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Lavoro

Hobby e sport che aiutano a fare carriera

Conoscenza dell’inglese, esperienze all’estero e referenze prestigiose a volte non bastano per colpire un head hunter: spesso pesano di più qualità extra-professionali, inclinazioni e persino la passione per uno sport. Perché le aziende cercano dei leader “umani” prima ancora che dei robot ipercompetenti

Dario De Gregorio, consulente nel settore delle risorse umane, selezionatore di manager e fondatore di yourCfo Consulting Group, una società che offre alle imprese servizi di finanza operativa, da giovane è stato per lungo tempo un capo scout. Per questo, quando incontra un collega che ha avuto la stessa esperienza durante l’età adolescenziale, De Gregorio ha spesso un occhio di riguardo verso di lui, almeno se si tratta di un dirigente che si candida a occupare qualche posto di responsabilità nelle imprese.«Certo, le competenze strettamente professionali vengono prima di tutto», dice il fondatore di YourCfo Consulting Group che, tuttavia, non fa mistero di guardare spesso e volentieri anche ad altre caratteristiche extra-lavorative. Si tratta appunto delle qualità umane del candidato, che quasi mai emergono dalla semplice lettura del suo curriculum vitae. Altro che conoscenza dell’inglese, esperienze all’estero, referenze di ex colleghi o relazioni importanti con altri top manager della business community internazionale. Qualche volta, a fare la differenza nel processo di selezione attuato da un head hunter (cioè un cacciatore di teste che cerca un top manager per un’azienda cliente), possono invece essere proprio le qualità extra-curriculari o extra-professionali del candidato, come il praticare o l’aver praticato certi sport, avere o meno una famiglia, dedicarsi alle attività di volontariato o coltivare qualche hobby. ULTIME NOTIZIE DAL MONDO DEL LAVORO

SOTTO PRESSIONE«Essere stato un capo scout da giovane o aver fatto lo skipper su una barca a vela in età un po’ più avanzata», dice De Gregorio, «coincide spesso con il possedere una certa personalità, una grande capacità di gestire un team o di risolvere i problemi in situazioni di emergenza». Le doti di leadership, insomma, si sviluppano a volte anche fuori dall’orario di lavoro o quando si è ancora sui banchi di scuola e all’università, non soltanto tra le quattro mura di un ufficio a carriera già iniziata.

INTERESSI E HOBBY CONTANO:

SAPER VIVERE IL PROPRIO

TEMPO LIBERO IN MODO GRATIFICANTE

È SEGNO DI UNA PERSONALITÀ

ATTIVA E BEN ORGANIZZATA

La pensa così anche Piero Silvaggio, presidente della sede italiana di Horton International, gruppo specializzato nelle attività di executive search presente in oltre 40 Paesi del mondo. «A parità di competenze, le attività extracurriculari e l’impegno familiare tendono a far assumere al manager un appeal più marcato», dice Silvaggio, «perché il saper vivere il proprio tempo libero in modo intenso e gratificante, coniugando relax e interessi, è un chiaro segnale di una personalità attiva e ben organizzata». Tra le qualità più apprezzabili in un manager-candidato, secondo Silvaggio, è inclusa non soltanto la pratica degli sport, ma anche la coltivazione degli hobby personali che, se coniugati con altre caratteristiche come l’amore per la natura o il volontariato, per un head hunter possono essere la prova di avere di fronte un individuo energico, un uomo o una donna consapevoli dell’importanza dell’impegno nella società. Anche quando non porta loro alcun vantaggio in termini economici. «Saper coltivare bene i propri gusti», dice ancora il presidente di Horton International Italy, «denota spesso la presenza di un carattere complesso ed equilibrato, abile a trovare il tempo giusto per ogni impegno e tenace nel perseguire scopi e obiettivi motivazionali».

OTTO PASSATEMPI CHE AIUTANO A FARE CARRIERA

CRESCERE SUL CAMPONon tutti i selezionatori di profili manageriali, però, sono pienamente d’accordo con Silvaggio su questo punto. È il caso per esempio di Matteo Columbo, Director di Technical Hunters, altra società specializzata nella ricerca di manager per le aziende. «Sinceramente, fatta eccezione per le discipline sportive, non credo che gli hobby personali possano essere determinanti nella scelta di un candidato», spiega Columbo, se non i situazioni particolari, legate alle caratteristiche del manager e dell’azienda che lo sta cercando. Esempio: se un’impresa produttrice di motociclette sta selezionando una nuova figura dirigenziale, a parità di requisiti professionali vedrà ovviamente con maggior favore un candidato che ha una forte passione per le due ruote, piuttosto che un suo collega completamente digiuno di motori. «Si tratta però di un plus», dice Columbo, «che non va sopravvalutato». Un po’ più importanti, secondo il Director di Technical Hunters, sono invece le esperienze sportive che un manager ha alle spalle, soprattutto se sono avvenute a livello agonistico.L’aver praticato o meno in gioventù certe discipline piuttosto che altre, infatti, secondo Columbo aiuta senz’altro a tracciare un profilo psicologico del candidato, fermo restando che le aziende guardano prima di tutto alle competenze professionali. Più o meno dello stesso parere è anche Vittorio Villa, fondatore della società di executive search Villa & Partners. «La scelta di una determinata disciplina agonistica dice molto sulla personalità di un professionista e di un manager», afferma.

HUNTER O FARMER?La pratica di uno sport estremo, per esempio, denota spesso un carattere con un’alta propensione al rischio, che magari può essere adatto a determinati settori come la finanza o per certe operazioni aziendali, come la ristrutturazione di un’impresa in forte crisi, la cui salvezza sembra ormai una “missione impossibile” anche per i manager più bravi. Diversamente, la scelta di sport di squadra coincide in molti casi con una personalità collaborativa e capace di ottenere il meglio dal proprio staff, senza operare con logiche troppo individualistiche. Ma ci sono anche altre passioni personali che, a detta di Villa, aiutano a tracciare un identikit psicologico di un manager. È il caso, per esempio, di alcune discipline come gli scacchi, in cui le prestazioni fisiche contano zero e sono invece più importanti altre doti come la capacità logica e la concentrazione mentale. Chi indirizza le proprie preferenze verso questo tipo di passatempi è spesso capace di essere anche un grande stratega nell’azienda, un dirigente in grado di studiare bene le mosse della concorrenza e delineare scenari di lungo periodo, in cui conviene far muovere il business.Gli hobby coltivati e gli sport praticati, insomma, per il fondatore della Villa&Partners aiutano il selezionatore a capire se ha di fronte un hunter o un farmer, cioè una delle due tipologie di personalità con cui vengono classificati di solito i manager, nella teoria aziendale e nel marketing. Gli hunter sono i “cacciatori”, gli sviluppatori del business che si muovono sul mercato con logiche aggressive. I farmer sono invece i “coltivatori”, cioè i manager capaci di consolidare ulteriormente sul mercato le posizioni dell’azienda, fidelizzando i clienti e rafforzando l’identità del marchio, quando il business è già maturo.

IL PESO DELLA FAMIGLIAC’è poi un altro aspetto importante, tra le qualità extra-curriculari di un dirigente d’impresa che, per i professionisti dell’executive search, rischia però di rappresentare “un campo minato”, dove si possono fare domande inopportune o elaborare giudizi affrettati e poco obiettivi. Si tratta della situazione familiare del dirigente-candidato, che può essere argomento di conversazione durante un colloquio con un head hunter. «Parlare della famiglia non è affatto un tabù», dice Columbo, «ma ci sono comunque delle domande molto personali che, per deontologia professionale, io non faccio mai al candidato, a meno che non sia lui a voler tirare fuori l’argomento spontaneamente». In linea generale, essersi sposati e aver cresciuto dei figli è una qualità extra-professionale che viene vista positivamente in un manager, almeno da certe imprese a proprietà famigliare, soprattutto quando il candidato è una donna che ha saputo conciliare alla grande la vita privata e il lavoro.Tuttavia, a volte certi candidati possono avere lo status di single o essersi separati dal partner per le più svariate ragioni, che prescindono dalla sua volontà e non possono essere oggetto di un colloquio di selezione. Una famiglia, per esempio, può essersi disgregata per motivi non imputabili allo stesso manager, ma solo per responsabilità dell’ex coniuge. Oppure, in altri casi, può accadere che un candidato abbia volutamente deciso di non sposarsi, per scelte e inclinazioni personali che, secondo Columbo, interessano e devono interessare ben poco a un head hunter. Un po’ diversa è l’opinione Silvaggio che dice: «Il legame familiare del manager, la condivisione della vita privata con una persona o un nucleo parentale tendono di solito a migliorare la performance lavorativa, perché favoriscono alcuni fattori importanti come l’organizzazione della quotidianità e l’ottimizzazione dei tempi, grazie a una costante collaborazione con il partner negli impegni domestici».

UN LEGAME FAMILIARE DI SOLITO

AIUTA IL RENDIMENTO LAVORATIVO

MA AFFRONTARE L’ARGOMENTO

PUÒ ESSERE FONTE DI IMBARAZZO

SINCERITÀ INNANZITUTTO«In realtà», sostiene invece De Gregorio, «non esiste una regola ben precisa con cui un head hunter deve trattare certi temi». Secondo il fondatore yourCfo Consulting Group, infatti, ci sono ottimi candidati che sono reticenti ad affrontare l’argomento “famiglia” e va dunque rispettato il loro sacrosanto diritto alla privacy, senza penalizzarli nel processo di selezione. Ci sono, però, anche molti altri manager che amano rendere pubblica la loro vita affettiva, persino quando hanno alle spalle divorzi o rapporti matrimoniali turbolenti. In tal caso, per De Gregorio non si vede per quale motivo un selezionatore debba rinunciare a raccogliere qualche informazione in più, visto che ha di fronte un libro aperto da cui possono trarre elementi utili per trovare la persona più adatta da collocare al posto giusto. L’importante è che il candidato risponda in maniera sincera a certe domande, perché l’aver costruito una famiglia non è sempre un plus in campo lavorativo, almeno per i manager di certi settori o che svolgono certe funzioni. Anzi, per determinati profili, come quelli del settore commerciale che trascorrono gran parte del tempo in viaggi di lavoro lontano da casa, chi ha dei figli piccoli (soprattutto nel caso delle donne) viene inevitabilmente visto dalle aziende come un candidato meno attraente, rispetto a chi è invece libero da vincoli parentali. In linea di principio questo atteggiamento non è giusto ma, alla fine, gli head hunter devono comprensibilmente attenersi alle direttive delle imprese loro clienti.

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