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Business

Esperienza totale

La chiave del successo di Apple? «Ha saputo creare un ecosistema fatto di device perfettamente dialoganti fra di loro». «Steve Jobs negli anni ’80 era troppo avanti e solo oggi il mondo l‘ha raggiunto». Ed è già tempo di iCloud

È facile affermare che Apple rappresenti oggi il più straordinario caso di successo degli ultimi anni nell’information technology, ma è anche divertente osservare che per diventarlo, Apple abbia fatto di tutto per uscire dal mondo dell’information technology, o perlomeno di ciò che finora avevamo inteso con tale termine. Per noi “vecchi” dell’informatica, il mondo era diviso in Hardware e Software. Una divisione che ha retto per tanti anni, un filtro che ci metteva in condizione di analizzare e capire le dinamiche di un mercato in grande evoluzione anno dopo anno. Pensate come avremmo recepito un Word Processor di IBM, o un PC di Microsoft, e come tale categorizzazione ci portasse ad una identità fra marca e settore di appartenenza, così facile da spiegare e decifrare. Chi faceva Hardware non era per definizione in grado di fare Software e viceversa. E mettere in discussione questo paradigma non era facile. Tutto vero, tutto corretto, ma già negli anni ’80 con una significativa eccezione: Apple. Apple era una strana entità, in grado di fare Hardware, molto bello, sofisticato, con una componente di design che negli anni ’80 non era comune, ma si vantava di fare anche Software, con un sistema operativo rivoluzionario, ma al tempo stesso chiuso, e con una interfaccia utente che aveva sovvertito le regole del gioco. Già allora questo brand puntava a dare all’utente un senso di appartenenza, di “user experience” a 360 gradi, quasi elitaria e un po’ snob (portare la “mela” al tempo era molto di tendenza e contemporaneamente, visti gli alti costi dei sistemi, piuttosto elitario). L’esperienza dell’utente Apple all’epoca non era limitata a una parte, bensì orientata al tutto: con anche i contraccolpi del caso, come per esempio la cosiddetta “chiusura” del sistema, vissuta sempre come un limite al quale gli altri (la maggioranza a quei tempi, visto che il market share di Apple non superava mai il 10%) contrapponevano apertura e interscambio dei sistemi come parola d’ordine. Certo, ai tempi un sistema chiuso era un forte minus, in grado di essere nicchia dorata ma non maggioranza appagata (pensa come cambiano i tempi, iPad, la macchina più chiusa di tutti i tempi, è diventata l’oggetto di consumer electronics più popolare di tutti i tempi.). Steve Jobs questo pallino ce l’aveva fin dall’inizio. Continuava a essere coerente con se stesso, e incredibilmente coerente con lo Steve Jobs di oggi. Non è lui ad avere cambiato approccio, semplicemente lui era troppo in anticipo con i tempi, è stato il mondo che nella sua evoluzione è arrivato al punto in cui ha sposato il concetto di 20 anni fa. Quello di una User Experience avvolgente, una nuvola indistinguibile fatta di hardware, software e servizi che si confondono fra di loro senza confini ben precisi ma perfettamente integrati e trasparenti. L’informatica classica continua ad aggrapparsi disperata a concetti vetusti di distinzione delle categorie Hardware e Software, e talvolta si inventa fornitore di soluzione totali, incespicando in sistemi operativi claudicanti ai quali manca sempre un pezzo per essere realmente efficaci. L’iPad è stato la creazione di un device che non esisteva, ma che poteva facilmente essere copiato se considerato solo come pezzo hardware. L’iPad non ha sostituito minimamente i notebook o i net Pc, basta guardare i dati di mercato degli ultimi due anni. Semplicemente ha creato un segmento di mercato aggiuntivo che prima non esisteva. Poi naturalmente è stato copiato, perlomeno ne è stato copiato il suo aspetto fisico, il suo lato Hardware, ma lui continua imperterrito a dominare con il 90% delle quote di mercato. Ancora una volta, l’iPad non è solo un pezzo di Hardware, altrimenti non potrebbe mantenere il suo ruolo dominante. Stesso discorso per l’iPhone o per l’iPod. Chi di voi si sentirebbe di negare che al tempo del lancio del primo iPod non fossero presenti sul mercato dei lettori di MP3 dalle caratteristiche Hardware enormemente superiori a quelle dell’iPod di Apple. Nessuno che abbia buona memoria immagino, eppure quello che proponeva Apple non era l’iPod, non era un pezzo di hardware migliore o peggiore di un altro, Apple offriva una User Experience integrata, fatta di iTunes, di design, di moda, di user interface, di archiviazione semplificata. E poco importa che fosse rigorosamente inflessibile di fronte alla musica “pirata”, dotandosi di sistemi di protezione quasi impopolari e vessatori (per i più distratti, questa battaglia contro la pirateria Jobs l’aveva già avviata con il primo computer LISA nei primi anni ‘80, che era dotata di un sistema “blindato” che impediva l’utilizzo di software pirata). Siamo tutti balzati sul futuro, e abbiamo imparato tutti, da un brand dell’Information Technology, a reinventarci il business della musica. Pensarci è incredibile, e ci porta ancora con il pensiero al fatto che questo disegno venga da lontano e sia sempre stato lo stesso: azzardato negli anni ’80, contemporaneo negli anni 2000. In fondo tutti oggi parliamo della famosa “nuvola”, della sua portata nell’information society dei prossimi anni, il Cloud Computing è la nuova frontiera. Certo che sì, ma ancora una volta non è la soluzione singola ad essere vincente, ma l’ecosistema. Parlare di “nuvola” oggi rimane incomprensibile ai più, e i più sono il mercato, sono coloro che fanno salire e scendere un titolo in borsa, sono coloro che determinano l’ascesa sul mercato globale di idee e prodotti che riescono a fare breccia. Ma questa famosa “nuvola” Apple l’aveva già inventata, trasformandola in una esperienza personal dell’utente avvolto da un sistema in grado di permearne la vita professionale e la vita privata dell’individuo digitale, mettendolo in condizione di disporre appunto di un ecosistema fatto di telefono cellulare, tavoletta e computer, completamente integrati fra di loro, perfettamente dialoganti, in grado di “trasportare” il nostro tempo libero e il nostro ufficio viaggiante ovunque volessimo con il minimo sforzo. L’ecosistema. È questo che la gente cerca quando acquista un iPad, un iPhone o un Mac. Questa è la chiave del successo di Apple degli ultimi anni, derivante, ci tengo a sottolinearlo, da un lungo percorso cominciato negli anni ’80. E che oggi arriva ad un suo ulteriore passo in avanti con iCloud, il nuovo sistema di “nuvola” annunciato da Apple, che alla fine non è altro per molti versi che quello che già esisteva, ancora più integrato ed esplicitando il termine così di voga oggi. Io sono un forte fautore dell’innovazione, ma per me l’innovazione è l’invenzione capita dalle masse e dai consumatori, perché solo quella contribuisce a una rivoluzione nella società. Il resto rimane per pochi elitari pensatori. E auspico naturalmente che Apple finalmente possa contare su molti competitors che arricchiscano lo scenario della nuova epoca digitale per il consumatore. In questa direzione va reso onore a Microsoft, che pur dovendo combattere con una sua storia di Software Company, ha cominciato a ragionare in termini di “ecosistema” chiuso creando sistemi integrati fra telefonia mobile, tablet e consolle di gioco, lavorando sul concetto di sistema chiuso e totalmente integrato (pensate che esperienza si può avere attraverso una console Xbox 360 integrata con Xbox LIVE, Windows 7 per PC e per mobile phone, con tutti i servizi di sharing, acquisto digitale, comunicazione, produttività, etc). Ma anche Microsoft era partita da lontano, ricordate il Media Center? Insomma, oggi più che mai il futuro dell’Information Technology parte da un’idea progettuale che i brand hanno perseguito nella loro storia. Se lo hanno fatto, e se hanno lavorato per raggiungere il traguardo di un “ecosistema”, potranno aspirare a diventare elemento di quotidiano del consumatore, fidelizzandolo e rendendosi tanto trasparenti da diventare indispensabili. Perché il consumatore digitale di oggi è, e sempre più sarà, alla ricerca di una esperienza totale, il pezzo di ferro amici miei è oramai storia.

FABRIZIO VAGLIASINDI

È Strategic Corporate Coordinator del gruppo Leader Spa e docente presso l’Università IULM di Milano nella Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media, nonché coordinatore scientifico del Master in Digital Entertainment. Dopo essersi laureato in Scienze dell’Informazione all’Università degli Studi di Milano, ha iniziato il suo percorso professionale nel 1986 presso la Apple Computer, dove diventa ben presto Vice Presidente e Direttore della Apple Foundation’s Multimedia Research Department. Negli stessi anni è diventato membro del comitato scientifico per Multimedia di SMAU, del Consiglio Direttivo di A.N.E.E. (associazione nazionale delle principali aziende di Information Technology) e di A.I.M. Dall’inizio degli anni ’90 ha iniziato a essere considerato un opinion leader nel campo del digital entertainment, sviluppando importanti progetti in questo campo, come ad esempio il primo lavoro multimediale su CD-Rom in Europa (Il Ballerino in collaborazione con Jovanotti e prodotto da Polygram), la prima rivista italiana su Cd-Rom (Quattroruote in collaborazione con Domus Editore), e il gioco TV interattivo Icepower Winner Adventure realizzato per Algida e Videomusic.