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Diritti Tv: sotto accusa Sky e Mediaset

Anticipazione sull’indagine Antitrust riguardante i diritti televisivi del calcio per le stagioni 2016-2018: oltre alle due emittenti, anche Lega Calcio e l’advisor Infront rischiano multe fino a 300 milioni di euro

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In attesa dell’audizione generale del 16 febbraio, il quotidiano la Repubblica anticipa i contenuti della “Comunicazione delle risultanze istruttorie”, 56 pagine di relazione (+182 documenti) che compongono l’indagine dell’Antitrust sull’asta per i diritti tv del calcio per le stagioni 2016-2018. L’indagine, portata avanti nel 2015, ipotizza un accordo restrittivo della concorrenza tra Sky e Mediaset, favorito dalla Lega Calcio di Serie A e dal suo advisor, Infront Italia.

Nella relazione, si fa riferimento ad attività di lobbying e alla messa in atto una vera e propria spartizione, un accordo finalizzato ad alterare il confronto concorrenziale in sede di partecipazione alla gara. All’epoca dell’asta, nel 2014, Sky aveva presentato la migliore offerta per i pacchetti satellite sia digitale terrestre (A e B); a seguito di una trattativa, e per garantire la spartizione dei diritti tra Sky e Mediaset (i due operatori storici), il gruppo di Rupert Murdoch si era aggiudicato il pacchetto con i diritti per il satellite, Mediaset quelli per il Dtt mentre il pacchetto D (132 partite) sarebbe stato condiviso tra le due.

L’Antitrust avrebbe recuperato una serie di mail scambiate tra Sky e Mediaset con le varie modifiche sull’accordo di sub-licenza del pacchetto D, in parte difforme rispetto a quanto comunicato a suo tempo alle autorità garanti, così come un documento in cui i due player sollevavano la Lega da eventuali difformità rispetto al contenuti delle autorizzazioni rilasciate da Agcm e Agcom. Se Antitrust dovesse alla fine decidere di multare i soggetti coinvolti, la sanzione verrebbe calcolata prendendo come riferimento il valore realizzato dall’impresa nella commercializzazione dei diritti Tv nell’anno calcistico, il 2014. La proporzione potrebbe raggiungere il 30% del valore, arrivando pertanto fino a 300 milioni di euro, cui si aggiungerebbe un ammontare supplementare tra il 15% e il 25% del valore delle vendite dei beni in oggetto (tra i 450 e i 550 milioni secondo i calcoli de la Repubblica).

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