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Élite di competenze

Non una lobby con il pallino del business, ma un network di volontari disposti a mettere a disposizione tempo e professionalità per il bene comune. Questo il ritratto del Rotary tracciato da due suoi membri italiani

Servire al di sopra di ogni interesse personale. È il motto del Rotary, celebre network internazionale nato a Chicago nel 1905. A distanza di oltre un secolo – novant’anni esatti dall’arrivo in Italia, nel 1923 – quasi tutti i cittadini del mondo sanno bene che questa realtà esiste. Molti ne subiscono il fascino, altri le attribuiscono attività di lobby, ben pochi hanno davvero le idee chiare su cosa sia e come operi. Per scoprirlo abbiamo incontrato Marco Milanesi, governatore del Distretto 2040 (comprende indicativamente le aree di Milano, Varese, Monza, Como, Lecco, Bergamo e Sondrio), e Daniele De Giuli, presidente del Rotary Club Milano Cordusio.

QUATTRO AMICI… IN UFFICIO

Il Rotary nacque la sera del 23 febbraio 1905, quando il giovane avvocato Paul Harris incontrò tre amici – il commerciante di carbone Silvestre Schiele, l’ingegnere minerario Gustavus Loehr e il sarto Hiram Shorey – per discutere l’idea di un club che riunisse, organizzando incontri regolari, persone di differenti professioni. Le prime di queste riunioni si svolsero a turno presso gli ufficio o le abitazioni dei vari soci, per far conoscere a ciascuno l’attività degli altri. Proprio tale sistema di rotazione portò poi Harris a chiamare il suo sodalizio Rotary.

Governatore, cos’è il Rotary?

M: È un network mondiale di un milione e 200 mila soci al servizio della comunità. Uomini e donne al vertice delle loro attività professionali o imprenditoriali che mettono a disposizione le loro competenze e il loro tempo libero per attività tese a migliorare la qualità di vita della società in cui vivono. E lo fanno in parte attraverso service internazionali e in parte attraverso progetti legati a territori specifici.

Dunque, la professione svolta è decisiva?

DG: È una nostra peculiarità entrare nell’associazione in base alle nostre competenze, attraverso un sistema che chiamiamo di classifiche, perché pensiamo che per servire la comunità dobbiamo rappresentarla nella sua interezza e conoscerne i bisogni. Una peculiarità ben rappresentata dal nostro stemma, la ruota dentata, della quale ogni dente rappresenta una diversa professionalità. Tutte queste competenze messe insieme riescono a dare una risposta migliore ai bisogni di tutti.

Come si coordinano le iniziative dei singoli club con i distretti e a livello mondiale?

M: I vari distretti fanno da tramite tra il presidente internazionale e i singoli club (il nostro ne conta 85), portandoli a conoscenza delle linee guida generali per l’anno corrente, che dovranno tenere presenti nell’organizzare tutti i loro service. Quest’anno, per esempio, il motto è “Costruire la pace attraverso il servizio”. Dopodiché sono i club a individuare i bisogni del territorio. In genere, quello che siamo in grado di fare è intervenire nelle situazioni di “emergenza” e poi, una volta riportate in condizioni gestibili, affidarle ai professionisti del settore. Non abbiamo l’arroganza di pensare di poter fare meglio delle organizzazioni specializzate.

Si può anche proporre un progetto?

DG: Certo, lo possono fare i singoli, così come le organizzazioni. Non è raro che si rivolgano a noi addirittura le istituzioni. Occorre solo trovare un club che sposi il progetto e lo porti avanti, eventualmente proponendolo anche a livello di distretto o addirittura internazionale.

È quanto accaduto con il vostro progetto più distintivo, Polioplus?

M: Questo programma che mira all’immunizzazione antipolio di tutti i bambini del mondo, e che è ancora il nostro progetto internazionale più importante, è nato in Italia, su iniziativa di Mulitsch di Palmenberg, che alla fine degli anni ‘70 era il presidente del Club Treviglio e Pianura bergamasca. Dal 1985 è diventato programma ufficiale del Rotary International, che appena tre anni dopo ha firmato un protocollo di intesa con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Center for Desease Control americano e l’Unicef, per dare vita alla Global Polio Eradication Initiative, un’alleanza per l’eradicazione della poliomielite nel mondo. Dal 1988 a oggi i casi sono calati del 99%, passando da circa 350 mila casi l’anno a meno di 300. Ora sono rimasti solo tre Paesi in cui la malattia è endemica: Nigeria, Pakistan e Afghanistan. E non abbiamo intenzione di mollare proprio adesso. Significherebbe vanificare quasi 30 anni di sforzi.

DG: Vorrei sottolineare che Polioplus non significa occuparsi dell’acquisto del farmaco: numerosissimi rotariani hanno dedicato le loro vacanze a viaggi nelle zone interessate per partecipare personalmente alla vaccinazione. Questa è l’altra caratteristica distintiva del network, oltre alle competenze: l’impegno personale.

Quali sono i campi in cui operate?

M: In genere ci concentriamo su alcune aree specifiche: salute, fame, povertà, acqua, infanzia, formazione, e sviluppo economico. E tutte le iniziative sono reperibili sui siti dell’associazione, dei singoli distretti e dei club. Poi, ovviamente, dietro a tutto il nostro lavoro c’è un meccanismo di aiuto ai club e di finanziamento costituito dalla Rotary Foundation.

La possibilità di entrare in un club è sempre legata alla presentazione da parte di un socio?

M: Le modalità di accesso si sono adeguate all’evoluzione dei tempi. Resta la possibilità tradizionale dell’ingresso su presentazione, ma oggi è comunque possibile fare richiesta di adesione. A quel punto i club valutano due aspetti: la professionalità e la rotarianità, ossia l’adesione ai valori dell’associazione. Come fanno? È previsto un periodo di frequentazione del club, di durata variabile a seconda delle diverse realtà, in cui l’aspirante socio viene affiancato da un tutor. I nuovi ingressi restano comunque funzionali ai progetti. Non possiamo permetterci di accogliere qualcuno che mira solo al prestigio del network, cerchiamo piuttosto persone che vogliano mettersi a servizio della comunità.

E dire che, spesso, l’immaginario comune vi vede come una élite di prestigio impegnata a fare lobby…

M: In realtà i club rotariani non hanno indirizzi ideologici, politici o religiosi e sono aperti a rappresentanti di qualsiasi razza, genere, cultura e credo. Ci piace considerarci una élite, ma una élite di competenze, non certo di censo. E se certamente non neghiamo il business, ne stabiliamo dei paletti etici. In caso di rapporto di lavoro, quello che si fa per un rotariano non deve essere nulla di più o di diverso da quanto si fa per un qualsiasi altro cliente.

DG: Lo scopo dell’associazione non è certo quello di difendere i nostri interessi…

Il 23 febbraio è stato l’anniversario della fondazione. Avete progetti?

M: Direi che è importante parlare di comunicazione. Se per molto tempo ci siamo accontentati di verificare ed essere consapevoli del bene che facevamo, oggi, con l’evoluzione dei media, questo non basta più. Perciò siamo usciti sulla stampa con una campagna che cercava di spiegare chi siamo: gente comune, con specifiche competenze, che si impegna a lavorare per il bene di tutti. A febbraio è poi iniziata la seconda parte della campagna, quella che mira a raccontare cosa facciamo. Non per autoreferenzialità, ma per vincere i pregiudizi infondati che circondano la nostra associazione.

IN CIFRE

1.200.000

i soci di cui 44 mila in Italia

200

i Paesi in cui è presente

532

i distretti nel mondo

34

mila i club