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La tv diventa brand

Sembrerà paradossale, ma prima che arrivassero nel nostro paese reti come Fox, Fox Crime e Fox Life piuttosto che History e National Geographic, nessuno aveva mai osato applicare al piccolo schermo i principi del marketing. Ecco come i dieci canali del gruppo sono riusciti – in altrettanti anni – a imporre anche da noi un nuovo modo di fare e comunicare l’offerta televisiva. Ne parla il Vice President, Marketing & Sales, Alessandro Militi

«Quello che ho imparato in dieci anni di televisione e 15 di marketing è che con la scusa di dare ai telespettatori o ai consumatori quello che vogliono ci si dimentica di scoprire ciò che loro per primi non sapevano che avrebbero voluto». Esordisce così Alessandro Militi, Vice President, Marketing & Sales di Fox International Channels Italy, 42 anni e un passato nel largo consumo, se lo si invita a parlare del concetto di brand applicato al mercato del piccolo schermo, all’interno del quale, con l’arrivo di Sky Italia nel 2003, il marketing televisivo è letteralmente deflagrato. Con Fox International Channels Italy come capofila, grazie a canali che hanno fatto scuola: FoxLife è stato in assoluto il primo canale a target femminile per il mercato italiano, idem per FoxCrime (entrambi creati in Italia sono poi stati esportati anche all’estero), Fox è diventata la rete per antonomasia dei telefilm, per non parlare di FoxRetro e poi di National Geographic Channel, NatGeo Wild, NatGeo Adventure e i neonati Fox Sports, l’unico della partita a essere distribuito oltre che sulla piattaforma Sky anche su Mediaset Premium, e Fox Sports 2Hd (in arrivo il 20 dicembre). In tutto e per tutto Fox, fin dagli esordi, sul suo mercato di riferimento è stato l’avversario da battere e il concorrente da imitare per le decine di canali che hanno cominciato a spuntare come funghi negli ultimi dieci anni dell’era televisiva, in seguito al lancio in rapida successione della piattaforma satellitare e del digitale terrestre. Merito certamente della qualità dei contenuti offerti agli abbonati, ma anche dell’approccio innovativo, che gioca tutto sulla creatività e il talento per conquistare la leadership, assumendosi dei forti rischi. Perché, puntualizza Militi, «da noi il marketing non è inteso come una semplice funzione aziendale, ma come un processo di gestione dell’intera azienda».

Le passioni di Alessandro Militi

CON BEN DUE ROMANZI AL SUO ATTIVO, PER LEI SCRIVERE È UNA VIA DI FUGA DAL MARKETING? Sì e no. In Fuffa, il marketing è parte integrante della vita del protagonista. E se non avessi fatto marketing forse non l’avrei scritto, quindi è una fuga con ritorno… In Massimo della vita è solo accennato. Fondamentalmente ho sempre scritto, lo considero un atto catartico che mi consente di immergermi in un mondo parallelo e staccare completamente la spina. Quando scrivi diventi i protagonisti del libro, è un po’ come vivere la vita di qualcun altro.

CHE PROGRAMMI GUARDA IN TELEVISIONE, ESCLUSI QUELLI DEI SUOI CANALI, OVVIAMENTE? Be’, esclusi Homeland, The Walking Dead e The Americans direi che il giovedì è difficile uscire di casa con X Factor. Sono fan di MasterChef, mi piacciono Le Iene (soprattutto Enrico Lucci) e Il testimone. Sono un cinefilo totale, spazio dal trash al cinema d’autore.

COME DOCENTE UNIVERSITARIO, L’INSEGNAMENTO È UNA PASSIONE, UNA NECESSITÀ O UNA MISSIONE? Docente è una parola grossa, diciamo che tengo dei corsi di marketing e media; li vivo come un misto tra passione e missione. Credo che i progressi del nostro Paese dipendano da come le nuove generazioni vengono educate a lavorare e a mettere passione in ciò che fanno. Nel mio piccolo credo di poter contribuire insegnando cose che si possono imparare solo da chi vive il business sul campo.

Sbaglio se dico che prima dell’arrivo di Sky, e quindi di voi di Fox, la tv aveva solo un nome, Rai piuttosto che Mediaset, e che poi è invece riuscita a farsi brand? Che processo è avvenuto?

Semplicemente, siamo stati i primi a sfruttare su un media brand leve di marketing fino ad allora appannaggio dei beni di largo consumo. Rai e Mediaset, prima di dieci anni fa, non avevano mai utilizzato campagne stampa, affissione e Internet, spot di brand, eventi sul territorio, per il semplice fatto che avevano sempre avuto come unico scopo quello di fare ascolti. Noi, invece, dovevamo farci acquistare. E per raggiungere l’obiettivo abbiamo costruito marchi portatori di un insieme di caratteristiche intrinseche e valori distintivi, e in quanto tali immediatamente riconoscibili dal pubblico. Così Fox è diventato il canale delle serie Tv, FoxLife quello dedicato alle donne, FoxCrime quello dove trovare gialli e thriller. In sintesi, abbiamo introdotto il concetto di brand verticali, trasformando i canali tematici in veri e propri marchi, e dando al pubblico quello che non avrebbe mai immaginato di volere.

È un po’ quanto lei e Alberto Mattiacci scrivete nel vostro libro (Tv brand. La Rivoluzione del marketing televisivo, ndr): «Nell’era della neo globalizzazione l’importante non è più solo produrre in quantità, ma piuttosto creare domanda».

Esattamente. Per dirla con un esempio: fino a quando non sono stati lanciati i biscotti senza colesterolo, la gente non si era mai chiesta perché non venissero prodotti biscotti senza colesterolo; si limitava a pensare: «Ho i valori alle stelle, non posso mangiare biscotti». Il cambiamento che abbiamo introdotto è stato molto simile. Le persone hanno sempre visto film thriller e letto libri gialli, ma non avevano mai pensato: «Sarebbe bello avere un canale dedicato solo a questo genere!». In fondo è quello che fa da sempre Apple…

Dato per assodato che il brand è una conquista recente per il mondo televisivo, benché arrivati “per ultimi” in questo campo, su cosa vi siete avvantaggiati rispetto ad altri settori? Per esempio, il connubio con Internet a voi è riuscito meglio che ad altri.

È vero, e c’è una ragione fondamentale. A meno che non si tratti di prodotti cult – come Nutella o Coca-Cola – la gente non si fa coinvolgere emotivamente dai marchi di largo consumo. Lo dico per esperienza diretta. Le pagine Facebook dei brand (ormai le hanno tutti) non sono frequentate da fan del prodotto, ma per lo più da persone che hanno cliccato sull’advertising di Facebook, magari perché c’era una promozione. Insomma, il motivo – lo dicono le ricerche – per cui le persone diventano fan di una pagina di un brand o di un prodotto consumer è per avere agevolazioni; devono guadagnarci qualcosa.

Mentre nel vostro caso…

Con la Tv cambia tutto, perché si tratta di beni relazionali. Il “consumo” di un episodio di una serie televisiva non inizia e finisce, come per un film, nel giro di una serata, ma coinvolge per mesi, anche per anni, stagione dopo stagione. Così poi alla fine le persone vanno spontaneamente a fare il live posting su Facebook o il live blogging su Twitter. Non abbiamo bisogno di pagare una pubblicità per attirare la gente, perché gli spettatori amano vedere queste trasmissioni in modo sociale, condividere le proprie opinioni. Non è un’emozione passeggera. Quando dico che si tratta di un bene relazionale, intendo poi che in quanto tale va anche condiviso. Nostre serie come Lost o Grey’s Anatomy, ma anche programmi di SkyUno come X-Factor o MasterChef, diventano argomenti di conversazione. Siamo un’azienda votata al rischio e all’innovazione. La serie The Walking Dead è un esempio calzante: quando tre anni fa proponevamo di sponsorizzare una serie sugli zombie vedevamo solo facce scandalizzate, oggi, invece… Anticipare i tempi e innovare è nel nostro Dna: siamo stati i primi a lanciare la social Tv, a chiedere di commentare i programmi in diretta sui social network, poi ci hanno imitato in molti. Il tutto rimanendo assolutamente pay: il nostro è un bouquet premium per impostazione e vocazione, quindi non saremo mai free.

In un ambiente multicanale com’è l’attuale offerta televisiva, non è facile creare un brand forte che si guadagni la fiducia del telespettatore al punto da spingerlo a sintonizzarsi quasi automaticamente su di esso.

Non è certo facile, ma è l’obiettivo di tutte le aziende di qualsiasi settore in tutte le parti del mondo. L’essere umano vuole prendere decisioni semplici: i brand esistono per questo. Se ne hai uno di fiducia, non lo cambierai – a meno che non ti dia ragioni per farlo – perché intraprendere una strada diversa presuppone un ragionamento, e le persone di solito preferiscono le scelte veloci, intuitive. Oggi va molto di moda dire che “content is king”. A noi però piace dire che sì è vero, “content is king”, ma “brand is the castle”. I re muoiono, i castelli rimangono, se saremo in grado di costruirli con delle fondamenta forti.

Oggi si fa un gran parlare del fatto che i prodotti di marca, a causa della crisi, hanno perso terreno, perché le famiglie non se li possono più permettere. Com’è lo stato di salute del brand televisivo?

A ogni fase di recessione economica corrisponde sempre una crisi di brand. Principalmente perché in questi momenti si tende a comprare il prodotto che costa meno, anche se questo implica rinunciare, almeno in parte, alla qualità. E notoriamente i marchi di successo costano più della media della loro categoria. Ora, dal punto di vista del brand televisivo, non cambia nulla se un utente ha Sky, perché la crisi non ha intaccato la qualità dell’offerta erogata. Il problema deriva piuttosto dal fatto che in un momento di ristrettezze le famiglie sono più restie a sottoscrivere un abbonamento alla Tv.

Cioè a pagare per avere in tutto e per tutto un bene voluttuario…

Esattamente. Se ci pensa, Sky è l’unico prodotto utility per cui la gente sia disposta a sottoscrivere un abbonamento mensile senza esservi costretta: non si può non avere il telefono, la luce, il gas o un conto corrente, lo stesso abbonamento Rai è una tassa… Invece Sky è una scelta. Una variante che ha una fortissima ricaduta sulla “qualità” commerciale della nostra platea. Anche se poi mi viene da dire – a rigor di logica – che se i brand continuano a destinare il grosso dell’investimento in comunicazione sul target delle reti generaliste, che non può permettersi i loro prodotti, è chiaro che non se ne esce…

È vero. Pur riconoscendo il peso dei canali tematici, centri media e inserzionisti inseriscono ancora in prima fila sempre e comunque i generalisti. Cos’è, paura di sperimentare?

Il fatto che siano in prima fila è normale e anche giusto dal punto di vista media. Casomai si può parlare dei pesi dell’investimento. Il problema è di due tipi. Il primo ha a che fare con quello che potremmo definire il concetto capitalistico del “tutto e subito”: finché gli amministratori delegati delle società continueranno a firmare contratti a due o tre anni, nessuna di queste società potrà avere una vera vision di lungo periodo, perché tutti dovranno portare risultati nel breve termine. Questo, a livello media, vuol dire andare sul sicuro, e quindi puntare su un numero di “contatti” che in passato ha garantito un certo ritorno in termini di vendite. Peccato che il mercato sia cambiato e che i target si stiano spostando. All’estero lo hanno capito e investono sul target di alto profilo una percentuale del budget media molto più che proporzionale alla share televisiva. In Italia a quanto pare ci vorrà ancora un po’ di tempo.

Perché?

In primis perché la propensione al rischio è molto bassa, e poi perché siamo un Paese fondamentalmente conservatore con un ricambio generazionale lentissimo. Si dice che Fox e Sky costino tanto a livello pubblicitario. È vero, ma ciò che conta è la qualità di ciò che si acquista. In base alla ricerca di Bankitalia ‘La ricchezza delle famiglie Italiane’, si è scoperto che ci sono 4,5 milioni di famiglie che detengono il 50% della ricchezza del Paese. Non dico un’eresia se assumo che queste famiglie siano esattamente quelle che hanno Sky. Il sistema economico è in stallo e la differenza dei consumi a livello di target è netta: c’è chi consuma un dentifricio non di marca al mese e chi invece ne consuma tre di marca. Quindi, se il pubblico acquista in media tre volte di più, è giusto che i miei spot costino di conseguenza. O sbaglio? Sarò anche di parte, ma la verità è che se fossi il direttore marketing di un consumer brand, oggi investirei almeno il 30% del mio media budget su Sky senza pensarci un attimo.

Mi sta dicendo che esistono rendite di posizione che nessuno è interessato a scalfire in questo momento?

Non parlerei tanto di rendite di posizione perché, se vediamo come si sono mossi gli investimenti pubblicitari negli ultimi due anni, è chiaro a tutti che le nuove tivù hanno portato via quote di investimento importanti alla generalista. Il nodo ancora da sciogliere è quale sia il mix di investimento più efficace per garantire le vendite dei prodotti. E in questo c’è ancora tanto da fare. In un periodo in cui le aziende sono costrette a investire meglio i loro budget, le negoziazioni sui prezzi sono più aspre e il costo della pubblicità si abbassa. Bisogna però capire se questo comprare meglio, ovvero in modo più conveniente, coincida con lo spendere meglio, ovvero con l’essere efficaci. Quando compri un paio di scarpe che costano molto, ti chiedi sempre se hai fatto bene, poi vedi che durano dieci anni e non fai che raccontare agli amici quanto siano stati spesi bene i tuoi soldi dieci anni fa. Non so se ho reso l’idea…

Ha dichiarato che la creatività è la capacità di guardare le cose da diverse angolazioni contemporaneamente. Essere creativi consiste, quindi, nel darsi e nel dare nuovi punti di vista?

Per quel che mi riguarda, la creatività è avere la capacità di vedere le cose in maniera olistica: non c’è mai solo una prospettiva in un contesto così mutevole come quello dei media e questo è il talento creativo più difficile da possedere. Chi non ce l’ha non si può definire un creativo moderno. Una soluzione veramente creativa è quasi sempre una risposta originale a mille domande. Se c’è qualcuno in Italia o nel mondo che a un certo punto pensa fuori dagli schemi e tira fuori “the next big thing”, il tutto prende le mosse da una sequenza di domande. Per questo nel processo creativo è opportuno farsi sempre molte domande. E di solito la risposta che funziona è sempre una ed è semplice. Semplificare è la chiave della creatività.

C’è anche del calcolo…

Ovvio, in Tv e in generale in ogni business che si confronti con il pubblico sono convinto che la creatività sia direttamente proporzionale al margine operativo. Tutte le aziende stanno facendo saving, ma il Santo Graal del successo di un’impresa orientata al mercato non è solo il management, né la finanza, bensì la capacità di gestire il paradosso tra innovazione e controllo dei costi. Sarà su questo che le aziende del futuro si giocheranno la propria evoluzione nel mercato. E la soluzione a questo paradosso è la leadership creativa. In più, bisogna iniziare a capire che quello televisivo è ormai un multiprodotto. Sky e Fox, per esempio, ne sono l’emblema. Non si può più pensare ai nostri show in logica di posizionamento lineare, perché semplicemente il nostro target non pensa più solo in questo modo. Per questo bisogna tenere conto che lo stesso programma potrà essere visto sul tablet invece che in Tv, tramite on-demand piuttosto che in diretta, e ancora, che anche quando è fruito in diretta, potrà essere addirittura messo in pausa. Le generazioni di oggi cresceranno sapendo che possono mettere in pausa la tv, solo cinque anni fa non ce lo saremmo potuti nemmeno immaginare, mentre tra 5 anni per un adolescente sarà strano non poterlo fare.

Voi insistete molto sulla leadership creativa, per Fox Sports avete di recente sviluppato la brand destination sui Top Player. Ora, arrivare prima e meglio dà senz’altro un vantaggio strategico ma, lavorando all’interno di un regime crossmediale, i parametri non dovrebbero mutare?

E perché? I parametri di un business di successo duraturo sono sempre gli stessi: trovare consumatori disposti a pagare per un prodotto o servizio ed essere i primi a produrre quel prodotto o servizio. Questo vuol dire che in un mondo in cui tutto o quasi è stato già inventato, l’azienda che oggi miri a essere leader deve creare i bisogni e capire ciò che i consumatori ancora non sanno di volere. Stiamo parlando di essere all’avanguardia e in questo Sky ci aiuta molto, ha una forte spinta d’innovazione. In un mercato Tv tradizionalista come quello italiano, dove tendenzialmente si è portati a reiterare gli stessi format e contenuti, noi ci poniamo come market maker. E lo spettatore se ne rende conto. Come azienda del gruppo 21st Century Fox insieme a Sky arriviamo prima e meglio, nel senso che non solo tecnologicamente investiamo molto per dare ai clienti il massimo dell’esperienza, ma investiamo moltissimo anche nella produzione di programmi nuovi di altissima qualità che riescono a elevare la cultura media dei telespettatori. Canali come SkyArte e National Geographic Channel con le loro produzioni ogni anno assolvono in pratica un compito più da servizio pubblico che da media company privata.

Nella costruzione di un brand leader, quali sono gli errori che non dovrebbero mai essere fatti?

Gli errori sono parte integrante dell’assumersi dei rischi, anche noi ne abbiamo fatti. La cosa che bisogna evitare in assoluto è promettere ai consumatori più di quello che si può dare. Altrimenti ci si gioca la loro fiducia. Bisogna invece mantenere costante il livello di qualità offerto e casomai aumentarlo. Poi, per canali pay come i nostri è fondamentale proporre contenuti esclusivi, creando un posizionamento chiaro nella mente degli utenti.

Con il lancio di Fox Factory (l’agenzia pubblicitaria interna al gruppo, ndr) nel 2007, ribattezzata Fox Lab a livello internazionale, un team di lavoro italiano è finito a collaborare con Coca-Cola Europe e la Standard Bank of Africa in Sudafrica. Come avete fatto?

Sono convinto che nei prossimi cinque anni tutte le aziende, incluso il largo consumo, diventeranno produttori di contenuti. Già sei anni fa avevamo capito che se un’azienda o una marca voleva uscire dal mucchio e farsi notare, avrebbe dovuto trasformare il proprio brand da prodotto che si compra per soddisfare un bisogno a prodotto che può anche intrattenere i consumatori. E per questo scopo il branded content è il mezzo ideale. Così, con la nostra Factory – altra idea iper imitata anche dagli editori extra Tv – abbiamo creato il nostro primo progetto per Knorr (quando ancora non c’era la moda dei cuochi!): un mini format con puntate da 45 secondi che spiegavano la ricetta preferita, regalando chicche per preparare i diversi piatti a partire dal brodo in polvere. Da lì si sono susseguiti centinaia di altri progetti per altrettante aziende: oggi questa attività vale circa il 15% del nostro fatturato pubblicitario. L’exploit è stato tale che ci è stato chiesto di replicarlo fuori dall’Italia, per conto di clienti europei ed extra europei.

Abbiamo parlato molto di brand e ultimamente i giudizi negativi sul marchio Italia si sprecano. Se le chiedessero di dare un’aggiustatina al brand del nostro Paese, da dove comincerebbe?

Come prima cosa inizierei col cercare un direttore delle risorse umane molto, ma molto bravo… Scherzi a parte, credo che il brand Italia abbia una carica valoriale davvero inimitabile a livello internazionale, nessun Paese al mondo può vantare la nostra brand equity nella Cultura, nella Moda e nel Food. Purtroppo, anche qui bisogna gestire il paradosso tra innovazione e controllo dei costi, per cui credo che il successo del nostro marchio nel futuro non possa che passare da una grande sinergia tra pubblico e privato, una sinergia che a livello di marketing dovrebbe portare nel lungo periodo a un repositioning del brand quanto meno in termini di immagine…

Tutti i gusti di Fox

Fox È, per antonomasia, il canale dei telefilm. Qui hanno visto per primi la luce lo storico Lost, e i più recenti The Walking Dead e Homeland.

Fox Life Si tratta del primo canale a target femminile lanciato in Italia. Tanti i titoli originali (tra i primi, Reparto maternità), ma anche serie del calibro di Desperate Housewives e Grey’s Anatomy.

FoxCrime La quintessenza del racconto criminale abita al 115 di Sky, la più imitata in assoluto delle reti digitali. Grazie a titoli memorabili come Dexter e i franchise di C.s.i., oltre alla new entry The Black List.

FoxRetro Evergreen per un pubblico esigente e nostalgico. Tutte le migliori serie dei decenni passati, da I Jefferson a Happy Days, da La famiglia Addams a Starsky & Hutch.

National Geographic Channel Il brand non ha certo bisogno di presentazioni. L’emittente si è specializzata in grandi produzioni internazionali senza disdegnare il punto di vista locale. Top title: Cosa ti dice il cervello e Megastrutture.

NatGeo Adventure Un nome che è già tutto un programma: viaggi, esperienze e curiosità dal mondo, rigorosamente in alta definizione. Tra i titoli in palinsesto, chicche come Man vs Food e Malati di viaggio.

NatGeo Wild Il mondo animale in tutto in suo fantasmagorico fascino. Dai pet alle belve della savana, dai lupi agli orsi. A caratterizzarne il palinsesto, documentari come Meerkats, C.s.i. Predators e Dog Whisperer.

Hd La storia lontana e recente rappresentata nelle più ampie varianti, tra grandi eventi e originale quotidianità. Vedasi Kennedy: storie da un complotto piuttosto che Affari di famiglia.

Baby Tv La prima tv per la primissima infanzia (fino ai 3 anni di età). Suoni, immagini e cartoon essenziali per bambini quasi in fasce.

Fox Sports Calcio made in Europe. Premier League inglese, Liga spagnola, Ligue 1 francese e Fa Cup. L’unico canale del gruppo a essere presente oltre che su Sky, anche su Mediaset Premium.

Fox Sports 2 Dal 20 dicembre, il secondo canale sportivo del gruppo, in alta definizione solo su Sky. Dall’Eurolega basket all’Nfl, con una particolare attenzione agli sport Usa.

Credits Images:

Un passato nel largo consumo (Procter & Gamble) e nell’automotive (Nissan) oltre che nella pubblicità (Armando Testa), Militi – 42 anni – entra a far parte della squadra Fox Inter. Channels Italy nel 2004. Oggi ne è il Vice President, Marketing & Sales