gli spettacoli della Royal Opera House di Londra. Accanto alla musica classica e all’opera, ci sarà spazio anche per il pop: cercheremo di replicare successi simili a quello riscosso con il live di Vasco Rossi a San Siro nel 2012 (20 mila spettatori paganti in 180 sale). Presenteremo inoltre classici in versione restaurata e avremo un bellissimo documentario-evento, Black and white stripes, dedicato alla storia della Juventus, che distribuiremo assieme a Good Films. Stiamo anche lavorando con alcuni brand per scegliere dei contenuti, vicino ai loro valori, da portare al cinema come evento.

Prima di fondare la società nel 2004, ha studiato e lavorato anche a New York e Londra. Quali divergenze rileva nell’approccio italiano al business rispetto a quello anglosassone? Ci mostriamo più creativi e flessibili rispetto alla media, abbiamo un capitale umano molto forte. Nello stesso tempo, siamo un popolo di individualisti, aspetto che può anche costituire un limite: sovente non sappiamo fare squadra, per non parlare di certi comportamenti che sfociano nel malcostume, nella furbizia, nella corruzione… E così, a differenza di inglesi e americani, ci troviamo di frequente a operare in un sistema privo di fiducia, che rende difficile lavorare nelle condizioni migliori.

Se dovesse estrapolare dei valori cardine su cui poggia la sua azienda? Il nostro staff si compone di circa 50 dipendenti, tutti abbastanza giovani: l’età media è attorno ai 30 anni. A ciascuno è richiesto di essere innovativo, dote chiave che implica la necessità di applicarsi intensamente al proprio incarico, oltre a una notevole attitudine alla sperimentazione e alla predisposizione ad assumersi, e onorare, numerose responsabilità. Tra queste c’è il grande e costante supporto che va garantito ai nostri clienti, con una forte attenzione al messaggio comunicativo da veicolare. Senza dimenticare, naturalmente, la capacità di emozionare, emozionandosi per primi.