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Lavoro

Chi più studia, meno lavora. Lo dice il Censis

L’istruzione non funziona più da ascensore sociale. Quasi un giovane su tre, nonostante abbia studiato come o più dei genitori, oggi vede peggiorata la propria situazione sociale

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Un tempo l’istruzione era sinonimo di lavoro e, magari di ascesa sociale. Oggi, non solo non è più così, ma pare vero il contrario. A dirlo il Censis, secondo il quale ormai studiare non funziona più da ascensore sociale. Al primo ingresso nel mondo del lavoro, solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984 è infatti salito nella scala sociale rispetto alla condizione di provenienza, il 29,5% ha invece sperimentato una mobilità discendente rispetto alla famiglia di origine.

Non solo, la scuola, oltre a non garantire un impiego, non riesce più a svolgere la funzione di riequilibrio sociale per i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate. Se infatti l’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, e interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. L’uscita precoce dai circuiti scolastici riguarda infatti il 31,2% degli studenti i cui genitori svolgono professioni non qualificate, contro appena il 3,9% di quelli con genitori che svolgono invece professioni qualificate.

Che studiare serva a poco (almeno per quanto riguarda la ricerca di un impiego) è certificato dal fatto che tra il 2008 e il 2013 la domanda di lavoro in Italia ha continuato a concentrarsi soprattutto sui livelli di studio bassi, gli unici a registrare un andamento positivo (+16,8%), a scapito sia dei titoli medi (-3,9%), sia di quelli più elevati (-9,9%). In questo periodo sono aumentati del 32,7% i diplomati e del 36,6% i laureati occupati in professioni che richiedono bassi skill. Il fenomeno dell’«overeducation» nel mercato del lavoro riguarda sia le lauree considerate deboli, come quelle in scienze sociali e umanistiche (43,7%), sia le lauree ritenute più forti, come quelle in scienze economiche e statistiche (57,3%), e tocca anche un ingegnere su tre.

Di fatto, oggi in Europa due terzi dei giovani tra 18 e 29 anni si dichiarano ottimisti verso il futuro, in Italia la percentuale si ferma al 47,8%.