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Vincere ai ferri corti

Per molti è il drive il momento fondamentale della partita. Ma spesso è a pochi passi dalla buca che si decide davvero un match. E l’allenamento, fatto anche di piccoli accorgimenti, si rivela fondamentale per non essere mai messi sotto pressione sul green. Continuano le lezioni di tecnica di Business People insieme a Carlo Alberto Acutis

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Essere ai ferri corti… un’espressione che evoca situazioni lontane dalle splendide sensazioni che si provano su fairway e green. Eppure, strano ma vero, anche nel golf l’uso dei ferri corti richiama, anche se in modo figurato, quei frangenti. il momento della resa dei conti, quello, cioè, in cui si determina il risultato. Siamo, infatti, in prossimità del green e ancora più che in ogni altra parte del percorso ogni colpo, buono o cattivo, risulterà decisivo e determinerà lo score. Con un buon approccio sarà possibile puntare al “one putt”, recuperando un colpo sul par o un eventuale errore. Con una flappa o un top a ridosso della bandiera, al contrario, anche il miglior drive o ferro lungo risulterà vanificato con evidenti e pesanti strascichi sulla fiducia del giocatore.

Per capire come prepararsi e come migliorare il gioco corto iniziamo – con l’aiuto di Carlo Alberto Acutis – che del gioco corto è un grandissimo conoscitore e cultore, un percorso che, attraverso alcuni appuntamenti, ci consentirà di approfondire non solo la tecnica, ma anche le varie scelte, disponibili tra i colpi corti, per ottenere il miglior risultato quando ci si viene a trovare in vista della bandiera.

Per alcuni è il drive, o comunque il colpo di potenza, quello in cui si provano le migliori sensazioni con la pallina che, volando per alcuni secondi nella direzione attesa, apre prospettive importanti nella buca che si sta giocando. Ma, come recita un vecchio adagio, è con l’ultimo putt, magari di soli 10 cm, che si mette la pallina in buca e quell’ultimo putt conterà sullo score come un drive da 260 m… Partendo da que-to ultimo elemento di incontestabile evidenza si capisce perché sia il gioco corto, invece, la parte più importante, o quantomeno più decisiva, del golf. Con ben oltre il 60% dei colpi tirati in un giro (dai 100 m alla buca) è la parte di gioco, quindi, che più mette sotto pressione il giocatore e quella, pertanto, da cui ottenere i maggiori risultati se opportunamente allenata.

INTORNO AL GREEN: IL CHIPPING

In questa prima occasione poniamo al centro dell’attenzione il cosiddetto “chip”, un colpo ad alto rendimento, decisamente utile (da preferire rispetto a un lob o comunque a un colpo con parabola più alta) quando ci si trova in prossimità del green senza ostacoli importanti verso la buca. Con la possibilità, quindi, di far rotolare la pallina su un terreno (avant green e green) che appaia sufficientemente omogeneo.

Quali sono le prime considerazioni da fare parlando di gioco corto e di chipping?

Per migliorare il proprio rendimento intorno al green è necessario innanzitutto fare una distinzione tra due tipi di concetti fondamentali: da un lato, i problemi legati alla qualità del contatto del bastone con la palla (tecnica insufficiente), dall’altro, la scelta del colpo in base alla valutazione delle variabili (pendenza e consistenza del green, lie della palla, vento, ecc…). Nel primo caso, che riguarda la maggior parte dei giocatori di handicap medio-alto, qualche piccolo accorgimento tecnico può aiutare a raggiungere quello che definisco “l’obiettivo dei tre colpi”, ossia essere in grado di effettuare un colpo corretto che raggiunga una distanza di sicurezza dalla buca dove fare più di due putt sia virtualmente impossibile.

Molto interessante l’obiettivo dei “tre colpi”, qualche consiglio pratico per centrarlo più facilmente?

Innanzitutto, per evitare top e flappe, nemici per eccellenza di questo obbiettivo, la posizione davanti alla palla è fondamentale. Il corpo deve essere lievemente inclinato a sinistra (Foto 1a) per fare in modo che la verticale dello sterno vada a cadere a sinistra della palla (Foto 1b), posizionata in centro allo stance (Foto 1c). Le mani vanno poste in avanti con il tappo del grip all’altezza della gamba sinistra (Foto 2 e 3), mentre il peso del corpo deve rimanere a sinistra anche durante la salita del bastone (Foto 4). Queste tre variabili assicurano un contatto discendente con la palla che è ciò che basta per farla partire nella maniera corretta.

I concetti che ha indicato sono apparentemente semplici ma, come spesso accade al giocatore medio, se il maestro non è presente, risulta più difficile praticarli in modo consistente e utile. Qualche esercizio?

Un buon esercizio è quello di appoggiare un bastone davanti al piede destro con il grip sulla linea di tiro dietro alla palla (Foto 5). Chi riesce a non colpire il grip con la testa del bastone nel downswing ottiene un buon contatto con la palla (Foto 6). Ripetendo questo esercizio fino a rendere naturale posizione e movimento si otterrà quella convinzione e sicurezza che, in campo, consentirà colpi consistenti e con un migliore controllo.

Il gioco corto: è una questione di tecnica sicuramente, ma anche di scelte giuste, di bastone e di colpo. Quindi, imparare la tecnica con i diversi bastoni non deve servire solo a effettuare i colpi nel modo giusto, ma anche ad ampliare il ventaglio di colpi a disposizione del giocatore nelle diverse situazioni.

Certamente e, infatti, un accorgimento molto importante è quello di prestare grande attenzione alla scelta del ferro da usare. Per fare questo nel modo giusto, è necessario valutare la distanza tra il bordo del green e la buca. Se la bandiera è molto lontana (fondo green) sarà necessario che la palla rotoli molto e quindi consiglio di giocare un ferro 6/7 (Foto 7). Se la bandiera è più vicina (centro green) un ferro 8/9 sarà più indicato (Foto 8). Infine, se la bandiera è molto vicina e sempre usando la stessa tecnica, consiglio di giocare il colpo con un sand iron in modo che la palla rotoli poco una volta atterrata sul green (Foto 9a e 9b).

In fatto di tecnica queste indicazioni sembrano decisamente molto utili per tutti ma volendo dare qualche suggerimento a chi è più solido dal punto di vista dei fondamentali, cosa si può mettere in evidenza?

Per coloro che già posseggono una buona tecnica, l’attenzione ai dettagli è fondamentale per ottenere l’obiettivo dei due colpi e cioè l’up & down (uno per arrivare in green e il secondo per mettere la pallina in buca). Questo è quello che devono ottenere i giocatori di handicap basso per migliorare il proprio rendimento. Acquisire l’abilità di effettuare spesso solo due colpi da una posizione intorno al green è ciò che alla fine del giro può far ottenere un risultato fantastico se il gioco lungo è stato buono, e un risultato accettabile se il gioco lungo è stato più falloso. Le statistiche ci dicono che la maggior parte degli up & down sono fatti con un ottimo approccio e un putt corto, e non con approccio scadente e un putt lungo. La causa più frequente di bogey nel golf professionistico è il putt sbagliato da un metro e mezzo dopo un approccio non “dato”.

Quali gli aspetti a cui prestare maggiore attenzione?

C’è un elemento che per i giocatori di handicap basso è fondamentale e che incide in misura notevole sulla qualità del loro gioco corto, intesa come risultato di colpi effettuati con ottima tecnica: il green. Uno dei particolari da ricordare, e che può fare la differenza, è che i green non sono mai uguali. Potrebbe sembrare ovvio ma, spesso, ci si dimentica che ogni giorno cambiano in base all’umidità, alla lunghezza dell’erba (in generale, all’alba sono più umidi e la sera più lenti) o al vento che, seccandoli, li rende duri. I buoni giocatori sviluppano capacità di percezione notevoli anche attraverso i piedi, riuscendo a “capire” la consistenza del terreno e di conseguenza il punto ideale dove far rimbalzare la palla. Due esempi estremi di situazioni diverse sono da un lato un green veloce, duro, in discesa, con vento dietro e da un lie nel rough (massimo rotolamento), dall’altro un green lento, bagnato, in salita, con vento contro e da un lie nel fairway (minimo rotolamento). Ciò che fa la differenza tra un chip discreto e uno ottimo è la capacità di addizione e sottrazione di queste variabili che influiscono sulla velocità del colpo. Spesso esse si mischiano e il bello del gioco corto è che non esiste mai un colpo uguale all’altro. Tali sono i motivi per cui prediligo le lezioni di gioco corto sul campo. Queste, unite a una pratica costante intorno al green, sono il modo più efficace per migliorare di molti colpi il proprio score e il proprio handicap.

CARLO ALBERTO ACUTIS

Laurea in Business Administration all’Università di Miami, U.S.A. (1983), negli anni ‘80 partecipa a varie competizioni internazionali, intraprende quindi la carriera dell’insegnamento con diversi ruoli all’interno della Federazione. La formazione, agli inizi con il maestro A. Angelini poi con K. Venturi alla University of Miami, è continua con stage e corsi sulle varie componenti del golf (con i coach Tosky, Ballard, Leadbetter, Mc Lean, Swash). Partecipa quale oratore a convegni in particolare sugli aspetti medici e biomeccanici dello swing ed è del 2001 il suo primo libro Golf, uno sport per sempre (Sperling & Kupfer). Dopo uno stage a Dallas presso il Golf Studio di H. Haney (già coach di T. Woods), nel 1991 fonda con A. Rogato e G. Bordoni la Blue Team Golf Academy (www.blueteamgolf.com). Non perde il contatto con il golf giocato e partecipa a diversi eventi di primissimo livello quali il PGA Championship dello European Senior Tour 2011, vince la gara di qualificazione al British Senior Open in Inghilterra e il Campionato Italiano di Doppio della PGAI. Nel 2010 è Campione Nazionale Open Senior e si aggiudica la qualificazione (terzo) per il British Senior Open a Carnoustie in Scozia.