Noi, Ulisse in azienda
Torna a L'editorialeÈ opinione comune ormai che il Jobs Act non abbia funzionato a dovere. Eppure, lo avrebbe fatto se nel frattempo i consumi fossero ripresi e l’export avesse continuato a crescere a ritmi sostenuti spingendo le filiere della produzione a intensificare le attività. E invece… Invece, ci troviamo con aziende costrette a tagliare contratti di lavoro ancora in erba, perché l’economia non ha preso la piega che si sperava, stressata da turbolenze interne e da squilibri internazionali, dalle guerre al terrorismo. Quindi, come si dice in quel di Roma, siamo da capo a 12, ovvero al punto di partenza. O giù di lì. Sembra la dannazione di Sisifo quella di imprenditori e manager: dover ricominciare spesso, troppo spesso, tutto daccapo. Anche se, probabilmente, volendo proprio scomodare un mito, sarebbe meglio citare l’Ulisse omerico: idealmente sempre indirizzato alla volta dell’agognata Itaca, ma ogni volta costretto, per un verso o per l’altro, ad affrontare prove perigliose e a navigare a vista. Che è quanto sono costretti a fare, volenti o nolenti, da otto anni a questa parte i capi azienda, e insieme a loro i dirigenti. Il perché è presto detto: nulla è come si pensava sarebbe stato. Un esempio, tanto per buttarla in politica? Di centinaia, credo siano intorno ai 150, di provvedimenti che riguardano direttamente e indirettamente le attività delle imprese espressi dal governo Letta (finanche Monti credo) e Renzi mancano ancora i decreti attuativi. Per la serie: la legge c’è, ma non si vede.
Confessiamocelo
una volta per tutte:
per tante imprese
ormai fare strategia
e pianificazione
equivale a una chimera
Come comportarsi allora? Che fare? Rischiare o stare tranquilli fino a quando tutto sarà chiarito? Solo che nel frattempo le attività languono, i clienti diventano più prudenti e tu perdi lo slancio per uscire dall’impasse. Dopo di che, mi vien da ripetere il solito refrain, è il cane che si morde la coda: se poco o niente di diverso accade, la situazione difficilmente potrà cambiare. E l’amata Itaca – che nel nostro caso si può rappresentare ora con un timido pareggio di bilancio piuttosto che con gli utili, e la possibilità di fare investimenti per poter competere – si allontana.
Confessiamocelo una volta per tutte: per tante imprese ormai fare strategia e pianificazione equivale a una chimera. Hai voglia a stilare piani industriali e a fissare obiettivi e il modo per raggiungerli, se poi in fase di realizzazione le condizioni in cui pensavi di operare mutano, perché i tuoi stessi clienti così come i fornitori sono costretti a cambiare a loro volta i termini della collaborazione con la tua azienda. E certamente mi si obietterà che un buon piano per essere tale dovrebbe anche essere flessibile, ma converrete che esiste una soglia di flessibilità oltre cui non si può andare. A meno che non si cambi l’intero piano. Che è quanto sta accadendo in molte realtà economiche. Insomma, c’è di che perdere la testa, e personalmente mi stupisco spesso di come il tessuto imprenditoriale e manageriale del nostro Paese, a parte i drammatici casi iniziali che hanno visto la disperazione di alcuni sfociare in gesti estremi, abbia invece sostanzialmente retto. Lo so, navigare a vista è pericoloso, ma rimanere fermi lo è ancora di più. Così com’è inutile continuare a pensare cosa sarebbe accaduto di buono se qualcun altro – esterno all’azienda – avesse agito diversamente. Per questo occorre una nave solida e un equipaggio che agisca all’unisono col timoniere, sapendo che quest’ultimo ha come obiettivo primario l’integrità della nave e dei suoi uomini. Solo in questo modo, navigare a vista continuerà certamente a essere rischioso, ma tornerà – presto o tardi – anche utile.
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