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Lavoro

In cerca di lavoro? Andateci piano coi social network

Quanto conta la reputazione online nella scelta di un manager per la propria azienda? Poco o, almeno, non quanto una raccomandazione diretta. Le selezioni del personale al tempo dei social media

Vanno bene Viadeo e LinkedIn, le connection e soprattutto le raccomandazioni virtuali. Ma attenzione, chi punta solo a farsi una reputazione online non necessariamente ha in tasca le credenziali giuste per ottenere la posizione lavorativa dei sogni. Anzi, a troppo esporsi sui social media, anche quelli dichiaratamente business, c’è il rischio di bruciarsi la selezione. D’altra parte, latitare su queste piattaforme viene interpretato come segnale di disinteresse verso le nuove tecnologie e di poca propensione alla creazione di network professionali. Come in tutte le cose, serve il giusto equilibrioMcs, società di ricerca e selezione di middle manager con sedi a Milano, Roma e Bologna, a metterlo in evidenza, attraverso una ricerca che ha condotto su circa 100 direttori delle risorse umane di altrettante aziende (medie e grandi, italiane e multinazionali, geograficamente collocate al Centro e Nord Italia). Naturalmente Mcs tira l’acqua al proprio mulino, sostenendo che le aziende credono molto di più al parere dei propri consulenti e delle società esterne di selezione, oltre che alle referenze di capi e colleghi dei candidati, ma i numeri dell’indagine parlano chiaro: Internet e i social network non sono ancora presi in troppa considerazione quando si tratta di recuperare informazioni su una potenziale nuova risorsa.Secondo la ricerca, infatti, la valutazione fatta dalle società di selezione (77%) e le referenze dirette (55%) sono per le imprese estremamente importanti. Ma gli intervistati considerano utili anche i giudizi espressi attraverso contatti indiretti, come colleghi o ex colleghi (32%). Tuttavia, quando le aziende valutano un candidato per un ruolo manageriale, poco più della metà dà un’occhiata al profilo professionale sui social network. Ma è solo il 27% a farlo sempre, mentre il 25% solo qualche volta. Il restante 48%, invece, non dà molto peso a ciò che viene pubblicato in rete sulla persona in questione. Ma, udite udite, in generale è ancora il colloquio che mantiene un peso fondamentale nel valutare un candidato proposto dal consulente, e il 68% del campione si è espresso in questo senso.

A che pro dunque dedicare tempo e attenzione alla cura del proprio profilo social? È che quel che si dice online di una persona, e a maggior ragione di un professionista, conta soprattutto quando il responsabile Risorse umane va in cerca di conferme, per consolidare un’opinione, o anche per non arrivare impreparati al fatidico incontro conoscitivo. Circa la metà delle aziende ascoltate da Mcs, infatti, ammette di dare un’occhiata alle informazioni in rete sui candidati che sta incontrando. Circa un terzo (35%) lo fa per comprendere meglio la personalità del manager, il 27% per preparare meglio il colloquio, il 19% per scoprire hobby e doti nascoste dei candidati, così come le loro attività collaterali, da quelle sportive a quelle sociali. Dunque non sono tanto le informazioni sulla vita professionale a interessare. Tanto è vero che il 32% delle persone coinvolte nell’indagine Mcs tiene in conto le referenze pubblicate dagli stessi candidati nei propri profili su social netwok professionali. Ma ben due terzi non li considerano mai o quasi mai, ritenendoli poco attendibili e meno affidabili comunque delle referenze raccolte attraverso società di selezione.

Ed eccoci al punto cruciale. Essere visibili e attivi online, è un punto a favore per un candidato o può in qualche modo danneggiare il processo di selezione? In generale quasi due terzi dei direttori risorse umane valuta la presenza sui social media in modo positivo (61%), ma purché sia sobria e senza eccessive esposizioni. Un quinto degli Hr manager, però, ritiene che per certe posizioni sia un sintomo di scarsa riservatezza. Il 16% la valuta in modo neutro e solo una minoranza (4%) la ritiene negativa in assoluto. Il giudizio si stempera, tuttavia, quando c’è una netta distinzione fra privata e lavoro (34%), oppure se si limita ai gruppi professionali (29%).

«La mia chiave di lettura è che il direttore del personale, generalmente, interpreta la partecipazione ai social network come mancanza di attenzione al lavoro», spiega Gianluca Gioia, managing partner di Mcs. «Chi ha il tempo da dedicare Facebook & co fondamentalmente non è perché non lo occupa lavorando. È un pregiudizio, chiaramente, ma è quello che emerge dai numeri crudi. Credo che la sensazione sia dettata soprattutto dalla scarsa conoscenza del mezzo. Se avessimo svolto la ricerca anche evidenziando l’età anagrafica del campione, ci saremmo resi conto che molti degli interpellati banalmente non hanno dimestichezza con i social network e con gli strumenti che oggi permettono di interagirci. Smartphone come iPhone e Blackberry», continua Gioia, «rendono i social sempre disponibili, anche in auto, davanti alla macchinetta del caffè e in altre situazioni che non sono necessariamente operative». Visto che di pregiudizio si tratta, quali social sono preferibili per sviluppare il proprio profilo online senza passare per un fannullone? «Linkedin e Twitter sono i due che hanno preso maggiormente piede dal punto di vista della serietà», dice il responsabile di Mcs. «Facebook mantiene invece un’impostazione modaiola e divertente, vista anche l’età più bassa dell’utenza media, e il network è contaminato da molte informazioni che attengono più alla vita privata che ad altro».

In definitiva, visto che oltre la metà degli intervistati (52%) suggerisce che è giusto sviluppare le proprie relazioni online, perchè fanno parte dell’attività di networking, ma con una certa moderazione e il 17% dice esplicitamente che è bene mantenere un basso profilo, forse, tanto per cominciare, conviene il ritratto del profilo e togliere la foto in bermuda sulla spiaggia.