Connettiti con noi

People

Contratto dunque cresco

Il rilancio delle aziende passa dal rapporto diretto imprenditore-lavoratore: è l’unico modo per rimettere al centro le competenze. Lo dice Francesco Rotondi, giuslavorista esperto in relazioni industriali, che avverte: «ma i sindacati sono ancora importanti». Ecco perché

Il suo nome è Francesco Rotondi ed è uno dei soci fondatori dello studio legale Lablaw – Failla Rotondi & Partners con sede a Milano e Roma, ufficio giovane ma già noto nel suo campo: nel 2010 TopLegal gli ha assegnato il premio di miglior studio legale dell’anno specializzato in diritto del lavoro e la rivista internazionale World Finance quello di “Best Italian Industrial and Relations Labour Law Team” per la categoria del diritto del lavoro e delle relazioni industriali. Appassionato delle problematiche sociali e lavorative sin da adolescente, Rotondi ha assecondato questo interesse facendone una professione attraverso l’esperienza decennale presso lo studio legale Trifirò & Partners e poi, dal 2001, all’estero presso lo studio legale Hammonds Rossotto. Ma la svolta arriva qualche anno fa, nel 2006, proprio con la nascita di Lablaw.

Perché fondare un nuovo studio legale?Con Luca Failla, che ha avuto una formazione professionale molto simile alla mia, abbiamo sentito la necessità di dar vita a uno studio specializzato in diritto del lavoro che avesse due caratteristiche fondamentali: fondarsi su professionalità legali giovani, almeno per la logica dell’avvocatura del nostro Paese, e associare la conoscenza approfondita del panorama italiano e delle sue peculiarità con la capacità di interloquire a livello internazionale sulle tematiche giuslavoristiche. Da qui l’idea del nome Labour law, che racchiudesse allo stesso tempo un richiamo alla tradizione e all’internazionalità.

Qual è il vostro ambito d’azione?Siamo dei lavoristi “aziendalisti”, cioè curiamo prevalentemente gli interessi delle imprese. Seguiamo anche alcuni top manager, ma si tratta solo del 2% della nostra attività. Dopodichè sul diritto del lavoro siamo abbastanza trasversali. Del resto nel momento in cui abbiamo deciso di specializzarci in questo campo, l’idea è stata quella di sapere tutto, o almeno provarci. È poi naturale che ci si specializzi sempre di più in relazione alle esigenze dei clienti, quindi negli ultimi anni sono state fondamentali, per esempio, le competenze sulle ristrutturazioni aziendali.

In questo senso un punto chiave sono le relazioni industriali, tornate in primo piano con le vicissitudini della Fiat a Mirafiori e Pomigliano. Dalla sua prospettiva privilegiata come le ha viste cambiare?Devo dire che da un punto di vista tecnico-giuridico in realtà non è cambiato nulla. Il cambiamento riguarda l’atteggiamento delle parti sociali nella relazione industriale. Questo tentativo di mettere in discussione principi non di tipo giuridico ma di prassi scardinando vecchie procedure frutto di pigrizia mentale, certamente è stato in parte avviato dalla Fiat – che per dimensioni e interessi in gioco può rappresentare un’apripista per altri imprenditori – ma è senz’altro una conseguenza della crisi economica internazionale. In questo senso la crisi è stata portatrice di uno slancio positivo, perché è in situazioni come questa che bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, rivedere i propri schemi comportamentali rivelatisi inefficaci, o quanto meno vecchi.

Dove crede che porterà questo tentativo?Sono convinto che porterà al riemergere della centralità dell’azienda. Se c’è un errore che posso imputare al nostro sistema è quello di essere troppo generalista. Questo può andar bene in altri settori, ma quando si parla di lavoro credo che il punto centrale sia il rapporto tra l’imprenditore e i lavoratori, in quel dato contesto e con le sue date peculiarità. Quindi, fermo restando alcuni diritti individuali immutabili e inviolabili, sanciti dalle leggi italiane e comunitarie, credo sarà sempre più la sola contrattazione aziendale – e non quella nazionale – ad essere in grado di offrire una maggiore capacità dell’azienda di competere e, allo stesso tempo, un maggior benessere per i lavoratori. Questo vale solo per il nostro Paese o, vista la sua esperienza internazionale, sta accadendo anche all’estero?Devo dire che criticità e tensioni sono trasversali. Però, senza bisogno di andare oltre i confini europei, bisogna dire che la centralità della contrattazione aziendale è già un’esperienza matura in Spagna, Francia e Germania. Per esempio era un elemento già presente in Spagna, che su questo cambiamento aveva fatto leva per la crescita della propria economia.

Quindi la contrattazione aziendale potrebbe essere uno strumento per il rilancio economico?Il fine è quello. Bisogna sempre tenere presente che l’imprenditore cerca la redditività, mentre ai lavoratori interessa avere una retribuzione. Questi sono gli interessi che devono trovare un punto d’incontro. Bene, credo sia molto più semplice raggiungere un accordo quando i passaggi della contrattazione sono ridotti al minimo. Parlando direttamente con il mio datore di lavoro avrò certamente più probabilità di trovare un accordo soddisfacente per entrambi piuttosto che demandando il compito del negoziato ad altri.

Quindi è questo il consiglio per entrambe le parti in gioco?Sì. Poi in questi ultimi due anni difficili per l’economia ho potuto constatare anche un’altra cosa: dobbiamo imparare a essere più lungimiranti e sottoscrivere accordi sindacali che funzionino anche al mutare della situazione economica esistente quando vengono stipulati. Ma per far questo è necessario che la relazione tra imprenditore e lavoratori sia un interscambio continuo che mette al centro le competenze. Ecco perché non bisogna pensare che per i datori di lavoro la mancanza dei sindacati sarebbe un vantaggio; al contrario significherebbe trovarsi in condizione di discutere temi di fondamentale importanza con persone poco preparate.

Per tornare a lei, in questo contesto qual è il vostro ruolo?Il nostro compito è quello di affiancare l’imprenditore in queste vicende. Se la contrattazione aziendale è certamente una vicenda relazionale, è però anche e soprattutto giuridica, perché l’incontro delle volontà delle due parti deve poi essere codificato e messo per iscritto in un documento che regolerà i rapporti tra le parti definendo come agire, quali comportamenti censurare e le relative sanzioni.

Credits Images:

Francesco Rotondi - studio legale Lablaw