
Uno scatto della serie Infra , che ha reso celebre Richard Mosse, con immagini prodotte durante le guerre nella Repubblica Democratica del Congo. La resa di questo paesaggio surreale, a tinte rosa, è data dall’utilizzo di una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi (© Richard Mosse)
La bellezza della complessità sta tutta nei colori degli scatti di Richard Mosse che paiono voler indicare qualcosa e invece significano altro: seducono e ipnotizzano gli occhi, ma alla fine educano il cuore e informano le coscienze. Se avete voglia di vivere un’esperienza diversa nel vostro tempo libero andate alla Fondazione Mast di Bologna (mast.org, ingresso libero, previa prenotazione): si trova fuori dal centro storico della città, in un avveniristico edificio che nasce accanto a Coesia, un gruppo di aziende specializzate in soluzioni industriali e packaging innovativo. Insieme alla Fondazione Isabella Seràgnoli, sono i fondatori di questo centro espositivo che propone mostre temporanee sotto la curatela geniale di Urs Stahel.
Fino al 19 settembre, Richard Mosse, fotografo e artista irlandese quarantenne ma già pluripremiato per i reportage dal Congo e per i documentari sulla foresta amazzonica, presenta Displaced , la prima antologica a lui dedicata nel nostro Paese.
Settantasette fotografie di grande formato e due monumentali videoinstallazioni mostrano la sua ricerca che si muove tra fotografia e arte contemporanea su tre grandi temi: migrazione, conflitto e cambiamento climatico. I suoi lavori sono di innegabile impatto: tra i migliori, le serie Infra e The Enclave , realizzati tra il 2010 e il 2015, nella Repubblica Democratica del Congo con una Kodak Aerochrome, una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi, oggi fuori produzione ma utile per localizzare i soggetti mimetizzati. Negli scatti registra la clorofilla presente nella vegetazione e rende visibile l’invisibile: la lussureggiante foresta del Congo si trasfigura così in un paesaggio surreale, tinto di rosa. Mosse ci mostra anche i ribelli e le lotte per il monopolio delle risorse, specie il coltan, fondamentale per realizzare i cellulari, in quella terra martoriata: non c’è catarsi, ma la tecnologia scardina la fotografia di guerra e la trasforma in un’opera d’arte di bellezza assoluta.
Con macchine fotografiche termiche in grado di fissare su pellicola il calore (di uomini e oggetti), Richard Mosse fotografa poi tra il 2014 e il 2018 le rotte delle migrazioni di massa, dai campi profughi in Siria al porto di Atene, passando per Lesbo. Appaiono come immagini in bianco e nero, su cui si muovono fantasmi senza volto, struggenti. La mostra si chiude sugli ultimi lavori realizzati con la tecnica della fluorescenza nella foresta pluviale in Amazzonia e in Ecuador per sottolineare la ricchezza della biodiversità di un ecosistema messo sotto scacco dall’uomo.