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È ora di cambiare

«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?» scriveva Dante nella Divina Commedia. A distanza di 700 anni, per molti aspetti l’Italia sembra ancora la stessa ma, afferma il rettore della Luiss Massimo Egidi, è giunto il tempo di riscattarsi

Sul mercato del lavoro italiano le competenze di alto livello abbondano. Dando loro valore, l’Italia potrà uscire dalla crisi, soprattutto se contribuirà anche ad accelerare l’integrazione europea.

A esserne convinto è Massimo Egidi, rettore dal 2005 della Luiss di Roma, dove è titolare della cattedra di Economia dell’incertezza e dell’informazione. Egidi ha svolto la carriera universitaria prima a Torino e poi a Trento, dove è stato rettore dal 1996 al 2004 e dove ancora oggi presiede la Fondazione Bruno

Kessler, l’ente di ricerca nel campo scientifico-tecnologico e delle scienze umane.

Alla Luiss è stato chiamato per mettere in atto un ambizioso progetto di rilancio dell’ateneo, negli ultimi decenni impegnato – come le imprese tricolori – a operare in un contesto sempre più globale. Uno dei punti centrali del suo piano è la specializzazione dell’università nell’alta formazione degli amministratori della cosa pubblica, in Italia ma anche in Europa.

In effetti, solo una classe dirigente illuminata, in grado di guardare avanti, può permettere all’Unione Europea di rafforzare le sue fondamenta messe in grave pericolo dalla crisi economica e finanziaria, dal prevalere degli interessi nazionali a scapito di quelli continentali….La Luiss opera a Roma, e, dunque, non può non eccellere nella formazione dei dirigenti della politica e della pubblica amministrazione. Così, prendendo esempio dall’esperienza della JFK School of Government dell’Università di Harvard, nel 2010 è stata inaugurata la Luiss School of Government, con l’obiettivo di preparare i futuri dirigenti del settore pubblico e privato, nazionale e internazionale, coinvolgendo nelle docenze, tra gli altri, personaggi del calibro di Marc Lazar, Roberto d’Alimonte e Raffaele Cantone. Il nostro sguardo però è andato oltre l’Italia: così l’anno scorso l’istituto ha avviato le attività della School of European Political Economy, con l’obiettivo di formare esperti delle regole europee in tema di economia e finanza.

L’Unione Europea vive la sua più grave crisi da quando è stata fondata. Riuscirà a uscirne?Pensi che alle Europee dello scorso maggio in alcuni Paesi è andato alle urne solo il 13% dell’elettorato. La fiducia nei confronti dell’Europa è a livelli molto bassi e può essere recuperata solo se le istituzioni, sia quelle italiane sia soprattutto quelle comuni, saranno in grado di esercitare finalmente una leadership. Il processo d’integrazione, messo a dura prova dalla crisi, è infatti oggi troppo lento. I rischi di comprometterne il percorso sono molto alti e il quadro in cui ci troviamo è altrettanto preoccupante.

Ma noi italiani quali strategie possiamo mettere in atto per aiutare il Paese a risollevarsi?Nell’ultimo decennio molte economie emergenti avevano registrato alti tassi di crescita del pil soprattutto grazie a un costo del lavoro molto competitivo. Oggi invece a fare sempre più la differenza è il possesso di competenze sofisticate. Numerose aziende statunitensi che avevano investito e aperto impianti produttivi in Cina stanno tornando a casa. La manifattura e la creatività dell’Italia non hanno nulla da invidiare al resto del mondo: penso alla meccanica fine, alla robotica, ma anche alla moda, al turismo e al settore vitivinicolo, capace nel giro di 20 anni di raggiungere la Francia. Le eccellenze non mancano, solo bisogna valorizzarle. Come? Ad esempio, modernizzando il sistema pubblico, restituendo certezza al diritto e accorciando i tempi della macchina burocratica. Nulla che non sia già stato detto e ridetto: solo bisogna farlo.

L’IMPATTO CULTURALE DELLA CRISI È STATO FORTE.

GLI STUDENTI PRIMA

NON PENSAVANO MINIMAMENTE AL FUTURO,

OGGI LO VIVONO CON TROPPA ANSIA

Il mercato interno ha visto crollare i consumi. L’ancora di salvezza delle aziende italiane è l’internazionalizzazione?Il futuro dell’economia è la globalizzazione: per questa ragione, le imprese che già operano con successo all’estero e che hanno investito negli scorsi decenni per portare il made in Italy in tutto il globo, hanno davanti a sé un futuro roseo. La regola vale anche per il settore dei servizi e per le università: per crescere è indispensabile parlare a una platea sempre più vasta. Anche gli atenei operano in un contesto di competizione globale e, per imporsi sui mercati internazionali, debbono a mio giudizio specializzarsi nell’alta formazione manageriale.

Le competenze sofisticate non rischiano però di rappresentare un vantaggio solo per pochi? Non vede il pericolo di un lavoro precario e poco pagato sempre più diffuso?Non vi è dubbio che il mondo sviluppato viva oggi una polarizzazione molto forte tra ricchezza e impoverimento. La classe media attraversa una stagione di grande decadenza. Basti pensare che il tema è stato al centro dell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Obama. Se politica e imprese sapranno lavorare bene, però, quelle competenze sofisticate di cui siamo in possesso non saranno appannaggio di pochi. La precarietà così diffusa deve rappresentare un’eccezione, un posto di lavoro stabile deve tornare a essere la normalità. Inoltre, interventi di sostegno alle fasce di popolazione più deboli saranno di certo sempre più necessari, non solo nei momenti di maggiori difficoltà dell’economia. Una misura intelligente, ad esempio, è il reddito minimo garantito: in Trentino è stato introdotto e funziona molto bene.

Le nuove generazioni stanno mutando approccio al mercato del lavoro, anche perché la crisi in fondo ha cambiato la percezione che l’opinione pubblica ha del ruolo dell’economia nella società. Non crede?Non vi è dubbio che l’impatto della crisi sia stato molto forte dal punto di vista culturale. I ragazzi, ad esempio, sino a qualche anno fa entravano nelle università senza preoccuparsi minimamente del futuro, certi che un posto di lavoro l’avrebbero comunque trovato. Oggi gli studenti sono molto più consapevoli dell’importanza dell’esperienza accademica per la loro vita professionale: prestano così forse meno attenzione al voto, ma molta di più ai contenuti che apprendono in aula. Il cambiamento è stato davvero rapido, in un certo senso quasi traumatico. E, infatti, i giovani lo vivono spesso con troppa ansia. Ma in fondo, se si pensa all’attuale tasso di disoccupazione giovanile, non potrebbe essere altrimenti.

La corruzione è una piaga endemica del nostro Paese: come la si può combattere?Il tema è estremamente complesso, ma risponderò in modo semplice con una frase di Dante: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?» (La Divina Commedia, Purgatorio – Canto XVI). Dopo 700 anni è ora di cambiare.

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