Consulenza McKinsey al Mef: perché le polemiche sono incomprensibili
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Mi rendo conto che, dopo un anno di pandemia, gran parte dell’opinione pubblica ha acquisito qualche nozione di virologia, ma non si può dire altrettanto del modo in cui si organizza un progetto, un programma d’interventi economici e sociali, un servizio pubblico o privato. La polemica sul micro-incarico del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) aMcKinsey (25 mila euro per la revisione e l’organizzazione di un documento) ha scatenato reazioni incomprensibili per chi lavora nelle aziende.
Le organizzazioni più attive si avvalgono da decenni di società di consulenza per progetti di strategie, tecnologie, revisione dei processi operativi, marketing, comunicazione, finanza, compliance, risorse umane. Molti consulenti indipendenti e piccole società “boutique” offrono servizi estremamente specializzati, contribuendo a far circolare il know how e le migliori esperienze internazionali. In aree organizzative dinamiche non è infrequente che le persone (interne ed esterne) dedicate a progetti raggiungano il 50% del totale. Utilizzare le migliori competenze disponibili in ambito pubblico non è una scelta “ultraliberista”: gli obiettivi finali da raggiungere per una società per azioni, una non profit, un ente pubblico, una funzione statale, una scuola o una clinica sono diversi, ma ognuna deve tendere all’eccellenza organizzativa. A maggior ragione quando le risorse provengono dalla collettività.
I progetti di ampio respiro che coinvolgono consulenti possono migliorare e rafforzare anche l’organizzazione interna, chiamata a collaborare attivamente e a portare la conoscenza aziendale specifica; i manager interni operano le scelte tra le diverse opzioni e si fanno carico della realizzazione dei piani, del mantenimento delle infrastrutture realizzate e della loro evoluzione. Vale per i sistemi informativi, ma anche per quelli di valutazione del personale, per gli impianti produttivi e per le strutture finanziarie. Portare all’interno dell’organizzazione troppe competenze specialistiche è inutilmente costoso e controproducente, dopo pochi anni perderebbero la capacità innovativa, che si sviluppa solo attraverso la continua esposizione a problemi nuovi, anche in settori diversi. Nelle Pubbliche amministrazioni servono apporti di competenze su diversi piani: per gestire e realizzare progetti, ma soprattutto per rafforzare le strutture, indebolite dall’assenza di turnover e di ridisegno organizzativo. Occorre però, prima d’immettere nuove figure dirigenziali e operative, inserire esperti di risorse umane, organizzazione e processi digitali.
Queste figure, anche supportate da consulenti esterni, avranno il compito di ridisegnare la nostra PA, determinando i fabbisogni di competenze sulla base di una mappatura di quelle attuali, di piani di re-skilling, di modelli di servizio digitalizzati. Su queste nuove basi l’immissione di nuovi talenti sarà proficua, altrimenti rischiamo di sprecarne le potenzialità. Una buona organizzazione è la chiave del successo, nei settori pubblici non meno che in quelli privati.
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