
Il vino bianco italiano è il più venduto al mondo e batte anche gli storici cugini francesi, da sempre nostri rivali in campo enoico. Un’affermazione che sorprende in un momento dove tutti parlano di bollicine e rosé come i nuovi trend globali, ma che riflettono la realtà di un affare da 1,287 miliardi di euro l’anno (secondo i dati Nomisma Wine-Monitor).
Successo che deriva in parte dal cambiamento climatico (è più adatto a stagioni calde) e all’approccio femminile alla bevanda, che ama i bianchi perché non sono presenti tannini o sostanze amaricanti. Ma che soprattutto è una leva fondamentale per l’export del prodotto enologico made in Italy. E se parliamo di leve, per il vino bianco italiano non possiamo prescindere dalle due etichette che hanno dimostrato al mondo come l’Italia non sia solo un Paese di rossi beverini e destinati alla tavola, ma anche di grandi bianchi adatti all’invecchiamento, anzi che proprio con la permanenza in legno e in bottiglia si esaltano in maniera eccezionale. Questi due nettari sono a base Chardonnay, vitigno francese, ma che da sempre è il benchmark delle aspirazioni bianche di una nazione produttrice. Dalla California all’Australia fino al Sudamerica. E l’Italia non fa eccezione.
Gaia & Rey: il campione del Piemonte
Il primogenito non poteva che essere piemontese e nascere dalle mani del nostro più illustre ambasciatore all’estero, Angelo Gaja, che ha dimostrato al mondo di dover puntare su Piemonte e Italia per trovare valide alternative alla Francia nel campo dei fine wine da collezione e da grande affinamento. Il Gaia & Rey è stato il primo Chardonnay impiantato in Piemonte, oltre che il primo bianco italiano maturato in barriques, e fu dedicato alla primogenita di Angelo, Gaia, e alla nonna Clotilde Rey (colei che ha coniato la frase fondante del marketing di oggi: «Fare, saper fare, saper far fare e far sapere»). Oggi è prodotto a partire da due vigneti di proprietà: uno a Treiso impiantato nel 1979 (quello originale da cui nacque la prima edizione nel 1981) e uno a Serralunga nato dieci anni dopo. Quest’ultimo è entrato nel blend di Gaia & Rey successivamente ed è servito per dare maggiore struttura, ma soprattutto un’acidità più stabile nel tempo. La vinificazione vede l’utilizzo sia di acciaio che di legno, con una modalità che lo rendono bisognoso di molti anni in bottiglia per esprimersi al meglio. Da giovane è ricco e sontuoso, tra fiori bianchi come gelsomino e tiglio, note di camomilla, erba appena tagliata e tocchi mediterranei come anice e salvia. In bocca emergono agrumi, nocciole e tocchi di zenzero e canditi con una potenza tenuta a stento a freno dalla bellissima acidità, che allunga il sorso a dismisura facendo capire immediatamente la sua stoffa di maratoneta italico dei bianchi. Senza troppi giri di parole, se avessimo un nostro Montrachet, sarebbe lui.
Cervaro della Sala: lo sfidante umbro
In una zona coltivata e famosa per i bianchi dai tempi dei romani, l’Umbria, sorge il Castello della Sala, oggi di proprietà dei Marchesi Antinori (che lo acquistarono nel 1940), ma costruito nel XIV secolo dai Monaldeschi della Cervara. Qui, nel 1985 (passato alla storia per la mitica vendemmia di bianchi in tutta Europa) è nato il Cervaro. Da allora l’uvaggio è stato costante con poche oscillazioni, con lo Chardonnay tra il 75% e l’80% e il Grechetto a completare con un 25-20% ogni anno. L’altitudine dei vigneti va dai 200 ai 400 metri sul livello del mare, attorno alla fortezza medioevale del Castello che sorge su un promontorio tufaceo, tra il fiume Paglia e la vetta del Monte Nibbio. Gli ettari aziendali sono 500, di cui 140 a vigna; il terreno particolarissimo è argilloso e ricco di fossili del Pliocene di origine sedimentaria e vulcanica. Dal 2013 è entrata in funzione una nuovissima cantina dedicata ai bianchi, con molti accorgimenti per innalzarne ancora la qualità, già meritevole di innumerevoli riconoscimenti in tutto il mondo. Macerazione pellicolare delle uve a 10 °C per circa quattro ore, poi in serbatoi di decantazione dove illimpidiscono prima di essere trasferiti in barriques, all’interno delle quali avviene la fermentazione alcolica e malolattica. Dopo cinque mesi lo Chardonnay è pronto per essere assemblato con il Grechetto, che invece viene vinificato separatamente e senza legno. I due vitigni proseguono poi insieme in barrique per l’affinamento conclusivo. La 2016 del Cervaro ha note di pietra focaia e zolfo, agrumi gialli e verdi per via dell’acidità altissima, tocchi tropicali su struttura intrigante da cui escono note di pepe bianco, nocciole e ancora sopra più evidente un floreale di magnolia, rosa thea, pesca e mirabelle. In bocca ha freschezza e sapidità, e una persistenza da cui si intravede un radioso futuro. Se avessimo un cru come Corton Charlemagne in Italia, sarebbe proprio lui!