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Uber minaccia: «Tracceremo chi parla male di noi»

Il vicepresidente della società beccato a suggerire l’istituzione di un team per creare dossier sui giornalisti scomodi

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Diciassette miliardi e non sentirli. Perché Uber dopo aver scardinato il mondo dell’autonoleggio, lottato contro le legislazioni nazionali e racolto investimenti da capogiro negli ultimi sei mesi (viene valutata circa un miliardo di dollari), stavolta ha davvero esagerato.

Dopo le critiche per un approccio “sessista” al business, il vicepresidente della società Michael Emil ha gettato Uber dalla padella nella brace con una gaffe da politico di terz’ordine.

UBERLEAKS. Durante una cena il dirigente – e consigliere del Pentagono, nonché considerato uno dei re della Silicon Valley – ha pensato bene di farsi beccare mentre suggeriva la creazione di un team di investigatori per scavare nelle vite private dei giornalisti troppo critici nei confronti dell’azienda. Un progetto da «un milione di dollari», tanto per dare «un assaggio della loro stessa medicina» ai cronisti scomodi.

In cima alla lista c’è Sarah Lacy, del sito Pando Daily. Proprio la testata della Silicon Valley ha accusato per prima l’azienda di sessismo e misoginia segnalando infatti le numerose molestie e allusioni hot subite da alcune clienti da parte degli autisti del servizio.

In più, prosegue BuzzFeed, a Lione ci sarebbe un accordo tra la locale Uber e un’azienda online di “modelle” ordinabili insieme con l’auto a noleggio.

Una volta beccato, Emil si è scusato via social network con la giornalista e gli altri cronisti: «Le affermazioni che mi sono state attribuite nascono dalla frustrazione sulla copertura media sensazionalistica della società per cui sono orgoglioso di lavorare. Erano sbagliate: non indagheremo sui giornalisti». C’è da fidarsi?

Credits Images:

Michael Emil, vice presidente di Uber © Getty Images