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The holy game of Poker

Così Leonard Cohen definiva il gioco di carte più celebre di sempre e, nonostante non manchi di oppositori, non accenna a perdere la sua aura. La reazione alla pandemia dimostra che penalizzare il settore potrebbe rappresentare un ulteriore danno per l’economia

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Quando ci si trova ad affrontare una crisi, viene subito in mente un concetto usato e fin troppo abusato, spesso a sproposito: quello della resilienza. Se c’è un mondo che nel nostro Paese ha dimostrato di resistere non solo alla pandemia di Covid-19, ma anche ai tanti attacchi e ostacoli burocratici degli ultimi, è sicuramente quello del poker. Dopo gli anni d’oro fino al 2012, quando grazie a una regolamentazione precoce questo gioco aveva monopolizzato o quasi il gioco legale, la regolamentazione dei casinò online (slot, ma anche blackjack) ha riportato scale e full a una fisiologica quota di mercato del 5-10%. Una nicchia che è rimasta solidissima nonostante i cavilli giuridici cresciuti negli ultimi anni: prima lo stop all’accordo per la creazione di una piattaforma comune con Francia, Spagna e Portogallo – che ha di fatto chiuso i giocatori italiani nei loro confini virtuali – poi l’anno scorso il cosiddetto decreto Dignità che ha azzerato – per volere in particolare del Movimento 5 Stelle – la possibilità di promuovere il gioco legale.

Il risultato di questa battaglia? Da una parte la fuga di molti professionisti, dall’altra la nuova esplosione di siti illegali che hanno attirato più facilmente i neofiti. Nel consolidarsi di queste tendenze chiare e delineate, è arrivato lo tsunami della pandemia che ha sospeso le scommesse sportive con il blocco degli eventi, lo stop dal 22 marzo al 3 maggio di Lotto e SuperEnalotto e la chiusura dei locali di gioco a eccezione dei tabaccai durante il lockdown. A quel punto il 10% dei giocatori incalliti ha deciso di spostarsi sull’online – come dimostra un sondaggio eseguito dal Cnr su spinta di Anci e Regioni – e ha trovato nel poker e nel gioco online tout-court un approdo sicuro (+27% a febbraio rispetto allo stesso mese del 2019, dati Agimeg).

«I volumi sul poker e sul casinò sono aumentati perché è ovvio che durante il lockdown ci sia stata richiesta di intrattenimento online, ma già a giugno sono tornati ai livelli normali», racconta Marco Trucco, ex Associate Director International Marketing dello Stars Group (PokerStars). «Tra l’altro hanno anche chiuso i circoli di poker che in Italia continuano a operare senza un quadro normativo chiaro, anche qui perché la politica è prigioniera dell’ideologia e incapace di regolamentare in modo pragmatico il gioco». Fondatore dell’associazione del gioco online LOGiCO, Trucco nel 2019 è stato qualificato dall’Università del Nevada come “Strategic Leader in the Gaming Industry” e vede una necessaria trasformazione all’orizzonte. Con le norme di distanziamento sociale, i tornei dal vivo hanno dovuto cambiare natura riducendo il numero di partecipanti al tavolo e avvicinandosi così al modo di giocare online: «Il poker con tavoli short handed (da sei giocatori) è ormai lo standard nel cash game online e può diventare lo standard anche live. Per i tornei, il format più popolare è in realtà lo Spin&Go con tre giocatori solamente, che però non può essere facilmente replicato dal vivo. La tendenza a ridurre il numero di giocatori al tavolo è chiara», spiega il manager. «Ma se l’online può adattarsi senza problemi, per il live ci sono grossi problemi di costi e spazi. Solo una regolamentazione del poker dal vivo in Italia può garantire che i giocatori e i lavoratori nelle sale siano tutelati. Ma non sono per niente ottimista sul punto». Il poker ha ancora grandissime prospettive di crescita in Asia, negli Stati Uniti e in America Latina. Ci sono tutte le condizioni perché completi la sua strada di gioco veramente globale.

Per continuare a promuoverlo servono vip e ambasciatori – tra questi potrebbe esserci Andy Bellin, regista e sceneggiatore che ha intrattenuto Hollywood con le partite di Texas Hold’em via Zoom dal suo salotto di casa –, anche se paradossalmente la crescita della concorrenza ridurrà il numero di professionisti e semi-professionisti in grado di arricchirsi con la loro bravura. Il fenomeno in qualche modo è già in corso e alcuni dei volti italiani più famosi hanno messo a frutto le loro esperienze e i loro guadagni in altre bellissime attività: Luca Pagano è diventato un promotore nel campo degli eSport, mentre Flavio Ferrari Zumbini – tra l’altro ex dirigente Ferrero prima della carriera al tavolo – ha iniziato a viaggiare intorno al mondo visitando 150 Paesi su 193 al costo di circa 223 mila euro. «Ma ci sono anche italiani, come Mustafa Kanit o Dario Sammartino che hanno invece scelto di lavorare durissimo e riescono a rimanere ai vertici mondiali in quello che Leonard Cohen ha chiamato the holy game of Poker», aggiunge Trucco.

E mentre giocatori e lavoratori raccolgono ancora i cocci del fallimento del Casinò di Campione, all’estero qual è la situazione delle case da gioco? «Il King’s Casino di Rozvadov grazie al poker è diventato uno dei più grandi casinò d’Europa. Ha letteralmente rivitalizzato da solo una regione remota della Repubblica Ceca al confine con la Germania», dice Trucco. «Da noi la gestione pubblica dei casinò ha prodotto il fallimento a Campione, la crisi di Saint-Vincent, e a mio avviso è solo questione di tempo che anche Sanremo e Venezia facciano la stessa fine. Naturalmente, se fossero privatizzati e venduti ai migliori operatori internazionali senza oneri e vincoli assurdi si vedrebbero ben altri risultati per l’indotto. Ma anche qui, per colpa di una politica proibizionista e statalista, le probabilità che questo avvenga sono praticamente pari a zero. L’Italia non è un Paese né per giocatori né per imprenditori seri del settore».

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