La solitudine è digitale
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Stiamo diventando degli analfabeti intellettuali, e il dramma è che la cosa al massimo ci stupisce anziché spaventarci. I segnali sono tanti e arrivano da più fronti, ripetutamente, come la notizia che i giovani quindicenni italiani di oggi abbiano meno capacità di comprendere quanto leggono rispetto agli studenti di 10 anni fa. Al di là dei distinguo statistici che vanno sempre tenuti da conto, perché come sostiene Gregg Easterbroo, «se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa», la situazione necessita di una seria riflessione.
Una riflessione che verta non solo sulla scuola, ma sulla famiglia, sulle tecnologie e – in prospettiva – sul nostro futuro. Già, perché quei ragazzi che leggendo un testo ne comprendono solo in parte il significato, sono lo specchio di quel che potrebbe succedere al nostro Paese nel giro di pochi decenni. Così come sono il sintomo di una società che si è fatta travolgere dalla rivoluzione digitale, dalla sua velocità e globalità, dai suoi stilemi e modalità, senza riuscire a imporsi. Lo storico Gianni Oliva in proposito ha dichiarato che «in un telefonino c’è tutto ciò che l’umanità ha prodotto, solo che non abbiamo ancora imparato a usarlo. Accumuliamo notizie che non si trasformano in conoscenza». E proprio qui casca l’asino!
Scivoliamo a pelo d’acqua, in superficie, inseguendo le emotività del momento, i trend topic e i like, ma non sappiamo andare fino in fondo: ci stiamo abituando a giudicare orizzontalmente e in fretta, smarrendo l’abitudine all’approfondimento verticale e al ragionamento, per farsi un’opinione senza esprimere giudizi (il più delle volte avventati). Si tratta della stessa via di fuga dalla comprensione della realtà che sta distruggendo l’informazione “stampata” e perciò statica, e in quanto tale riflessiva, rispetto a quella online, tendenzialmente propensa alle breaking news a effetto e mobile, in tutti i sensi...
E non si tratta di buttare ancora una volta la croce sui social network, perché solo chi non ha mai aperto un qualsivoglia profilo è autorizzato a scagliare la prima pietra. Il fatto è che bisognerebbe reimparare a familiarizzare con la conoscenza, che non è sapere tante più cose possibili, bensì mettere in relazione quanto accade (o è accaduto) davanti ai nostri occhi con quel che c’è nel mondo che ci circonda, dentro noi stessi e negli altri. Attività ben più complessa dal bersi compulsivamente tutto quel che passa il convento del web: la folla di persone che ogni giorno passano ore attaccati agli schermi dei device non si informano o “acculturano”, più semplicemente “si drogano”. Quando taggano non “condividono” un proprio pensiero, molto più semplicemente manifestano la propria solitudine, il desiderio di esserci, di essere visti. E in un mondo simile un quindicenne che non capisce ciò che legge può sentirsi molto, ma molto, solo e non sapere neanche di esserlo.
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