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Lavoro

Non paga più nessuno

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Tra i casi trattati da Giampaolo Luzzi, noto avvocato livornese e uno dei massimi esperti di recupero crediti, c’è quello di un’impresa ligure attiva nel settore delle vernici. È un’azienda che va abbastanza bene e che nel 2009 è riuscita a mantenere stabile il proprio fatturato, attorno a 35 milioni di euro. Ma oggi ha un problema: un centinaio di suoi clienti di lunga data risultano in forte ritardo nei pagamenti, per un totale di circa 1 milione di euro. La cifra potrebbe costringere la società a ridurre gli utili dell’ultimo esercizio e, dunque, a tirare un po’ la cinghia. Per recuperare il credito, l’azienda le ha già provate tutte, o quasi, e non esclude di passare alle vie legali. Sarà in buona compagnia perché negli ultimi anni, complice la recessione economica, i tempi di pagamento hanno subito un’impennata. La prova arriva dalle statistiche di Cribis D&B, società specializzata nell’acquisizione di dati sull’affidabilità finanziaria delle aziende. Dal 2007 la percentuale di imprese “virtuose” che rimborsano i propri debiti alla scadenza è scesa di quasi dieci punti, dal 50,4% al 41,9% circa. Per contro, la quota di società fortemente ritardatarie, in media sui 120 giorni, è quasi quadruplicata, dall’1,49% a oltre il 5,8%.

La maledizione del piccolo commercioIl fenomeno dei ritardi nei pagamenti riguarda un po’ tutti i settori anche se vi sono alcune categorie di imprese, come quelle che operano nei servizi finanziari o nel commercio al dettaglio, che risultano meno puntuali: in circa il 7-8% dei casi, le aziende commerciali e finanziarie non riescono infatti a tener fede ai propri impegni nemmeno nell’arco di 120 giorni. Eppure, in Italia esiste un decreto legislativo (il 231 del 2002) che fissa paletti precisi per scoraggiare i pagamenti tardivi. Innanzitutto, non appena un’azienda non rispetta una scadenza, è soggetta per legge a interessi di mora, proporzionali al costo del denaro stabilito dalla Bce. Inoltre, l’impresa inadempiente è tenuta al risarcimento dei costi sostenuti dal creditore per il recupero delle somme. Infine, è previsto il divieto di qualsiasi clausola contrattuale che imponga termini iniqui per l’incasso delle fatture. «Tutti principi sacrosanti», dice Paolo Della Vedova, avvocato milanese specializzato nel recupero crediti, «che però in Italia sono sempre rimasti sulla carta».

Il Brasile insegnaSi prenda a esempio il caso del Brasile, dove esistono norme severissime per le imprese che non onorano i propri debiti. Secondo la legge, infatti, “qualsiasi società che, senza rilevante ragione di diritto, non paga un’obbligazione alla scadenza, può essere considerata in stato di fallimento, se a richiederlo sono i creditori, i soci o gli azionisti”. Una realtà molto lontana da quella dell’Italia, dove i pagamenti dilazionati sono talmente diffusi da apparire come una regola inscalfibile. «Qualunque azienda tenti di opporsi a questo sistema», aggiunge Della Vedova, rischia di essere messa ai margini e di non poter più lavorare». Ciò è vero soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese che spesso non hanno potere contrattuale nei confronti dei clienti. Per non parlare, poi, della pubblica amministrazione: gli enti statali italiani saldano i debiti con un ritardo medio di 138 giorni, il doppio della media europea (68 giorni). Quando sono loro a dover pagare, le Pmi risultano invece le più puntuali.

Primo: prevenireLe Pmi, insomma, non hanno scelta: per evitare di trovarsi in difficoltà all’improvviso, a causa di ritardi negli incassi e di debitori poco affidabili, devono dotarsi di antidoti efficaci. Quali? «Le strategie da mettere in atto», dice Luzzi, «partono tutte da uno stesso principio: ogni impresa deve prevenire le situazioni di sofferenza dei crediti, prima che sia troppo tardi, cioè prima di essere costretta a ingaggiare con le controparti lunghe battaglie legali». Innanzitutto, occorre effettuare un attento screening dei debitori, acquisendo informazioni sulla loro solvibilità finanziaria e sulla loro solidità patrimoniale. In altre parole, occorre verificare in anticipo come procede il business del cliente, se ha attraversato delle difficoltà negli ultimi mesi oppure se è risultato in ritardo nei pagamenti di altri fornitori. Per ottenere questi dati basta rivolgersi alle società di business information che offrono dei servizi di indagine finanziaria a un prezzo contenuto. Dopo aver raccolto le informazioni, un’impresa è in grado di stabilire se è opportuno concedere delle dilazioni di pagamento oppure se conviene richiedere il saldo immediato, non appena la merce viene consegnata, per evitare spiacevoli sorprese. «È bene che le indagini finanziarie riguardino anche i clienti acquisiti da tempo, che non hanno mai dato problemi», dice Luzzi. L’attuale crisi economica ha dimostrato che qualsiasi impresa, anche la più seria e affidabile, può trovarsi all’improvviso “nei guai”. Lo screening dei debitori deve essere coordinato da una figura professionale ad hoc, il credit manager, che in Italia spesso non riceve le attenzioni che merita da parte delle aziende. «Nel nostro Paese, soprattutto tra le società a piccole e medie dimensioni, la cultura della gestione del credito è meno sviluppata rispetto ad altre nazioni europee», dice Stefano Mariani, credit manager dell’utility energetica Linea Più, che è anche tra i fondatori dell’Acmi (l’associazione dei credit manager italiani). L’analisi dei debitori richiede l’utilizzo di strumenti avanzati, cioè di sistemi software creati apposta, il cui costo è abbastanza contenuto: «i prodotti più semplici di questo tipo hanno un prezzo di poche centinaia di euro, quelli più evoluti superano i 5 o i 6 mila euro» dice il credit manager di Linea Più. I sistemi informatici servono soprattutto per l’individuazione dei nomi dei debitori a cui è bene inviare un sollecito quando si sono verificati dei ritardi nei pagamenti. In pratica, l’azienda contatta il cliente inadempiente e lo invita a regolarizzare la propria posizione. Spesso, le società hanno la tendenza a inviare dei solleciti in forma scritta con delle formule “standard”. In realtà, secondo Luzzi è meglio utilizzare mezzi più efficaci, come i solleciti telefonici, preferibilmente effettuati da una società esterna specializzata nel recupero crediti. Ma in circa nel 40% dei casi, il sollecito si risolve in un nulla di fatto. E allora, i creditori sono costretti a passare all’azione legale.

Buoni e cattivi compromessiA dire il vero, esiste un’alternativa. Si tratta degli organismi di conciliazione delle Camere di Commercio, dove una parte terza e indipendente propone alle società di giungere a un compromesso. Queste procedure, a detta di Luzzi, sono però poco utilizzate nel nostro Paese soprattutto per due motivi: sia perché alcuni studi legali preferiscono la giustizia ordinaria, che consente loro di incassare delle parcelle più ricche, sia perché i conciliatori propongono soluzioni di compromesso, che sono insoddisfacenti per il creditore, se la controparte ha torto marcio. E allora, meglio affidarsi a un giudice che, una volta accertata l’esistenza del credito, invia un’ingiunzione di pagamento al debitore. Se quest’ultimo non è in grado di soddisfare i propri impegni, allora scattano le procedure di pignoramento. Facile a dirsi. In realtà tutte queste procedure, che in teoria dovrebbero perfezionarsi in tre o quattro mesi, incontrano spesso intoppi burocratici. Quasi sempre gli avvocati difensori del debitore fanno opposizione, e a volte l’azienda che dovrebbe pagare risulta irrintracciabile. Risultato: per recuperare le somme che gli spettano, un’impresa arriva ad attendere sino a sei o sette anni. Senza avere, nel frattempo, la certezza di riuscirci. Intanto, le spese legali della pratica lievitano e i benefici economici derivanti dall’incasso dei crediti si assottigliano. Per questo, secondo gli esperti, tentare di recuperare tutti i crediti in sofferenza per un’imprenditore è un’utopia. «Bisogna invece attuare una strategia mirata», dice Mariani, «cioè selezionare una quota di pagamenti in ritardo, su cui vale la pena di concentrare i propri sforzi». Come i crediti di importo più elevato o di quelli pendenti su aziende non troppo inguaiate. La quota dei mancati pagamenti selezionati, in genere, non è elevatissima, cioè attorno al 14% secondo Luzzi. Per Mariani, la percentuale è un po’ più bassa, nell’ordine dell’8-10%, ma essendo un’utility energetica con una base di clienti molto ampia, Linea Più ha infatti un portafoglio-crediti con molte piccole fatturazioni. Vista l’incidenza delle spese legali di una pratica, dunque, tentare di recuperare un mancato pagamento di poche centinaia di euro si rivela uno sforzo inutile. «Questo non significa», conclude Mariani, «che i piccoli crediti debbano essere sempre abbandonati». Anche perché un’utility energetica ha un’altra arma a proprio favore: quella di staccare la luce al moroso.