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Museo Madre di Napoli: Arte in progress

Dimenticate i soliti musei, il Madre è un progetto in continua evoluzione dove tutto diventa suggestione. In un indissolubile legame con la storia e la creatività partenopea contemporanea

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Il Madre si trova nel ventre di Napoli. Il Madre è un museo dal nome evocativo e dal progetto innovativo. Innanzitutto è uno dei pochi, grandi musei di arte contemporanea del Sud Italia: Madre, acronimo di Museo d’arte contemporanea Donnaregina, si trova a pochi metri dal Duomo, dal Museo Archeologico Nazionale, dall’Accademia di Belle Arti. Siamo a San Lorenzo, quartiere tra i più eleganti della città partenopea: zona turistica, da cartolina. Il sito ha una storia che meriterebbe un romanzo a sé: non potete non accorgervene, quando il museo vi si para davanti. C’è la maestà della corte sveva – siamo, in fondo, nell’area del monastero di Santa Maria Donnaregina, ricostruito dalla moglie di Carlo II d’Angiò – che vediamo nella facciata della chiesa affacciata sulla piazza: oggi è un luogo ancora “sacro”, ma per gli eventi speciali del museo d’arte.

Il Madre, dopo essere stato monastero, nell’800 è diventato banco dei pegni e possiamo solo immaginare quanto fosse affollato in una Napoli tardo illuminista e piena di vita. La sua seconda esistenza è punteggiata invece da eventi tragici: i bombardamenti prima, i rifacimenti in cemento e poi l’alluvione del 2001 a dare il colpo di grazia. Quello in cui oggi entriamo con gli occhi pieni di stupore è uno spazio completamente rifatto su progetto dell’architetto portoghese Alvaro Siza Veira (un nome, una garanzia: ha vinto il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia del 2012), che ha impreziosito l’edificio con una parte nuova, tutta per la collezione permanente, la biblioteca, la mediateca, il bookshop-caffetteria. Oltre 7 mila metri quadrati strappati dall’incuria del passato e dalle rovinose vicende naturali per realizzare su tre piani il più importante museo di arte contemporanea del Sud Italia: inaugurato nel 2005, ne ha fatta di strada (anche virtuale: sapete che su Spotify è stata realizzata anche una grande playlist Musica ad arte @Madre personalizzata per ogni ambiente? Tra le tracce: Starman di David Bowie, Joe’s Garage di Frank Zappa o Gimme Shelter dei The Rolling Stone). Difficile restituire a parole l’atmosfera che oggi si respira al Madre: potete forse intuirlo osservando le opere che vedete su questa pagina. Sì, ci sono alcuni dei big dell’arte contemporanea (come Koons e Hirst: sono eredità della prima, chiacchierata gestione, risalente al primo decennio di vita, quando sindaco era ancora Antonio Bassolino). Ci sono alcune pitture iconiche e indimenticabili di Francesco Clemente (come l’Ave Ovo del 2005), ma è altro che scalda davvero la sede: il legame con la città e con il territorio. Napoli è una fucina d’artista e un museo che, come il Madre, vuole portare una ventata di contemporaneità nel ventre partenopeo, non può ignorare tutto il movimento artistico transitato per la città dagli anni ‘70.

A Napoli sono accaduti eventi leggendari come l’incontro, il primo aprile del 1980, tra Andy Warhol, campione della Pop Art, e Joseph Beus, il padre dell’ecologia dell’arte, raffinato concettuale performer. A Napoli si è nutrita tutta la Transavanguardia Italiana, grazie alle felici intuizioni del critico Achille Bonito Oliva, e oggi la street art si è avventurata persino tra i Quartieri Spagnoli (la firma più nota è di una donna: Rosaria Bosso, alias Roxy in the box). Tutto questo, in modo diverso, entra nello spirito del Madre. Dimenticatevi infatti la tradizionale organizzazione cronologica dei musei: tutto al Madre è suggestione. Parliamo dalla collezione permanente, che è un interessante progetto “in progress”, iniziato cinque anni fa e ancora aperto: vi hanno aderito molti artisti, donando al museo i loro lavori, e poi vari collezionisti. Il Madre è così: è un po’ di tutti.

Entrando, nel corridoio che conduce alla sala delle Colonne, al primo piano, vediamo i lavori di Carmine Rezzuti e di Enza Monetti, rappresentazioni che esplorando i legami tra icone ed elementi naturali e lasciano preludere ai mondi immaginifici dell’ambiente successivo. Qui dominano le installazioni di Matteo Fraterno, Maurizio Elettrico e Vincenzo Rusciano: siamo nel passato o nel futuro? In nessun luogo, in nessun tempo. Gli occhi si fermano sui “sacchi” dipinti di Lello Masucci: vediamo il Vesuvio e un cielo stellato in un dipinto a tre dimensioni. Solo ora capiamo dove siamo, capiamo che Napoli – così effervescente sotto l’Illuminismo e poi ancora con le Avanguardie del secondo ‘900 – ha tanto da dire al mondo. Alzati e disegna un mondo nuovo è il titolo-invito di Rosaria Matarese, in una sua opera realizzata con oggetti, ritagli, disegni che pare uno stimolo al visitatore a “vivere” il Madre, a sfruttarne i tanti laboratori didattici e le sale, così piene di luce. Il percorso di visita passa davanti agli splendidi lavori fotografici di Salvino Campos: scatti ovunque, a ricordarci che l’arte contemporanea è (spesso) una faccenda di obiettivi…

Poi c’è qualche sorpresa: non meravigliatevi se trovate piume, pezzi di legno e terracotta sparsa. Sono i “giochi di arte e di parole” di Quintino Scolavino. C’è bisogno di una pausa, poi si può salire al secondo piano, nelle cosiddette Sale Facciata, con i lavori legati alle performance (Mathlenda Balatresi, Tomaso Binga, Gruppo XX). Il Madre muta pelle di continuo: oltre alle mostre temporanee (quella su Mario Martone, chiusa a ottobre con grande affluenza di pubblico, fu battezzata dall’ex ministro Dario Franceschini come la «mostra più importante di arte contemporanea fatta in Italia»), la collezione permanente ha anche spazi versatili. Terminato il giro del museo, al confine tra il cortile interno e il cortile delle sculture, l’ultima grande acquisizione: Passaggio della Vittori di Paul Thorel, un enorme mosaico in grès e smalti, ispirato al mosaico bianco che ricopre la Galleria della Vittoria, il condotto carraio che collega la città di Napoli da Est a Ovest. A ricordarci che il Madre è la culla del contemporaneo, e della città tutta.

Credits Images:

In questa foto, un’opera di Luigi Mainolfi. Il lavoro fa parte di una serie indirizzata a indagare lo sdoppiamento sia fisico che mentale della propria immagine e realizzata con calchi in gesso o in cera del proprio corpo