
Da nove anni al vertice di NH Hotel Group Italia, Chema Basterrechea ha ottenuto la guida del suo primo albergo a soli 25 anni
La N sta per Navarra, regione iberica d’origine del fondatore (Antonio Catalán, nel 1978 a Pamplona), la H sta ovviamente per Hoteles. Intorno a questo marchio è cresciuto un concetto di imprenditoria ricettiva che sta facendo scuola in Italia, anche per la massa critica d’offerta che propone: 54 alberghi con oltre 8 mila camere e circa 450 sale meeting in 27 città. Per intenderci, stiamo parlando del primo gruppo ricettivo del nostro Paese, e terzo in Europa, dove le imprese del settore sono essenzialmente medie se non addirittura a conduzione familiare. Da nove anni al comando c’è uno spagnolo, a dire il vero molto (felicemente, a suo dire) italianizzato, Chema Basterrechea, Ceo di Nh Hotel Group Italia, asturiano di 47 anni, una laurea in Economia, e varie specializzazioni conseguite in giro per il mondo.
Basterrechea, lei ha studiato in Irlanda, Uk e Usa, ha lavorato in Spagna, Portogallo, Germania, Olanda e Italia. Si può sapere quante lingue parla, oltre allo spagnolo?
Solo italiano e inglese, in realtà. E da quando lavoro qui, penso anche in italiano. Così, quando mi capita di dover parlare in inglese, vengo preso in giro perché dicono che ormai sono uno spagnolo con l’accento e la costruzione verbale di un italiano. Per non dire che quando parlo spagnolo inserisco parole italiane tradotte “con fantasia” (ride
).
A soli 25 anni il gruppo le ha affidato il suo primo albergo, senza che lei avesse un seppur minimo background di hotellerie. Per questo ha dichiarato che a quel punto si è “messo in ascolto” dei dipendenti più esperti. Quant’è importante questo atteggiamento nelle aziende ricettive?
È importante per qualsiasi tipologia di azienda e ancor di più per chiunque operi nei servizi, perché si ha a che fare con le aspettative delle persone. Mettersi in ascolto per me è stato l’unico modo per rispettare quanto era stato fatto in passato e tirare fuori le best practise da cui ripartire. A 25 anni, avevo un buon background accademico e nessuna expertise: partire da zero, senza nessun pregiudizio, è stato fondamentale in un mestiere in cui conta essenzialmente essere molto attenti ai bisogni del cliente. Per affittare una camera, basta un piano industriale. Mentre se si vuole trasformare ogni soggiorno in un’esperienza, si deve sorprendere positivamente l’ospite, che magari arriva in albergo stanco, giù di morale e ha una particolare necessità, perciò in quel momento deve trovarsi di fronte personale sensibile ed empatico.
VALORIZZARE I GIOVANI MANAGER
È L’UNICO MODO PER RESTARE
AL PASSO CON I GUSTI DEI CLIENTI
Di solito in Italia serve – parole sue – «avere una certa età per aspirare a ruoli di responsabilità», mentre voi avete avviato programmi per manager giovani. Questo approccio esiste anche a livello internazionale?
È insito nella cultura meritocratica della nostra compagnia: si danno responsabilità ai giovani e poi li si accompagna nel percorso. Anche perché serve una contaminazione continua di nuovi punti di vista, perché il cliente di oggi non è quello di domani, che saranno invece i Millennial. Pensi che il nostro attuale direttore acquisti in Italia, solo sei anni fa, era assistente di un direttore operativo regional. A un certo punto, gli assegnammo il progetto di gestione informatica degli acquisti, e lavorò così bene che quando il direttore acquisti è stato trasferito a Madrid per un progetto global, ne ha preso il posto. La nostra è pura valorizzazione dei talenti.
Quanto è importante avere dirigenti con una cultura trasversale?
È fondamentale. Il mio direttore operativo, uno dei due soli spagnoli che ho qui con me, a Madrid era un controller. L’ho portato in Italia per fargli ricoprire un ruolo che non esisteva: direttore pianificazione e controllo. Poi è stato promosso a direttore commerciale. Che cosa c’entrava col ruolo precedente? Nulla a prima vista, tantissimo invece nei fatti. Il direttore commerciale non deve essere il migliore venditore, ma nel nostro settore – diviso in molte sub-aree (pricing, ecommerce, sales, distribuzione ecc.) – deve avere grandi capacità analitiche ed organizzative, una leadership notevole, e deve saperle mettere a frutto su più fronti.
Nel 2015 avete registrato una crescita a due cifre dei ricavi. A che punto siete col vostro piano quinquennale (2014-2018), che nelle linee guida prevede il riposizionamento di alcune strutture verso la fascia medio-alta, lo sviluppo del nuovo marchio Nh Collection e il consolidamento del segmento meeting ed eventi?
Nh è il primo gruppo alberghiero in Italia. Devo dire che siamo più avanti di quanto previsto. Non perché siamo più bravi, ma a causa dell’integrazione con le nuove compagnie che abbiamo acquisito. Il piano punta molto a riqualificare il prodotto. Abbiamo concentrato grandi risorse sull’Italia, ristrutturando la globalità dei nostri key asset a Roma, Milano, Genova, Torino e Firenze. In parallelo, in tutte le altre strutture, quelle già a posto o non ancora performanti, ci siamo focalizzati sui “Brilliant Basics”: sono gli elementi fondamentali di un soggiorno come sommier (materasso, ndr
), Tv, doccia, phon. Per il resto, abbiamo fatto pulizia del portafoglio cedendo gli asset non strategici.
In effetti, avete fatto acquisizioni importanti negli ultimi anni.
Abbiamo acquistato la Jolly, di cui detenevamo il 20%, in joint venture con Banca Intesa. Poi Framond in Sicilia. E ancora la nostra start up Nh Italia che aveva alcuni contratti firmati e tre hotel operativi: Nh Laguna Palace a Venezia-Mestre, Nh Santo Stefano a Torino (aperto per i Giochi 2006) e il Nhow di via Tortona a Milano, un design hotel aperto sempre nel 2006. Abbiamo ristrutturato quasi tutte le strutture Jolly tranne tre che abbiamo ceduto (Caserta, Ischia e il Ligure di Torino), perché non strategiche e per finanziare le altre operazioni. Siamo usciti da altre strutture non strategiche, cedendole a operatori locali, e abbiamo aperto 15 nuove strutture.
Devo dire che si fa fatica a starvi dietro: il numero dei vostri alberghi continua a oscillare. Tra inaugurazioni e cessioni non state mai fermi?
Mai! Ma non solo in Italia, anche all’estero Nh cresce a forza di integrazioni. Il passo successivo è l’investimento per la riclassificazione delle strutture. Abbiamo alberghi diversi tra loro, come il President in centro a Milano, in Largo Augusto: è il nostro flagship e lo abbiamo ristrutturato completamente in base alla location, alla clientela ecc. A Linate invece abbiamo un’offerta con un pricing totalmente differente, ma entrambe con qualità molto alta. Ci piace dire che siamo una catena “a 4,5 stelle”. Così le strutture sopra la media sono diventate la Nh Collection, poi c’è l’86% dell’offerta Nh “standard” e, infine, la sfida del brand Nhow, urbano e fresco che ci aiuta a diversificare l’offerta. Il tutto, ovviamente, è volto a massimizzare i ricavi: grazie a esperti in revenue management e marketing, abbiamo migliorato la segmentazione dei clienti raddoppiando i risultati della compagnia senza raddoppiarne la dimensione.
Ho letto una sua dichiarazione in cui sostiene che il comparto alberghiero in Italia è molto frammentato e che questo rende gli hotel costosi, non esteticamente belli e di età media elevata, non portando valore aggiunto né ai clienti, né agli investitori. Non è stato tenero…
Sono i dati a dirlo. Partiamo da un presupposto: l’Italia è il Paese in Europa che ha il numero più alto, in assoluto non pro capite, di strutture – oltre 33 mila – e anche di posti letto. Ma non presenta gli indici turistici più alti. Il sistema è frammentato e questo sarebbe un sintomo di concorrenza immensa e perfetta, ma purtroppo il binomio proprietà immobiliare-gestore non ha aiutato a rinnovare in continuazione il parco alberghiero. Il numero medio di camere a hotel è molto basso e questo rende difficile professionalizzare e industrializzare le aziende ricettive. I clienti arrivano lo stesso? Forse, ma si tratta di una visione molto a breve termine, perché prima o poi il business model non regge… Servirebbe piuttosto imitare il modello del retail, dove il proprietario immobiliare fa un mestiere diverso da quello del “conduttore”, per il quale serve un grado di competenza altissima. Per questo vedo ampi margini di crescita per le aggregazioni.
IL SISTEMA È TROPPO FRAMMENTATO:
BISOGNEREBBE SEPARARE LA GESTIONE
DALLA PROPRIETÀ DEGLI IMMOBILI
Quanto conta l’Italia per voi?
Ha un peso molto importante, ma è stato anche l’investimento più alto di Nh a livello internazionale. Nel 2015, probabilmente grazie anche a Expo, saremo stati fra i primi due Paesi a livello di contribuzione all’Ebitda. Meno alberghi e meno ricavi, ma più Ebitda.
Cos’ha di spagnolo Nh Hotel in Italia, e cos’ha invece di squisitamente tricolore?
Mi piace insistere sull’italianità di Nh. Abbiamo investito molto utilizzando – non solo per filosofia ma anche per buonsenso – fornitori tricolori. Abbiamo investito nei tempi di maggiore crisi aprendo più di 15 strutture. Ogni apertura, al di là dei nostri investimenti diretti in FF&E, vale dai 15 ai 50, 80 milioni di euro investiti direttamente dai proprietari delle strutture. Lascio a ciascuno il calcolo del valore diretto ed indiretto generato totalmente nella Penisola. Abbiamo una struttura corporativa con tutte le divisioni – marketing, commerciale, operations, Hr, sviluppo, tecnico, legale, It, acquisti – fatta da italiani. E paghiamo le tasse in questo Paese. Sono certo di non dire nulla di nuovo, sostenendo che abbiamo molto in comune (ride
). Il nostro a.d. dice sempre che gli spagnoli e gli italiani amano servire. E questo l’elemento essenziale che ispira la nostra capacità di soddisfare e, se possibile, anticipare le necessità del cliente. Certi come siamo che ciò che il cliente non è disposto a perdonare, o ciò per cui ringrazia e si sente gratificato, è soprattutto il comportamento delle persone.
A livello europeo, si va verso l’armonizzazione dei requisiti per l’assegnazione delle stelle agli alberghi. Come giudica questo provvedimento?
Il problema è che si può anche definire un quadro normativo generale, ma se poi in ogni regione, a volte in ogni provincia, le disposizioni sono interpretate in modo diverso come avviene attualmente, non succede nulla... La verità è che il cliente giudica in base alla qualità percepita, ciò che è lusso o meno non può essere stabilito a tavolino dall’Unione europea. Certo, è importante che ci siano delle norme di funzionamento generali, soprattutto in materia di sicurezza, dopodiché deve essere il libero mercato a decidere. Basti dire che le stelle sono nate quando non c’era ancora Internet…
Lei è in Italia da nove anni e probabilmente ha sentito tanti ministri definire retoricamente il turismo come il “petrolio d’Italia”. Cosa pensa delle strategie del nostro Paese su questo fronte?
Sono molto pragmatico, non mi piace dettare la linea agli altri, perché cerco inizialmente di agire su ciò che dipende da me. Faccio parte del consiglio direttivo di Confindustria Aica e siamo appena riusciti a integrare i piccoli imprenditori, arrivando a rappresentare più di 2 mila alberghi. Direi che sarebbe già importante poter lavorare bene in seno ad aggregazioni come questa: prima c’erano addirittura due organizzazioni in Confindustria, una per le catene e una per i singoli alberghi... Qui, ogni categoria di operatori ha più associazioni di rappresentanza. In Spagna invece c’è Exceltur, che è l’eccellenza della filiera turistica e fa da unico interlocutore al governo, per tutte le categorie. Grazie a questa regia, oggi la spesa media per turista a Barcellona è di 12 euro, a Roma di cinque. La Spagna è diventata fra i primi player mondiali turistici assieme a Stati Uniti e Francia, perché c’è stato un piano preciso negli anni, indipendente dall’alternanza al governo. Si è promossa innanzitutto la Spagna tutta, non il miele dell’Alto Adige o il formaggio laziale piuttosto che le cipolle calabresi (tutti prodotti eccellenti!)... E per di più spendendo meno delle risorse complessive italiane, che invece sono andate disperse in troppi rivoli. L’Italia detiene il 50% del patrimonio artistico mondiale, è una meta allettante per i turisti, vanta un’iniziativa imprenditoriale importante, può contare sul richiamo e il prestigio del made in Italy, possibile che non sia capace di darsi un piano serio a livello istituzionale, a darsi degli obiettivi e a perseguirli fino in fondo? È tutta colpa dell’individualismo italiano? Forse, ma ci sono margini di crescita incredibili che non vengono sfruttati. E ciò è un peccato.
Anche il settore alberghiero deve fare i conti con l’avvento della sharing economy, vedi Airbnb e simili. Li considerate concorrenti come gli altri o avversari?
La sharing economy è un bene, se serve a eliminare gli sprechi, ma chi opera in un settore deve essere obbligato a seguire le stesse regole. A oggi, chi sceglie Airbnb, per esempio, non paga la city tax: questa è concorrenza sleale. In Italia, poi, gli alberghi devono registrare anche il secondo occupante nel registro dei viaggiatori per questioni di sicurezza, mentre Airbnb non rilascia alcun dato. E le tasse? Probabilmente il gruppo le paga nei Paesi in cui ha sede legale, ma non in tutti quelli in cui eroga il servizio. Quindi, favorisce l’evasione fiscale. Airbnb nasce da una parola americana per definire gli studenti che mettevano a disposizione l’air
, il materasso, e la colazione, breakfast
, quindi è nata da un concetto low cost, mentre oggi la piattaforma offre anche appartamenti molto lussuosi. Ecco perché è una minaccia: a Milano il numero di stanze a disposizione è raddoppiato e ci sono aziende – non più semplici privati– che affittano diversi appartamenti solo per metterli su Airbnb, creando delle vere imprese non autorizzate. Che non sono come noi tenute a rispettare i canoni di sicurezza e affidabilità di immobili e servizi. Anche questa è concorrenza sleale.
Il settore alberghiero è considerato un indicatore dell’economia. Cosa segna il vostro termometro? Sentite la ripresa?
Vorrei dire di sì, ma la partenza del 2016 è timida. Noi abbiamo un’esposizione molto forte su Milano e su Roma, dove abbiamo ipotizzato un budget interessante legato al Giubileo, ma al momento è discretamente lento; anche a Milano si erano create aspettative alte dopo l’Expo, ma la partenza risulta lenta e il calendario delle fiere non aiuta.
A proposito di Expo, come si fa a non disperdere l’eredità di visibilità e ottimismo generale creati dall’evento?
Dandosi un piano programmatico coerente, che è quanto dicevo prima. In Italia vengono tantissimi turisti, ma non ricevono la massima qualità e di conseguenza non vengono “sfruttati” completamente, perché i flussi non vengono valorizzati ma concentrati su poche località e solo in determinati periodi dell’anno. È assurdo continuare a fare arrivare le crociere solo a Venezia quando ci sono altre decine di porti che meriterebbero altrettanta attenzione, e questo passa attraverso la valorizzazione di tutto il patrimonio artistico, non solo delle solite città d’arte. Ci sono parchi naturali e archeologici che fino a poco tempo fa chiudevano nei week end. Si aprono sempre più musei, ma poi non li si promuove. Milano in questo deve diventare un hub perché è vicina alle Alpi, al mare, a Firenze: deve offrire un livello più alto di servizi e fare da modello.
Puntate molto su meeting e convention. Il “turismo d’impresa” che momento vive?
Per noi si tratta di una voce importante, pesa intorno al 25% sull’intero fatturato e ha una funzione chiave nella definizione della struttura del pricing, soprattutto in una fase storica in cui il nostro business è diventato estremamente deperibile, perché a farla da padrone sono le prenotazioni last minute. I nostri risultati sono figli di un approccio chiaro e innovativo, infatti forniamo un interlocutore unico per tutta l’organizzazione dell’evento, e siamo all’avanguardia nella strumentazione tecnologica che mettiamo a disposizione della clientela: siamo stati la prima catena al mondo a offrire la tecnologia olografica – per presentazioni e videomessaggi – in contemporanea nelle principali città dove operiamo. Piace alle aziende della moda, del lusso, dell’automobile perché toccare quasi fisicamente un motore o una scarpa fa la differenza. Poi ci sono le smart room con monitor multiuso, e ancora al Milano Congress Center, la sala è dotata di un dispositivo hi tech che la mette in comunicazione col personale fuori sala. Sono solo alcuni dei piccoli e grandi plus che abbiamo messo in campo e che spesso riescono a fare la differenza nella qualità del servizio.