Jean-Claude Juncker e Angela Merkel

Rieccolo, ancora lui: lo spread. Il grande nemico dell'Italia, che portò alla caduta di Silvio Berlusconi e al governo Monti, torna a volare minaccioso sui conti pubblici del Belpaese. Ieri il ritorno sopra quota 200, oggi un piccolo calo dovuto anche ai dati in arrivo dalla Germania: la produzione industriale tedesca a dicembre è calatadel 3%, mentre le previsioni parlavano di un +0,3%. Si tratta del peggior calo dal 2009. Insomma, nemmeno a Berlino stanno tanto bene. Bastano però le parole incendiarie della Merkel su un'Europa a due velocità e la minaccia della Frexit da parte di Marine Le Pen per agitare le acque. E rendere inutili le rassicurazioni di Mario Draghi: «L'euro è irrevocabile, ci tiene uniti in tempi di chiusure nazionali» ha ricordato il n.1 della Bce.

Come si è scoperto successivamente, già ai tempi di Berlusconi ci fu la speculazione dietro l'impennata dello spread che costringe il premier a dimettersi: era il 9 novembre 2011 quando il differenziale tra Btp e Bund toccò un'irreale quota di 574 punti. L'impennata improvvisa, alla fine dei conti - e all'inizio dei Monti - ci costà 5 miliardi di euro in più. Lo spread ritornò per la prima volta dal 2010 sotto quota 100, invece, il 27 febbraio 2015 insieme con i decreti attuativi del Jobs Act (non ancora entrati in vigore). Troppe coincidenze per non vederci uno zampino esterno, visto che l'unico effetto reale è un aumento o un calo delle spese per gli interessi sul debito.

Lo spread, infatti, si forma sul mercato finanziario secondario, quindi in relazione ai titoli già in circolazione e non sulla formazione diretta del debito. Non comporta effetti immediati sulla vita delle persone, ma solo sui conti pubblici. E qui si torna sulla guerra tra l'Ue e il ministro Padoan degli ultimi giorni. La sensazione è che l'Europa chieda elezioni anticipate all'Italia, mentre sotto la lente di ingrandimento restano i conti e i 3,4 miliardi di euro da recuperare con la manovra (ma la Cgia saprebbe dove recuperarli). Non resta che sperare che questa volta l'Italia non rinunci alla propria sovranità in nome delle pressioni europee.