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Lavoro

La fabbrica dei sogni

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I dipendenti che si scelgono l’orario di lavoro. I delegati sindacali che a inizio anno pianificano investimenti e organizzazione del lavoro insieme ai dirigenti e vengono trattati alla stregua dei capi-reparto. E poi l’azienda che abolisce gli straordinari, compresi quelli obbligatori. Non è la “fabbrica dei sogni” e nemmeno un surrogato di politica industriale veterocomunista con la forza lavoro al potere, su cui già si è espressa la storia. È quanto accade a Caselle di Selvazzano (Pd). Così, mentre in tutt’Italia il movimento sindacale dei metalmeccanici guidato dalla Fiom non riesce a conciliare “diritti” e “produttività”, a Padova hanno trovato il modo di aumentare i “diritti” e insieme la “produttività”. Quasi un miracolo. In effetti l’operaio che lavora in questa succursale italiana della multinazionale tedesca, un po’ più di fortuna rispetto ai colleghi delle altre fabbriche ce l’ha, eccome. Innanzitutto, perché nella maggior parte dei casi guadagna di più. Secondo, può scegliersi l’orario di lavoro più congeniale alle sue esigenze familiari e personali. Terzo, in quella fabbrica si respira un “clima” di collaborazione tra azienda e operai più unico che raro.

L’ORARIO MENU

C’è chi va a lavorare alle 6 perché così esce prima e riesce ad andare a prendere i figli che escono dalla scuola al posto della moglie, e chi invece ci va alle 8.30 perché in questo modo li accompagna in classe al mattino. L’orario menu funziona più o meno così: fino a qualche anno fa, in ben pochi tra i 200 operai (su circa 360 dipendenti dell’azienda) seguivano il turno tradizionale di lavoro dalle 8 alle 17. Oggi, nonostante il ricorso della fabbrica agli ammortizzatori sociali, sono ancora un centinaio quelli che possono permettersi la scelta. L’obiettivo, in una terra rigorosamente “bianca” come quella padovana, è la possibilità per i metalmeccanici di coniugare le esigenze del lavoro con quelle della famiglia. Succede allora che ogni due mesi o giù di lì da una parte gli operai compilano un modulo nel quale esprimono le proprie preferenze sull’orario a loro più congeniale; dall’altra l’azienda mette nero su bianco le sue necessità. Di mezzo c’è un software inventato all’interno di questa fabbrica, sempre da lavoratori e dirigenza, che cerca di coniugare il tutto, assegnando ai vari cicli produttivi questo o quell’operaio a seconda delle necessità, delle preferenze espresse e delle professionalità di ogni singolo, tutte codificate in un programma piuttosto sofisticato. Secondo l’ultima versione di questo accordo sindacale, perfezionato nel 2001, l’azienda versa 43,25 euro mensili a ogni lavoratore, sopprime gli straordinari (comprese le 32 ore obbligatorie) e garantisce un premio di flessibilità di 30 euro per chi si reca in fabbrica di sabato. Dal canto loro, gli operai mettono a disposizione 60 ore, retribuite con la metà della maggiorazione degli straordinari, da svolgere nel caso l’azienda lo richieda. Il risultato di questo complesso sistema di collaborazione operai-azienda? Un +25% di fatturato per la Zf padovana nel primo anno di implementazione dell’accordo, una costante crescita in termini di produttività negli anni consecutivi, buste paga più pesanti per i lavoratori insieme alla possibilità di scegliersi, entro certi limiti, l’orario di lavoro più congeniale.

“L’HO INVENTATO IO”

Si chiama Alessandro Barbiero, ha 47 anni, e non è solo un sindacalista: Barbiero è l’inventore dell’accordo sull’orario menu alla Zf . «Come è nato questo accordo? Era il 1999, io lavoravo alla Zf dove ero delegato sindacale. L’azienda premeva per un accordo sulla flessibilità, noi lo andammo a contrattare, poi però in assemblea i lavoratori ce lo bocciarono. A quel punto avevamo due alternative: dimetterci oppure tornare dai dirigenti e dirgli che gli operai a quelle condizioni non ci stavano». Inutile dire che fu scelta la seconda strada. E accadde il piccolo-grande “miracolo” di Caselle di Selvazzano. «Fu un accordo completamente unitario, fatto innanzitutto da noi delegati della Fim insieme alla Fiom, perché la Uilm aveva poca rappresentanza in fabbrica», spiega Barbiero. «I risultati in termini di produttività si videro subito, così come i benefici sia per gli operai che per l’azienda. Si era poi creato un gruppo di lavoro che a inizio anno e all’inizio di ogni mese contribuiva a decidere mezzi da impiegare nel ciclo produttivo e investimenti. Noi delegati facevamo i corsi di formazione insieme ai capi-reparto, eravamo trattati da tutti come capi-reparto. Quell’accordo sull’orario di lavoro», ci tiene a mettere in chiaro Barbiero, «l’ho proprio scritto io, e sono stati gli operai a suggerirlo».

QUEL “CLIMA” IN FABBRICA

Sono tanti i fattori determinanti che hanno contribuito alla nascita e alla buona riuscita di questo singolare accordo alla Zf di Padova. Dall’intuizione di Barbiero e altri delegati, alla creazione di un software specifico in grado di coordinare le varie esigenze passando per l’ordinata e puntuale organizzazione dei turni. Senza contare il “clima” che si respirava, e in parte si respira ancora, in quella fabbrica. Il “clima” è quel particolare tipo di rapporto tra colleghi, tra dipendenti, azienda, proprietà e sindacati. «La premessa di tutto questo», scandisce infatti Barbiero, «è l’aver capito che il bene dell’azienda coinvolge tutti, dal primo all’ultimo, e che per raggiungerlo nel migliore dei modi era necessario uno strumento di quel genere». Alla faccia di chi ancora oggi si perde nel voler anteporre il capitale al lavoro, dimenticando che stanno già insieme quando c’è da fare i conti col “capitale umano”. «Gli straordinari non ci permettevano di conciliare la famiglia con il lavoro, e questo creava problemi», spiega Luca Bettio, operaio alla Zf e delegato Rsu, «Con quell’accordo sono migliorate le condizioni di lavoro, e l’azienda ci ha guadagnato. Gli operai sono stati responsabilizzati, anzi corresponsabilizzati». “Corresponsabilità” è la parola che si sente ripetere spesso anche da Gianni Castellan, segretario padovano della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl. «Siamo riusciti a mettere insieme le esigenze di flessibilità dell’azienda con i tempi di vita dei lavoratori, ognuno si sceglie il proprio orario più congeniale a patto che questo non abbia ripercussioni sulla produzione». E a proposito di corresponsabilità, il testo dell’accordo nella sua ultima versione del 2001 è ancora affisso nelle bacheche dell’azienda. «Le relazioni sindacali positive e costruttive sono state la premessa fondamentale per raggiungere questo risultato», commenta Castellan, «e di certo ha influito la cultura sindacale tedesca, così diversa dalla nostra, molto meno conflittuale». Così, se è vero che il software in grado di combinare gli orari è «facilmente esportabile, basta programmarlo secondo le specifiche esigenze di ogni azienda», lo stesso non si può dire di quel “clima” in officina. «Nella maggior parte dei casi», chiosa Castellan, «nelle nostre aziende non si parte dal presupposto che è interesse di tutti i lavoratori che l’azienda cresca e l’occupazione diventi più solida. E questo per un difetto di cultura sindacale. Alla Zf invece questo aspetto è stato compreso». Bello, eh?

ZOOM

30 EUROil premio flessibilità per chi si reca in fabbrica il sabato

60 OREmesse a disposizione dai dipendenti da svolgere nel caso l’azienda lo richieda

+ 25%il balzo del fatturato nel primo anno dopo l’accordo