Connettiti con noi

Business

Occhio alla crossmedialità

Il social mobile è il tema caldo della relazione tra marchi e consumatori ai tempi di Facebook, ma non è tutto smartphone quello che luccica. Per affrontare la sfida della multicanalità serve un nuovo focus sui contenuti. E tanto advertainment

architecture-alternativo

Ormai la febbre del social media, meglio se mobile, infiamma brand e aziende. E tutti gli esperti di marketing, della prima come dell’ultima salutano la rivoluzione innescata da Zuckerberg e dal suo Facebook come l’inizio di una nuova era per la costruzione di rapporti duraturi tra brand e consumatori. Dove bisogna arrivare è chiaro a tutti, come farlo un po’ meno. A dare qualche risposta ci ha provato la seconda edizione del Forum della Comunicazione digitale, che si è tenuto mercoledì 16 febbraio a Milano, Palazzo Mezzanotte. Uno degli aspetti più interessanti di questa edizione è stata la presenza di una “quarta parete”, come l’hanno definita gli organizzatori. Uno schermo, alle spalle del palco da cui intervenivano i relatori, su cui galleggiava una tweetcloud, la nuvola delle parole chiave usate nei messaggi inviati dal pubblico sul profilo Twitter del Forum. E i messaggi scorrevano sullo schermo in tempo reale, a commento dell’andamento degli interventi. Ma la comunicazione digitale orizzontale è spietata, e non sono mancate osservazioni pungenti e qualche critica sulle questioni affrontate durante i lavori come sull’organizzazione dell’evento. I temi più caldi? La mancanza di una connessione wi-fi, che per gli ospiti del Forum della Comunicazione digitale è parsa quasi un’eresia, e l’approccio forse non proprio innovativo di alcuni dei relatori che erano stati chiamati a parlare proprio dell’Italia che innova.Business People è stato media partner dell’evento organizzato da Fabrizio Cataldi. Il presidente del gruppo Editoriale Duesse, Vito Sinopoli, ha partecipato alla kermesse come mediatore di una delle tavole rotonde più delicate della manifestazione: quella che riguardava la crossmedialità, ovvero le ibridazioni che la tecnologia digitale ha comportato tra le varie piattaforme, dalle più classiche come la tv e – ormai – il web, a quelle appena nate, come gli smartphone e i tablet. È risultato chiaro che la televisione non è ancora riuscita a trovare il giusto modello di business per cavalcare questa rivoluzione, ma le idee, le energie e soprattutto gli investimenti non mancano.Confrontandosi sulla questione, i rappresentanti di Rai, Mediaset e Fox, insieme con Silvia Candiani, general manager divisione Consumer & Online Microsoft Italia e Alberto Contri, presidente Lombardia Film Commission, hanno raccontato le loro ricette per affrontare questo interminabile periodo di transizione. Se Giampaolo Rossi, presidente di Rai Net, la società a cui fanno capo tutte le attività Internet di Viale Mazzini, ha rivendicato il lavoro fatto negli ultimi sei anni per accogliere in rete l’enorme quantità di contenuti prodotti dalla tv di stato in decenni di trasmissioni, Yves Confalonieri, direttore R.T.I. Interactive Media, la costola digitale di Mediaset, ha evidenziato gli sforzi che ha fatto il ‘Biscione’ per strisciare con i suoi programmi e i suoi servizi di informazione su tutti i new media. Ma per garantire un futuro sostenibile (sul fronte della raccolta pubblicitaria) alla tv tutto questo non basta. Almeno non per Alessandro Militi, direttore commerciale di Fox International Channels Italy. “Innovare non vuol dire per forza cambiare tutto. È vero che assistiamo a un fenomeno di frammentazione della fruizione dei contenuti video, che coinvolge soprattutto i giovani, i quali abbandonano la tv. Ma mai come ora, ancor più che sulle nuove piattaforme, dobbiamo puntare sui contenuti, costruendo concetti che leghino i brand all’entertainment”. Bisognerebbe dare libero sfogo alla creatività, in altre parole, e proporre un nuovo (per lo meno in Italia) concetto di pubblicità, l’advertainment, capace di coinvolgere gli spettatori/utenti e trasformarsi in un fenomeno virale. A quel punto i contenuti scavalcherebbero da soli le barriere della crossmedialità e il mercato pubblicitario potrebbe finalmente tirare un sospiro di sollievo.