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Lavoro

Cambiare per vincere

In un mondo in continua trasformazione, anche le imprese devono mutare per poter competere sul mercato. Ecco come, quando e quale modello organizzativo scegliere

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Quali sono i fattori che determinano il successo o meno delle imprese? Il tema è ampio e dibattuto, il nostro punto di vista semplice: se ancora oggi ci sono, tra le aziende italiane, così tanti casi difficili e di non successo, forse è ora di riprogettarne l’organizzazione. Da capo a piedi. Perché attualmente il contesto economico e politico nel quale l’economia opera cambia con una rapidità tale da mettere a dura prova la capacità di adattamento delle società. Insomma, il rischio è che il mondo cambi prima dell’impresa. Deve invece accadere il contrario: flessibilità e adattività rappresentano, infatti, due dei più importanti fattori critici per il successo di grandi aziende, pmi e start up. Da dove partire? Ma soprattutto: esiste il modello organizzativo migliore in un ambiente dove si compete a livello globale, le tecnologie sono in continua evoluzione, il ciclo di vita dei prodotti spesso è breve e i clienti sono sempre più informati? «La buona notizia è che esiste. Il modello migliore è quello che riesce a cambiare continuamente. In altre parole, è il modello che permette alle organizzazioni di essere fluide», ci spiega Leonardo Caporarello, Sda Professor di Organizzazione e HR all’Università Bocconi, «ovvero un modello attraverso il quale perseguire contemporaneamente più obiettivi diversi tra loro e, a questo fine, adottare forme ibride, mutuando elementi e caratteristiche dai diversi schemi organizzativi puri. Il perché molte imprese non raggiungono il successo atteso ha una spiegazione: stanno indossando un abito di una taglia sbagliata, cioè hanno adottato un modello organizzativo non appropriato».

COSA TENERE A MENTE

I CASI ESEMPLARI

MIGLIORARE IN SEI PASSIQual è il primo step da fare? Secondo Caporarello, una vera autorità in Italia nel campo del ripensamento e della riprogettazione organizzativa, i passi da fare sono sei e ciascuno riguarda uno specifico aspetto del lavoro. I primi cinque sono forse i più noti e dibattuti, la sorpresa è l’ultimo. Ma andiamo con ordine. «Bisogna ridefinire tutto: la strategia, ovvero la visione e la direzione di riferimento, gli obiettivi strategici; poi la struttura, definendo le attività e le responsabilità di ciascuno per poter raggiungere gli obiettivi definiti dalla strategia; seguono i processi, cioè come lavora l’impresa, poi le persone, chi può essere motivato e competente per dare attuazione alle attività da svolgere; infine è necessario ridisegnare il sistema delle ricompense, ovvero dei meccanismi di allineamento degli interessi dei membri dell’organizzazione con gli interessi dell’organizzazione».Siamo a cinque. Il cambiamento fondamentale sarebbe però il sesto, quello più difficile, ma che da solo garantisce che gli altri, anche se messi in campo, non siano vani: la cultura. «La cultura è l’elemento che influenza tutte le precedenti dimensioni in quanto è l’insieme dei valori, di ciò in cui si crede, delle precondizioni che determinano il modo con cui l’organizzazione mette in atto i suoi comportamenti per il raggiungimento degli obiettivi».«Analizzare e progettare un’impresa significavalutare tutte le componenti del modello organizzativo e, per essere efficace», conclude il professor Caporarello,«tale operazione deve coinvolgere opportunamente i principali stakeholder di riferimento. Non esiste quindi un modello che può essere presentato come migliore in assoluto, poiché la scelta dipende dal contesto contingente e dalle esigenze che l’azienda si trova ad affrontare. La (ri)progettazione di un’organizzazione deve dunque iniziare con l’analisi del contesto, i cui fattori sono di natura sociale, tecnologica, economica, legale, politica, ambientale, della strategia e della visione dell’impresa». Qualche esempio? Microsoft, che ha dichiarato di volersi riorganizzare internamente non per divisioni o funzioni, ma per “experience”, proponendo un modello innovativo. In negativo invece, Google: secondo alcuni analisti, non ha saputo integrare le differenze culturali di un’azienda come Motorola, acquistata per 12 miliardi di dollari, e si è vista costretta a rivenderla a Lenovo per 3 miliardi. Le due culture erano troppo diverse per convivere. Ripensare e riprogettare un’organizzazione significa, infatti, capire qual è la cultura, oltre alle competenze e alle conoscenze, delle persone che si troveranno a lavorare secondo un dato modello. Il modello giusto in assoluto non esiste, il modello buono è quello capace di cambiare continuamente, ovvero quello che rende l’organizzazione fluida.

Secondo un’indagine della Sda Bocconi su 200 manager, gli ostacoli alla trasformazione in azienda snella e rapida, obiettivo che in molti vorrebbero perseguire, riguardano appunto il cambiamento del modello organizzativo. Questo accade, dicono i ricercatori, perché le organizzazioni non sono proattive, cioè in grado di prevenire continuamente i possibili cambiamenti interni ed esterni, attesi e non, e di prepararsi e trasformarsi. Per rendere l’organizzazione proattiva il management deve affrontare alcune sfide, in particolare il 50% degli intervistati ne indica tre: la gestione della complessità operativa, la riduzione dei costi operativi, la gestione dell’innovazione continua.

STRATEGIA TEDESCAIl successo economico, la profittabilità, si fonderebbe quindi sulla performance dell’organizzazione e dei processi dentro l’azienda. Josef Nierling, Ceo di Porsche Consulting a Milano, usa una metafora automobilistica. «Dobbiamo rendere i processi eccellenti, come una Porsche, ma non basta l’auto per vincere una sfida competitiva, ci vogliono eccellenti piloti. E per questo che per guadagnare competitività dobbiamo lavorare simultaneamente sui processi e sulle persone, sull’organizzazione». Ciò non vale solo nel settore automobilistico ma in tutte le industrie, incluse quelle immateriali. Per esempio, in Italia la società di consulenza di Porsche ha utilizzato gli stessi concetti in una importante casa editrice, aiutandola nella transizione verso il digitale. «La prima cosa che abbiamo scoperto», continua Nierling, «è che quasi sempre il mondo digitale è ancora considerato marginale e gestito separatamente dal business tradizionale. Suggeriamo quindi di integrare immediatamente i processi, analizzando il valore aggiunto di ogni singola attività. In media emerge il 15% di efficienza, senza considerare i potenziali conseguenti a un rafforzamento dei processi rispetto alle funzioni e alle divisioni, che la transizione al digitale stimola. Questi processi devono essere idealmente visti nel complesso della catena del valore, indipendentemente dal fatto che le attività siano eseguite dalla propria azienda o da altri attori. Così il business model può essere affinato e diventare molto più competitivo. E, parallelamente, dobbiamo agire sulle persone, il cui ruolo cambia: perdono alcune attività, oggi obsolete, ma ne acquisiscono nuove, le quali richiedono un mindset diverso. Attività ripetitive, la cui misurazione della performance è facile, spariscono, e ne subentrano nuove che richiedono più flessibilità ma che sono più difficili da misurare. Abbiamo condotto questo cambiamento in diversi settori, ad esempio in Sap per aumentarne la capacità innovativa, così come in Tecnica, per la quale abbiamo ripensato l’approccio alla pianificazione della domanda dei prodotti». Se le aziende italiane avvieranno presto questa rivoluzione, è il parere dei consulenti Porsche, saranno capaci di mantenere significatività in un ecosistema economico sempre più complesso, globalizzato e competitivo.

IL MODELLO MIGLIORECi sono altri elementi distintivi che devono caratterizzare il modello organizzativo utilizzato. Secondo Marco Morchio, Strategy Lead di Accenture, è necessario assicurarsi che i manager a ogni livello dell’organizzazione abbiano le responsabilità assegnate e le giuste competenze per gestire un insieme eterogeneo di circostanze, poi creare una cultura aziendale, prendere decisioni critiche con velocità, garantendo sempre che tali decisioni siano adeguate alle condizioni di mercato. «Le organizzazioni devono distinguere tra le decisioni che riguardano le operazioni di tutti i giorni e quelle di maggior peso che riguardano la direzione strategica della società », continua Morchio, e poi suggerisce il sistema Accenture per portare un’azienda al successo. «Si chiama agility: la capacità di una azienda di essere agile e veloce nell’adattarsi ai cambiamenti del contesto in cui opera. I diversi studi effettuati confermano che tale capacità sta sempre di più diventando uno tra gli elementi più importanti di successo delle aziende a causa della sempre maggiore velocità con cui le condizioni di mercato mutano e la crescente difficoltà nel predire tali cambiamenti. Le organizzazioni vincenti del nuovo millennio», conclude, «sono quindi quelle che più velocemente di altre sono in grado di innovare e adattarsi ai mutamenti, reagire al contesto di mercato che le circonda, leggere prima di altre le mutate esigenze dei consumatori».

Il passo fondamentale riguarda LA CULTURA: bisogna analizzare IL CONTESTO a fondo e coinvolgere tutti GLI STAKEHOLDER

RIPENSARSI APPENA NATIVale lo stesso discorso anche per le aziende che muovono oggi i primi passi. Parola di Daniele Pes, presidente di Innovits, l’acceleratore di start up non profit creato a Milano nel 2010, con l’obiettivo di promuovere modelli d’innovazione sostenibili, costruendo un ponte fra aziende consolidate e nuove imprese. «Lo storico approccio all’innovazione nelle corporate, basato su investimenti finanziari monolitici e lunghi cicli di sviluppo di nuovi prodotti, è oggi difficilmente perseguibile e non sta al passo con un mercato in cui la rivoluzione digitale impone ritmi elevati. Innovare per consolidare il posizionamento di mercato o esplorare nuovi mercati è, da tempo, molto più che un’opzione. La combinazione dei due fattori», continua Pes, «impone alle aziende di cambiare, per certi versi anche brutalmente, tramite un’evoluzione dei processi orientata alla rapidità e alla concretezza, allo sviluppo di nuove proposte tramite cicli di sviluppo brevi e fortemente orientati a testare il mercato in modo prototipale. Ciò richiede un progetto di cambiamento culturale e organizzativo cui gran parte delle corporate italiane ha già mostrato di essere sensibile. Un’evoluzione che coinvolga tutta la popolazione dell’azienda. Occorre un investimento concreto e consapevole che valorizzi, non rinnegandole, le competenze che costituiscono la cultura dell’impresa, con iniezioni importanti di tecniche e approcci mutuati, magari, da realtà meno consolidate, che più forte sentono l’urgenza di reinventarsi per competere».

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