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Analytics Experience 2016, il futuro dei Big Data secondo Sas

A Roma la tre giorni dedicata agli analytics trra approcci esperti e prospettive future tutte da scoprire. Protagonisti anche David Shing, Digital Prophet di AOL, e Jim Zemlin, Executive Director The Linux Foundation

«I Big Data non risolvono problemi, ma aiutano chi deve farlo». Questa frase di Randy Guard, Executive Vice President and Chief Marketing Officer di Sas racconta il senso di un evento come Analytics Experience 2016 (vai al sito), in corso a Roma fino a domani 9 novembre. Un percorso tra passato e futuro per oltre 900 executive, tra pratiche analitiche e di marketing ormai assodate e visioni futuristiche sul mondo che verrà. «Il compito di una piattaforma di analytics è alimentare il ciclo vitale dei dati, perché l’aggiornamento del business deve essere costante», aggiunge Guard, «non esisterà mai un’azienda guidata dai soli Big Data, ma i dati possono aiutare i decisioni a fare le valutazioni migliori per il business. Abbiamo una trasparenza informativa mai vista prima per poter comprendere i consumatori, eppure l’ultima parola spetta sempre alle persone. La tecnologia può rinforzare la realtà, ma non può cambiarne le regole».

#analyticsX

VISIONI UMANE. Dopo il welcome address di Carl Farrell, Executive Vice President & Chief Revenue Officer di Sas, tra gli interventi più interessanti c’è stato il keynote di David Shing, Digital Prophet di Aol, che andando oltre il concetto di Internet of Things ha parlato di Internet of Emotions. In un’epoca di tecnologia pervasiva, di umanità connessa, i brand «devono concentrarsi sugli aspetti umani e i comportamenti delle persone seguendoli più che cercando di importi»: «La tecnologia cambia i comportamenti ma non i bisogni», ha commentato l’istrionico visionario digitale, «senza i dati non c’è creatività, ma senza creatività non ci sono i dati. Così, anche se gli smartphone possono ormai fare quasi tutto, la prima sfida è convincere qualcuno a scaricare un’app». Per farlo serve una nuova interpretazione dei modelli di marketing tradizionale, con la consapevolezza che non si può vendere agli young adults se non si hanno persone di quella fascia d’età nell’organizzazione perché «le persone comprano ancora dalle persone».

IL FUTURO DEL MARKETING. Sul futuro del marketing ha parlato anche Adele Sweetwood, Senior VP of Global Marketing di Sas, autrice del libro The Analytical Marketer (Harvard Business Review Press) in cui racconta la trasformazione della sua divisione – Sas Americas Marketing and Support – da un gruppo “artistico” in un settore di “arte e scienza”, cioè a guida analitica: «Il marketing è diventata ormai una materia fatta di dati e per questo i marketer devono cambiare il loro tradizionale approccio facendosi guidare dai numeri». Insomma, meno Mad Men e più lavoro scientifico in connessione con i data analyst, in una sovrapposizione ormai definitiva tra i ruoli. Per compiere un simile percorso serve un lungo lavoro su quattro aspetti: il primo è la mentalità, da cambiare mutando gli obiettivi dei marketer ma anche dando loro strumenti e guide in questa avventura per diventare marketing data scientist. Poi bisogna lavorare sulla struttura, cancellando le divisioni tra i canali perché il consumatore nel suo viaggio non ragiona più su compartimenti separati. Il passo successivo è investire sul talento dando libero accesso alle informazioni per rendere il marketing un processo completo. Infine, non bisogna dimenticare la leadership che deve prendere decisioni e rappresentare al meglio le intelligenze dell’azienda. «Qualcuno ha avuto paura? Sì», ricorda Sweetwood, «ma non c’è alternativa: scappi o ti tuffi dentro questo processo. I dati servono a essere più smart e alla fine molti l’hanno capito accogliendo la novità con entusiasmo».

OPEN SOURCE. Ampio spazio anche alla testimonianza di Jim Zemlin: «Quando al primo appuntamento dissi alla mia futura moglie, che studiava in una Business School, che lavoravo per un’azienda no profit open source sbiancò: oggi tutte le maggiori aziende tecnologiche supportano alcuni di questi progetti, quasi l’intera architettura finanziaria si basa su Unix», ricorda l’Executive Director della The Linux Foundation, «la sfida più grande è creare un ecosistema economico per rendere sostenibili i principali progetti di open source, permettendo alle aziende di fare profitti da reinvestire in questo campo. E il nostro compito è spiegare alle imprese il valore di una simile partecipazione. La prossima frontiera? Difficile dire, non avrei mai pensato che Microsoft avrebbe potuto supportare l’open source eppure è successo. Abbiamo un progetto per il blockchain, pensato per fornire strumenti a questo mondo, ma anche in questo caso l’obiettivo è far sì che gli hedge fund e le banche d’affari investano per supportare il nostro lavoro».