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Lifestyle

Da Herno a Moncler: i signori dei piumini

Pochi prodotti hanno subito una tale rivoluzione copernicana: da capo soprattutto sportivo a elemento decisamente fashion e metropolitano. Il merito va tutto ad alcuni imprenditori italiani che hanno saputo ripensare dalle fondamenta il settore, a partire dalla qualità per arrivare fino alla distribuzione

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Mai come in questi ultimi anni il piumino ha sfilato da prota­gonista in passerella e in strada, in fogge, lunghezze, colori e spessori che era difficile prevedere una ventina d’anni fa. Una vita tutta nuova rispetto all’epoca di Enzo Braschi e dei pani­nari, alla fine degli anni ‘80, quando “il Moncler” era l’ogget­to feticcio della nuova generazione. In quegli anni il piumino da città era così, gonfio e sblusato e l’unica alternativa era la giacca a vento, da indossare però solo sulle piste da sci. Difat­ti l’origine dei capi imbottiti di piume viene dai grandi freddi del Nord. I soldati dell’Armata Russa usavano giacche imbot­tite durante la guerra russo-giapponese in Manciuria. A que­sti si ispirò negli anni ‘30 il papà del piumino “civile”, l’america­no Eddie Bauer, titolare di un negozio di attrezzatura sportiva, che per poco non morì assiderato durante una battuta di pe­sca in Alaska. Le sue giacche trapuntate, imbottite di piumino, vennero poi adottate dall’aviazione americana nella Seconda Guerra Mondiale, e da lì hanno spiccato il volo, in tutti i sensi.

Remo Ruffini e Moncler – Adventure Genius

L’abbiamo citato in relazione al piumino streetwear degli anni ’80, ma il marchio Moncler nasce molto prima, nel 1952, a Grenoble, con le giacche prodotte da monsieur René Ramillon e consacrate sul mercato da Lionel Terray, amico di Ramillon e alpinista di fama, che le usa durante importanti spedizioni sul K2 e in Alaska. Nel 1992 il marchio diventa italiano, e nel 2003, in un momento di crisi del prodotto, viene acquistato dall’imprenditore Remo Ruffini, ancora oggi al timone del brand. Quando nel 2012 Moncler debutta in Borsa a Milano, erano già note le collaborazioni con firme dell’alta moda come Fendi e Comme Des Garçons. Le forme goffe dell’exploit si assottigliano e invadono il campo dell’abbigliamento casual chic in misura sempre maggiore, fino ad entrare nell’haute couture. Ne è dimostrazione l’esposizione della collezione Moncler Genius n.1 disegnata da Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della maison Valentino, presso i due temporary space inaugurati a Tokyo e New York. Celebrazione del piumino Moncler allo stato puro, ma in una dimensione quasi mistica e trascendente di grande effetto. Fa parte del progetto Moncler Genius, un vero e proprio working concept, fucina di talenti tra i migliori del mondo, in cui le linee creative seguono dei filoni interpretativi. I risultati confermano la forza del marchio a livello mondiale, con ricavi in crescita del 23% già nei primi nove mesi del 2018. A cinque anni dal debutto in borsa Moncler ha raddoppiato il fatturato, che promette quest’anno di battere il record di un miliardo e 193 milioni realizzati nel 2017.

Moreno Faccincani e Moorer – Eleganza Sostenibile

In un mercato che premia la qualità non poteva mancare l’azienda fondata alla vigilia di questo secolo da Moreno Faccincani, che inizia come Feyem ma dal 2006 diventa Moorer. Come un mantra, torna l’accento sui materiali, sulle finiture, sull’avanguardia tecnica, ma soprattutto colpisce la scelta del pregiato denim giapponese come tessuto simbolo del brand. Torna quindi anche qui il Giappone come elemento chiave, sia sotto il profilo produttivo che commerciale: insieme a Stati Uniti e Russia appresenta il mercato più esteso (la proporzione è 25% del fatturato di provenienza italiana e 75% dall’estero), e a Tokyo Moorer ha aperto l’unica altra boutique monomarca del suo arcipelago retail, oltre a quella in via della Spiga a Milano. Una scelta che sembra premiare il brand, che attende per il 2018 si aspetta una crescita superiore al 20% rispetto al 2017, chiuso con ricavi per 30 milioni di euro. Protagoniste della collezione per l’inverno che viene sono le linee pulite e le finiture ricercate, rivolte a una fascia di pubblico non schiava delle mode del momento. La piuma è protagonista anche quando non appare, come nelle imbottiture di cappotti in tessuto. Poiché la sostenibilità non è un’opinione, la piuma d’oca arriva da allevamenti in Siberia garantiti cruelty-free.

Claudio Marenzi e Herno – Giappone Innanzitutto

Così come Moncler, Herno ha una lunga storia e nel 2018 ha festeggiato il 70esimo compleanno. L’attuale presidente e a.d., Claudio Marenzi, è il figlio minore di Giuseppe, che a Lesa, sul Lago Maggiore, diede il via all’azienda nel 1948. All’inizio Herno produceva impermeabili, ma di lì a poco la gamma si è ampliata fino a comprendere i capispalla in cachemire. Un importante passo avanti è stata poi l’apertura al Giappone nel 1968, tra i primi in Europa. Negli anni ‘80 e ‘90, l’attenzione delle grandi firme, per la qualità di materiali e confezionamento, fa sì che l’azienda cresca, ma molto in conto terzi, pur se prestigiosi: da Prada a Gucci, Armani, Jill Sander, Louis Vuitton solo per citarne alcuni. Poi, col cambio di secolo, la nuova generazione porta con sé idee e spunti determinanti per il futuro, tra cui il piumino. Herno aveva già tradizione e know how per realizzare capi funzionali ed eleganti, puntando sulla riconoscibilità ed è il boom. Nonostante l’azienda abbia mantenuto proporzioni artigianali (180 dipendenti nella sede di Lesa) e i vertici conservino il completo controllo della filiera (parte in Italia e parte in Russia e Romania), Herno va fortissimo all’estero, che risponde per il 66% dei ricavi globali. Il 2017 ha visto il crescere il fatturato del 26%, grazie alle vendite in Europa (+28%), Giappone (+71%), e Canada, dove l’azienda ha appena inaugurato una filiale commerciale che ha già prodotto il 9% dei ricavi.

Nicolas Bargi e Save The Duck – Rivoluzione silenziosa

In principio era Forest, marchio lanciato nel 1914 a Pisa da Foresto Bargi, che dalla Grande Guerra trae ispirazione per un nuovo tessuto che rivoluziona il settore dei capispalla da uomo. Iniziano le sponsorizzazioni importanti (Formula 1) e l’esportazione negli Stati Uniti. Negli Anni ’60 Forest ha cavalcato l’ondata dell’Eskimo, la divisa della generazione-contro, e ha lanciato un total look ispirato alla classe operaia americana. Con il 2010 la terza generazione di Bargi, con Nicolas, vara il marchio Save The Duck, caratterizzato dall’utilizzo di materiali d’avanguardia 100% animal-free, e questo prima che il tristemente noto servizio di Report rivelasse quali nefandezze si nascondessero dietro al candore del piumino d’oca. Poi nel marzo del 2018 il fondo Progressio acquisisce il 65% del marchio (che resta guidato da Bargi), nell’ottica di una decisa spinta sul mercato internazionale. Cinque milioni di euro l’investimento programmato nel triennio 2018-2020 in direzione di nuove aperture europee, che si vanno ad aggiungere ai 29 punti vendita wholesale già in portfolio, campagne e collaborazioni importanti, come la nuova capsule collection Disney, con soggetto Donald e Daisy Duck. L’investimento interesserà anche la spesa pubblicitaria, che dal 3,2% dei ricavi raggiungerà il 7%, sui canali digitali. Con Progressio si punta a raddoppiare in tre anni il fatturato 2017 di Save The Duck che, a sei anni dal lancio, ha visto ricavi per 31,5 milioni di euro con un margine del 20%, mentre il fatturato previsto per la fine del 2018 si calcola intorno ai 36 milioni.

Francesca Lusini e Peuterey – Oltre l’immagine

Deciso il riferimento all’autenticità nella filosofia produttiva di Peuterey, marchio specializzato nell’outerwear e nato ad Altopascio, in provincia di Lucca. Guidato da Francesca Lusini, non offre nessuna concessione al frizzo e al lazzo, ricercando la funzionalità e anche una certa trasversalità: look che si ispirano alle metropoli del mondo e che vogliono rispecchiare la “cittadinanza liquida” degli uomini e delle donne di questo secolo. Non solo Millennial, ma anche professionisti che scelgono di non restare prigionieri dei ruoli. Consapevoli dei cambiamenti climatici in atto, le collezioni Peuterey puntano sul concept transeasonal, capi in grado di reagire a situazioni climatiche fluttuanti. Linee asciutte e sottili in Italia, volumi over e importanti nel Nord Europa e in Russia, che insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud e Nord America rappresentano gli sbocchi più importanti. Il 2017 ha visto ricavi per circa 70 milioni di euro, realizzati al 90% sul mercato italiano, ma per il prossimo anno si prevede una crescita a due cifre del mercato estero (Russia in pole position). Sostenibilità (piume da allevamenti cruelty-free) e climatic change sono i temi cardine della contemporaneità, e non a caso il supertestimonial della nuova collezione è Fabio Rovazzi, artista poliedrico e crossmediale, che indossa il nuovo Reflector Jacket, modello ispirato sì agli anni ’80, ma in nuovi materiali water repellent e con intarsi catarifrangenti, e lo interpreta in un video sul web che è già virale.

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