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14 gradi di piacere

Sono quelli del Martini, iconico vermouth made in Italy, composto da vino fiore e ben 40 erbe aromatiche. La cui formula top secret sarebbe custodita gelosamente in un caveau svizzero. Patrimonio di un’azienda che per rispondere alla crisi punta ora sui prodotti premium. Ne abbiamo discusso con il Country Manager Giorgio Molinari

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Ci sono brand che oltre a raccontare un prodotto descrivono uno stile, una storia che segna le tappe dell’evoluzione culturale di un Paese. Uno di questi è senz’altro Martini&Rossi, quello che – solo per citare gli exploit più recenti – negli anni ’90 ha visto debuttare in un celeberrimo spot una giovanissima Charlize Theron, lo stesso della campagna incentrata sul tema party a cura dell’agenzia Armando Testa e affidata di volta in volta a Naomi Campbell, Sharon Stone e all’indimenticato e indimenticabile “No Martini, no party” by George Clooney. La stessa azienda che dal 2003 è entrata nell’orbita del gruppo cubano Bacardi, continuando a proporre una serie di prodotti che, spumanti a parte, traggono origine e spunto dalla ricetta originale del vermuth lanciato oltre un secolo e mezzo fa negli stabilimenti di Pessione di Chieri, in quel di Torino. Da poco più di un anno, a capo di questa gloria tutta tricolore è stato chiamato, nel ruolo di Country Manager, Giorgio Molinari, 43enne romano con la passione per il beverage in generale e il vino in particolare. Una passione che non ha tardato a riversare sulla gamma di prodotti che gli sono stati affidati (si occupa della distribuzione delle circa 200 referenze del gruppo), con l’obiettivo di centrare al meglio la nuova filosofia di consumo del pubblico al tempo della crisi, ovvero bere meno, ma – soprattutto – bere meglio.

Nella primavera dell’anno scorso lei è stato nominato Country Manager di Martini&Rossi. Come ci si sente a trovarsi a poco più di 40 anni al timone di un marchio iconico dell’italianità nel mondo?

Essendo da sempre innamorato, come gran parte dei ragazzi della mia generazione, del brand Martini, sia per il prodotto in sé che per la grande epopea del racing negli anni ‘80, essere chiamato a occupare questo ruolo in questa azienda, con particolare attenzione all’area commerciale e vendite, è stata per me una grande soddisfazione professionale. Che si abbina a quella personale perché, avendo studiato da sommelier, sposa una mia grande passione per il mondo del vino. Nella sostanza, mi muovo con obiettivi e impegno di assoluto lungo periodo, puntando a portare questa società ad affrontare i prossimi decenni qui in Italia nel modo più opportuno, mantenendone però il radicamento nella sua storia.

Che è lunga oltre 150 anni, come avete festeggiato lo scorso anno…

Sì, abbiamo festeggiato i nostri “primi” 150 con una lunga serie di eventi.

Che effetto le fa adesso, quando vede i vecchi film di James Bond, sentirgli chiedere «un Martini: agitato, non mescolato»?

Soddisfazione perché rappresenta una delle nostre celebri icone, che sicuramente appartengono al passato ma sono state fondamentali nella costruzione del mito Martini.

Ma adesso l’avete perso, l’agente 007 ha cambiato gusti nell’ultima pellicola Skyfall, votandosi alla Heinken: per almeno 15 anni sul grande schermo potrà bere solo birra.

Non l’abbiamo perso però presso il consumatore, perché le verifiche ci confermano che l’attaccamento al brand è rimasto inalterato, sia per quanto riguarda il prodotto, sia per quanto riguarda la sua immagine.

State pensando a un rimpiazzo?

Posso solo dire che il gruppo sta lavorando a una nuova campagna marketing, che avrà un passaggio mediatico straordinariamente importante in occasione dell’Expo del 2015, all’intero del quale inaugureremo una nostra Terrazza Martini.

Sarà una campagna che si inscrive lungo la scia di quelle con testimonial come Charlize Theron, Naomi Campbell, Monica Bellucci, Gwyneth Paltrow, Sharon Stone piuttosto che George Clooney, o state pensando a qualcosa di diverso?

È presto per parlarne, sarà ufficializzata solo nella seconda metà di quest’anno. Se ne sta occupando la direzione marketing globale che ha sede a Londra a cui è demandato di costruire le strategie di marketing e il positioning di tutti i brand del portfolio del Gruppo Bacardi.

SUL TETTO DI MILANO

L’intervista al Country Manager di Martini&Rossi, Giorgio Molinari, si è tenuta sulla Terrazza Martini del capoluogo lombardo. Una straordinaria location da cui si può ammirare lo skyline della città. Insieme a quella di Pessione (in cui ha sede lo stabilimento) sono gli ultimi esemplari della rete di Terrazze che dal 1948 in poi ha unito le più importanti città del mondo (da Parigi a San Paolo, da Barcellona a Londra), ospitando eventi glam e culturali. Il prossimo esemplare prenderà vita in occasione di Expo 2015, sul tetto del Padiglione Italia

A proposito di Bacardi, gruppo di cui fate parte ormai da oltre vent’anni, cosa c’è di americano nella vostra società e cosa invece è rimasto di profondamente italiano?

Intendiamoci, il Gruppo Bacardi è cubano, la sua anima, le sue radici il suo Dna sono cubani e a Cuba nasce nel 1862, un anno prima di Martini. Bacardi è stata una società cubana per quasi 100 anni prima di essere stata illegalmente confiscata dal governo. Quindi, essendo in piena cultura e gusti latini, la sintonia è piena. Quando, nel 1993, la famiglia Bacardi ha deciso la fusione non ha mai messo in discussione l’italianità del marchio, tant’è che produzione, ricerca, sviluppo sono rimasti ben ancorati al territorio d’origine di Pessione, in provincia di Torino. Bacardi ha portato in dote un portafoglio prodotti più ampio, che ci fa essere tra i più importanti a livello mondiale e leader assoluti tra i rum, con Bacardi appunto, e nei vermouth con Martini, anche se leader nel nostro caso è riduttivo perché Martini da sempre è “il” vermouth.

Cosa, secondo lei, ha contribuito a fare di questo prodotto un’icona del lifestyle e del glamour?

Per prima cosa la lungimiranza degli imprenditori che l’hanno creato. L’azienda è passata dalle mani dei conti Rossi di Montelera a quelle degli eredi di don Facundo Bacardi Massó, rimanendo comunque una società a conduzione famigliare, pur essendo una multinazionale globale (le vendite raggiungono ben 150 Paesi, ndr), che vive lo sviluppo dei singoli brand in ottica di lungo periodo: non persegue il profitto a breve o le vittorie facili, ma preferisce posizionamenti accurati che testimoniano una grandissima coerenza nella comunicazione e nel marketing. Il che, visti i cambi repentini di rotta a cui si assiste di solito sui mercati per raggiungere risultati nell’immediato, è una qualità ormai rara. La stessa coerenza è stata perseguita nel mantenere il sito produttivo d’origine nel torinese, nell’avergli costruito intorno una rete di Terrazze in alcune grandi capitali del mondo (da Parigi, a Londra, a Barcellona fino a quella di Milano attiva ancor oggi) che in passato hanno ospitato il meglio del jet set internazionale, con grandi eventi culturali, e infine, ma non da ultimo, nell’aver storicamente realizzato intorno al marchio campagne di grande impatto creativo e innovativo, all’insegna del glamour ma sempre nel rispetto della nostra tradizione.

Tra i vostri terreni elettivi c’è lo sport. Una passione che trae origine dalla fondazione nel 1958 del Martini International Club a Londra da parte di Theo Rossi di Montelera, con l’obiettivo di patrocinare cultura, scienza, arte e, soprattutto, sport. E così è stato. Quante e quali sono le discipline da voi sponsorizzate?

Ce ne sono state tra le più diverse, dal golf e ippica al ciclismo e motociclismo, ma oggi siamo concentrati soprattutto su Martini Racing, che dalla fine degli anni ‘60 contraddistingue il nostro impegno di sponsorizzazione a diverse vetture nelle competizioni automobilistiche dalla Formula 1 alla 24 ore di Le Mans al rally collaborando di volta in volta con Porsche, Brabham, Lancia, Alfa Romeo, Ferrari. Dopo alcuni anni di assenza dalla Formula 1, proprio in questa stagione abbiamo deciso di rientrare in pista con una partnership completamente nuova, con la Williams, uno dei team più titolati del circus, creando così il team Williams Martini Racing . E poi c’è l’off-shore, attualmente siamo sponsor dello straordinario Vector Martini Racing Team inglese. Il racing è una delle irrinunciabili declinazioni del brand Martini.

Come sta impattando la crisi dei consumi sul vostro settore?

Lo scenario a livello europeo indica volumi in calo per gli alcolici in generale, che vale anche per il vino e la maggior parte degli spirits con pochissime eccezioni, come gli spumanti italiani, decisamente in crescita, e il gin. Si tratta di un fenomeno che definirei fisiologico-generazionale, un macrotrend legato anche alle campagne sulla guida sicura e sulla salute, tutte pressioni culturali che si associano al fatto che il nostro è sostanzialmente un bene voluttuario, e che ha subìto una significativa contrazione dei consumi fuori casa. Vero è tuttavia che gli italiani bevono meno, ma bevono meglio, preferendo puntare sulla qualità e l’eccellenza. Per esempio, nella vodka il segmento superpremium – dove siamo leader con Grey Goose – registra un indice di crescita doppio rispetto al prodotto medio. E così è in tutte le categorie in cui operiamo, e sono tante, oltre a vermouth, rum e vodka, gin, whisky, tequila, cachaça, dove abbiamo prodotti che si piazzano tra il primo e il secondo posto a livello mondiale.

So che uno dei mandati affidatigli al momento della sua nomina è stato appunto quello di dare applicazione alle strategie dirette al posizionamento del segmento premium.

È infatti la strategia da me attuata per poter portare l’azienda – che aveva volumi e fatturati in calo – a una crescita sostenibile nel medio-lungo periodo, puntando su tre aspetti chiave. Il primo, rinnovare il modo di bere Martini, portando a farlo scegliere da un target di 25-35enni, attraverso il cocktail, il bere miscelato e nuove formule di prodotto. Il secondo, rafforzare la leadership di Bacardi puntando anche sul segmento, più circoscritto ma anche più profittevole, dei rum dark: attualmente è leader assoluto tra i rum bianchi. Il terzo, consolidare il portafoglio degli spirits di lusso. In questo segmento i due brand che fanno i numeri più importanti sono sicuramente Grey Goose nella vodka e Bombay Sapphire nel gin, ma abbiamo anche il recentissimo acquisto del St Germain, pregiato liquore ai fiori di sambuco.

In Italia, diverse aziende del vostro settore sono ancora in mano delle famiglie dei fondatori, dai Branca ai Reina, dai Seragnoli ai Molinari, altre invece hanno preferito cedere l’attività come a suo tempo i Rossi di Montelera e gli Averna, che di recente hanno venduto a Campari. In che misura, ai fini della competitività, ha ancora senso rimanere in una dimensione locale?

Tutto dipende dagli obiettivi di dimensionamento. Nel momento in cui un’azienda diventa globale, scaturiscono dei vantaggi competitivi che favoriscono la concentrazione, quindi le acquisizioni di marchi. Chi invece, al contrario, persegue strategie di nicchia, può assolutamente continuare a competere nella sua dimensione: il nostro – fatti salvi i cinque grandi del mercato, tra i quali Bacardi è il maggior gruppo a livello mondiale a essere di proprietà di una sola famiglia – è un settore molto frammentato, in Italia come all’estero.

Accennava prima al cambio di abitudini nei consumi di alcolici. Visto che voi sicuramente godete di un punto di vista privilegiato, anche perché siete molto attivi nelle campagne sul bere responsabilmente, mi spiega come mai non si parla più tanto delle stragi del sabato sera?

Non se ne parla più così tanto perché si è ridotto il fenomeno. I provvedimenti assunti nei confronti dei neopatentati e i controlli di polizia, unitamente alle attività di sensibilizzazione degli ultimi anni, hanno sortito i loro effetti. E devo dire che da parte delle istituzioni c’è stata una coerenza nel tempo a voler affrontare il problema. Inoltre, vorrei fosse ricordato che il Gruppo Bacardi fin dagli anni ‘30 ha messo in campo in tutti i Paesi in cui opera campagne di responsabilità sociale dirette a indirizzare i propri consumatori a un consumo moderato e al principio Don’t Drink and Drive (Se bevi non guidare). Ancora oggi il nostro impegno sulla responsabilità sociale è contenuto nella nostra campagna slowdrinking.

Parteciperete all’Expo 2015 con una vostra Terrazza Martini, sul Padiglione Italia. Cosa state preparando?

In linea col tema dell’Esposizione universale, intendiamo presentare un approccio al bere miscelato al cibo, proponendo 20 cocktail creati appositamente per valorizzare le regioni italiane. Prima andremo in giro per l’Italia, con la collaborazione di alcuni chef, per tirare fuori delle ricette di finger food o di street food da proporre come aperitivi, per i quali suggeriremo il miglior abbinamento organolettico con i nostri cocktail. Renderemo la nostra terrazza uno spazio aperitivo permanente, dove si terranno contemporaneamente eventi e serate a tema.

Non la preoccupano gli scandali delle ultime settimane?

Non particolarmente, i nostri interlocutori diretti non sono stati sfiorati da alcuno scanda-lo. Quindi, spero e confido che tutto si risolverà per il meglio.

Scorrendo il suo curriculum si legge della sua lunga formazione in Procter&Gamble e del suo passaggio in Carlsberg ma, soprattutto, del suo essere stato ancora prima ufficiale in Marina. Che cosa ha imparato in questo ruolo che le è tornato poi utile nel suo ruolo di manager?

Più di quanto si possa immaginare (ride). Perché in Marina avevo il ruolo di Liason Officer, ovvero l’ufficiale di collegamento che, quando arrivano in visita in Italia ammiragli e capi di stato maggiore delle Marine estere, si occupa di riceverli e seguirli per tutto il loro soggiorno, organizzando la logistica. È stato straordinariamente formativo, perché ho conosciuto personaggi molto interessanti appartenenti a mondi che viaggiano a una velocità diversa rispetto a quella normale. Quell’esperienza mi ha insegnato l’approccio da adottare nella soluzione dei problemi, a mantenere sempre un atteggiamento proattivo, oltre ad aver contribuito a costruire la mia capacità negoziale. Ricordo in particolare, tra le decine di ospiti, una principessa thailandese a una cui richiesta ho dovuto dire di no: in quel momento mi sono accorto dal suo sguardo che quella donna, in 50 anni, non se l’era mai sentito dire…

Per quanto tempo l’ha fatto?

Dodici mesi, più tre di Accademia: il tempo del servizio militare.

Non è stato tentato di rimanerci?

Era il sogno dei miei genitori: mio padre è in Marina da oltre 40 anni. Ma a quel punto avrei dovuto cambiare ruolo, e non mi interessava.

Però, anche il lungo periodo passato in Procter&Gamble è stato un po’ come stare sotto le armi…

Vero… Per 15 anni, dove ho ricoperto otto diversi incarichi, lavorando praticamente in tutte le merceologie, in tanti canali distributivi e in diversi mercati, dopo l’Italia, la Svizzera e la Germania, da cui seguivo anche Uk, Spagna, Francia e Nordics. È stata una grande scuola, perché è un’azienda che seleziona talenti a livello universitario, li fa crescere promuovendoli dall’interno in un’alternanza di ruoli. È una delle sue forze.

Per chiudere, può togliermi una curiosità? È vero che la formula segreta del Martini, composto da vino fiore (di circa 14 gradi, ottenuto dalla primissima pigiatura, ndr) e 40 tipi diverse di erbe aromatiche tra cui l’Artemisia, è attualmente depositata nel caveau di una banca di Ginevra? Quanto può valere grosso modo?

Non so proprio dove stia (ride), probabilmente sarà depositata da qualche parte. So solo che la conoscono in tre-quattro in tutta l’azienda… Posso però dirle che da una recente analisi di una rivista americana, il marchio Martini è stato classificato come primo brand italiano di Food&Beverage e il quinto in assoluto, dopo Ferrari e Armani, Gucci e Prada.

LE PASSIONI DI GIORGIO MOLINARI

CORRISPONDE AL VERO CHE LA SUA PASSIONE PER IL VINO HA CONTRIBUITO A FARLA SCEGLIERE PER IL RUOLO DI COUNTRY MANAGER DI MARTINI&ROSSI?

Non saprei, bisognerebbe chiederlo al mio capo (ride). Ma il vino è senz’altro una delle mie passioni, che ho coronato seguendo un corso di terzo livello presso l’Associazione Italiana Sommelier. Ma devo dire che il mio è un culto vero e proprio per tutta l’enogastronomia italiana: essendo nato a Roma, avendo un padre ligure, una madre romagnola e una moglie pugliese, in più ho vissuto per qualche tempo a Napoli, ed oggi vivo a cavallo tra Como e Chieri (To), ho avuto modo di apprezzare le eccellenze e le specialità di tutti i nostri territori. La mia è una vera passione per l’enogastronomia italiana, intesa come cultura oltre che come piacere edonistico del consumo a tavola.

A PARTE MANGIARE E BERE, COSA FA NEL TEMPO LIBERO?

In passato sono stato un campeggiatore, oggi mi sono votato al camper. Mi piacciono le situazioni in cui posso stare all’aria aperta a contatto diretto con la natura, quindi faccio trekking in montagna con la famiglia, alternandolo a un sano turismo enogastronomico, sempre alla ricerca delle autentiche eccellenze italiane. In ultimo, ma non per ultimo, mi piacciono le due ruote: ho sempre avuto tutte moto rigorosamente italiane, da Vespa a Moto Guzzi ad Aprilia.

Credits Images:

Nato a Roma 43 anni fa, ma comasco d’adozione, Giorgio Molinari vanta un passato da ufficiale di Marina, oltre ad aver trascorso ben 15 anni all’interno di Procter&Gamble, ricoprendo anche responsabilità a livello internazionale. Dopo un passaggio in Carlsberg, corona il suo sogno di sommelier dilettante quando - l’anno scorso - viene selezionato dal Gruppo Bacardi come Country Manager di Martini&Rossi