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L’insostenibile leggerezza del crescere

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Lunedì, 05 Settembre 2016

Cresciamo o non cresciamo? Sì, no, forse… Comunque la si pensi, non esistono elementi – almeno all’apparenza – per stabilire con assoluta certezza la veridicità di una delle tre ipotesi: a ogni indicatore economico ne corrisponde sempre un altro, magari su un diverso fronte, che compensa (nel bene o nel male) gli effetti del precedente, a riprova di uno stato di debolezza e di insicurezza che – almeno quello – è certo e innegabile. Insomma, stiamo come stiamo, e così sia…

Certo, non è granché come affermazione, se si è un imprenditore o un manager che vuole capire se, come, dove e perché investire nel nostro Paese, ma non lo è neanche per un consumatore, un padre di famiglia che deve sbarcare il lunario per sé e la prole, per chiunque voglia sapere come andrà a finire e sentirsi sicuro di spendere o meno, con ragionevole tranquillità, i suoi guadagni o i suoi risparmi. Tutto un giro di ragionamenti che (lo avrete ormai capito) tendono a dire – in soldoni – che se la gente non sa se domani o dopodomani avrà sufficienti risorse per pagare le bollette e andare al supermercato, come si può invocare a ogni piè sospinto l’agognata ripresa dei consumi? Perché i consumi non aumentano, danno solo qua e là qualche segno di vita, ma poi si riequilibrano… possibilmente verso il basso.

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Come si può invocare

la ripresa dei consumi,

se la gente non sa se domani

avrà abbastanza soldi

per pagare le bollette?

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Il perché è presto detto: «Del doman non v’è certezza», avrebbe sintetizzato Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. Mentre il presente è certissimo: secondo l’Istat nel 2015, il disagio economico tra tutte le fasce d’età fino ai 64 anni, è cresciuto di almeno un punto percentuale. Solo gli ultra 65enni stanno meglio, ma dello 0,4%. Non hanno di che scialare, insomma. E chi è in difficoltà, non stabilizza la sua situazione, ma continua a stare peggio l’anno successivo. Mentre contro la retorica che si leva ogni volta che si scopre che gli italiani non fanno figli, che le classi sono piene di bambini con genitori immigrati, occorre dire che a fronte di una spesa sociale che elargisce il 27% alle – seppur magre – pensioni, le risorse destinate alle famiglie con prole non raggiungono il 3%. Chi vuole mettere al mondo dei figli se poi non può assicurargli un’esistenza dignitosa?

Quindi, bisogna chiedersi dove abbiamo sbagliato e dove continuiamo a sbagliare, altrimenti si costruisce sulla palude, si creano aspettative a vuoto, e non si esce dal pantano. Dobbiamo chiederci se i parametri di salvaguardia che abbiamo usato negli ultimi decenni su pensioni e lavoratori dipendenti non ci abbiano impedito di guardare oltre, al fine di creare le condizioni affinché si ampliassero le possibilità, per chi non ce l’aveva, di farsi una pensione o di trovare un lavoro. Come dire? Siamo stati conservativi e non possibilisti. Col risultato che oggi ci troviamo con intere generazioni scioccate dal fatto che non avranno più il posto fisso. Tantomeno statale. E con un Paese che non spalanca le porte al loro ingegno, ma gli mette i bastoni tra le ruote. Ecco perché la nostra ipotetica ripresa rimane un qualcosa di debole, leggero, quasi impalpabile. O, meglio, di insostenibile.

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