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Lavoro

Ancora pochi manager “digital” in Italia

La trasformazione informatica nelle aziende prevede che siano gli imprenditori stessi a promuovere un cambiamento culturale, ma mancano le competenze necessarie e una mentalità aperta verso le “best practice” degli altri Paesi

I veri portatori dell’innovazione nell’ambito delle imprese sono i manager, ma quelli preparati per abbracciare le sfide poste dall’industria 4.0 sono pochi. Così Bruno Villani, vice presidente di Aldai – Federmanager, intervistato da Il Sole 24 Ore, inquadra la questione della trasformazione digitale nelle aziende.

NUOVA CULTURA. Nell’era dell’impiego della macchine intelligenti, interconnesse e collegate ad internet, l’innovazione non interessa solo i macchinari: quel che avviene in azienda è infatti un’integrazione dei processi di produzione trasversalmente e a 360°, in ogni comparto dell’azienda. In tale contesto anche il management deve cambiare, abbracciando una nuova mentalità che guarda più alla promozione della creatività e allo sviluppo di progetti innovativi, piuttosto che privilegiando la tradizionale organizzazione delle risorse e delle strutture. Le digital skills che tale mutamento richiede, però, sono ancora poco diffuse tra i “piani alti” aziendali, dove anzi spesso si ignorano importanti distinzioni: “Molti oggi fanno confusione tra digitalizzazione ed evoluzione informatica” afferma Villani, “ma la trasformazione digitale è un cambiamento culturale che impone a tutti i processi dell’azienda di integrarsi, dal momento dell’ordine a quello della consegna”.

STRATEGIA NAZIONALE. Se l’avanzamento nella produzione è tecnologico, non bisogna dimenticare che l’integrazione deve avvenire anche, e soprattutto, con le persone. All’interno della rivoluzione digitale, quindi, il capitale umano si colloca come fattore vincente: lanciando pochi mesi fa il piano nazionale industria 4.0, il Ministero dello sviluppo economico ha voluto evidenziare la necessità di sviluppare le competenze digitali sia dei 200mila laureati che lavoreranno nel settore industriale, sia di 3mila manager che, abituati ad una cultura del lavoro diversa da quella attuale, faticano a pensare nei nuovi termini di smart working e smart manufacturing.

In questo senso la pecca del piano ministeriale, osserva il vice presidente, è di “non includere nella grande cabina di regia, insieme alle istituzioni, le università, i rappresentanti delle aziende e i sindacati, anche i manager” in quanto conoscitori dei processi e dei linguaggi dell’imprenditoria nel colloquio diretto tra università e azienda, tassello fondamentale per una comunicazione fluida ed efficace tra ciascuno di questi attori.

L’Italia rimane ancora indietro rispetto a Paesi come la Germania, forse complice la diffidenza, sostiene Villani, nel prendere da esempio ciò che all’estero funziona. Per favorire il miglioramento, Aldai – Federmanager si è proposta perciò di mappare le best practice in tutto il mondo, così da implementare quelle che più si addicono al particolare tessuto aziendale italiano, fatto di piccole e medie imprese. Perché si tratta di fare formazione, è vero, ma anche “informazione”, precisa Villani. Ne è la prova uno studio sviluppato nel 2016 dall’Osservatorio sullo smart manufacturing del Politecnico di Milano, che ha mostrato come ben un’azienda su tre non sappia cos’è l’industria 4.0: una ragione in più per continuare a parlarne con chi ne è interessato da vicino.