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Gli effetti (non solo positivi) di un mondo senza contanti

Diversi Paesi hanno iniziato a togliere dalla circolazione alcuni tagli di banconote. La motivazione ufficiale? La lotta al sommerso e alla corruzione. In realtà le implicazioni di un’eventuale scomparsa del denaro “fisico” sono enormi, e non andrebbero affatto a vantaggio dei cittadini…

Da qualche anno, nel mondo si combatte una guerra silenziosa, che non fa notizia, ha i contorni della fantapolitica da bar ma è piuttosto reale, se Stefan Hardt, alto funzionario dell’austera Banca centrale tedesca, è arrivato a parlarne come di un fatto certo. È la cosiddetta War on cash, la guerra ai contanti, il cui obiettivo è un mondo in cui l’economia sarà digitalizzata, dove tutte le transazioni avverranno tramite carta di credito o di debito, comunque per via elettronica. Un passaggio epocale che cambierà il volto del capitalismo e, quindi, della società in cui vivremo. Più che di una guerra, si tratta di un’opera di logoramento, che vive di episodi apparentemente isolati, che spesso passano sotto silenzio. Non sempre, però. In India, lo scorso novembre, il governo all’improvviso ha dichiarato fuori corso le banconote da 500 e mille rupie, i tagli più grandi, facendo così sparire la quasi totalità dell’intera massa monetaria in circolazione, misura poi annullata. Sul fronte della War on cash, l’India non è sola. L’Unione europea ha già annunciato il ritiro della banconota da 500 euro. Le banche centrali di Canada, Svezia e Inghilterra stanno invece studiando la possibilità di emettere monete virtuali. Secondo il Financial Times, la Corea del Sud punterebbe ad affrancarsi completamente da monete e bigliettoni entro il 2020. In Australia una politica anti-contante è stata annunciata dal ministro dei Servizi finanziari Kelly O’Dwyer. Molti Paesi, poi, hanno già fissato un tetto all’uso del cash negli acquisti, e l’Italia è tra questi. Infine, la De La Rue, azienda che da secoli stampa banconote per conto della Bank of England, l’anno scorso ha annunciato 430 esuberi. Insomma, senza che se ne parli molto, qualcuno sta aprendo la porta a un mondo nuovo. «Una società senza contanti non è più un’illusione, ma un’idea che può essere realizzata entro un tempo ragionevole», ha detto Michael BuskJepsen, direttore esecutivo dell’Associazione dei banchieri danesi. Ma perché il contante deve sparire? La risposta varia a seconda dei Paesi.

CONTRO LA POVERTÀIn quelli in via di sviluppo, la transizione a un’economia digitalizzata garantirebbe trasparenza, meno sprechi e corruzione e soprattutto una maggiore inclusività, cioè la possibilità per i più poveri di entrare a far parte del sistema economico, traendone le risorse per uscire dall’indigenza. Questo è l’obiettivo della Better Than Cash Alliance. Dare un’occhiata ai suoi membri, sul sito, permette di farsi un’idea di chi compone il fronte anticash: oltre a diverse agenzie dell’Onu, ci sono la Bill and Melissa Gates Foundation, la Ford Foundation, la Clinton Development Initiative, H&M, Coca-Cola, l’agenzia americana Usaid, oltre a Omidyar Network (cioè eBay, che fino al luglio 2015 controllava Paypal), Mastercard e Visa.

SENZA CHE SE NE PARLI MOLTO,

QUALCUNO STA APRENDO LA PORTA

A UN MONDO NUOVO: UN’ECONOMIA

DIGITALIZZATA, CHE CAMBIERÀ IL VOLTO

DELLA NOSTRA SOCIETÀ

La Better Than Cash Alliace non è l’unica iniziativa di questo tipo. Nel 2008, era stata fondata l’Alliance for Financial Inclusion a opera della Gates Foundation e di Omidyar Network, cioè Microsoft e Paypal. Partner dell’Afi erano Visa e Mastercard. Insomma, a spiegare che la digitalizzazione dell’economia avrebbe rotto la catena della povertà erano proprio quei colossi che più ne avrebbero tratto vantaggio. Come se il sindacato delle volpi promuovesse l’apertura dei pollai. Queste alleanze non predicano e basta ma promuovono, per esempio, l’uso del telefono per le transazioni e ricevere aiuto. La Gates Foundation ha creato un fondo per incentivare l’adozione del mobile money ad Haiti, subito dopo il terremoto del 2010. Il World Food Program dell’Onu ha messo disposizione «unconditioned mobile phone cash transfers» per la popolazione colpita dall’alluvione, nel 2014. Save the Children è intervenuta in Zimbabwe per far fronte all’emergenza umanitaria in collaborazione con TN Bank: l’obiettivo era potenziare la rete per i pagamenti digitali. Evidentemente, in pochi hanno letto un report della World Bank, il Policy Research Working Paper n°6088, secondo cui l’80% delle persone intervistate in Africa ha ammesso di non avere un conto in banca perché non ha soldi da depositare. Inutile costruire autostrade più larghe se la popolazione non ha le macchine. Un’altra caratteristica dell’intervento umanitario in questi Paesi è la promozione di carte biometriche che fungono da passaporto, carta d’identità e carta prepagata. Sono allo studio in Kenya e in Nigeria (in collaborazione con Mastercard), mentre in India da anni si lavora al programma Aadhaar, la più grande banca dati del mondo, in cui è registrato il 99% degli indiani sopra i 18 anni. Ogni cittadino viene abbinato a un codice e riceve una carta biometrica con cui fare tutto. Il progetto è stato realizzato da un’agenzia governativa indiana (Uidai) con la collaborazione del World Resources Institute, un centro studi partner di Usaid, l’agenzia americana che coordina la politica umanitaria Usa nel mondo, e ha da poco lanciato, con il ministero delle Finanze indiano, Catalyst, “partnership per una società senza contanti”.

PERCHÉ NON DOBBIAMO ABBANDONARE IL CONTANTE

LOTTA AL SOMMERSONei Paesi economicamente già maturi, la War on cash ha un’altra giustificazione: eliminando le banconote, s’infligge un colpo mortale al sommerso, al crimine organizzato e al terrorismo, che possono prosperare grazie ai contanti, i quali garantiscono transazioni anonime. Questa è una delle argomentazioni usate dal premio Nobel Kenneth Rogoff in The Curse of Cash, la maledizione del contante, il testo di riferimento di chi sostiene la digitalizzazione dell’economia. Il libro di Rogoff, ex funzionario del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale americana, la Fed, è piaciuto molto a un ex governatore della Fed, Ben Bernanke, e a Larry Summers, ex segretario del Tesoro Usa ed ex preside di Harvard, facoltà in cui Rogoff insegna. Sul Washington Post, quest’ultimo ha firmato un pezzo dal titolo chiarissimo: È ora di uccidere la banconota da cento.I tre si conoscono bene, e non solo perché hanno lavorato nelle stesse istituzioni, ma perché sono membri del Gruppo dei 30, un consesso informale poco conosciuto, che riunisce – a rotazione – le 30 personalità più importanti dell’economia mondiale. Attualmente, ne fanno parte anche i governatori delle Banche centrali di Inghilterra e Giappone, il presidente della Bce Mario Draghi, i Chairman di Credit Suisse, Morgan Chase e Ubs e il numero due della più grande società di investimenti al mondo, BlackRock. Si tratta di alcune delle istituzioni in prima fila nella lotta al contante. Sembra che a questo tavolo siedano anche alcuni degli strateghi principali di questa guerra.Ma è davvero utile l’eliminazione dei contanti nella lotta a terrorismo, criminalità organizzata ed evasione fiscale? La risposta è no, per una ragione molto semplice: viviamo già in un’economia digitalizzata. Quando le banche centrali immettono moneta nel sistema, si limitano a far apparire una cifra su un terminale, non stampano banconote. Lo stipendio che ci viene accreditato non arriva in banca sotto forma di valigetta piena di soldi. Quando una società trasferisce 800 milioni di dollari alle Cayman, spesso nella realtà non si è mosso nemmeno un biglietto da cento. Basta sapere che secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2009, nelle sole note isolette dove il segreto bancario è protetto, erano parcheggiati 18 mila miliardi di dollari. Ma di paradisi fiscali ce ne sono molti di più. Secondo Market Oracle, in quello stesso anno, sommando tutte le monete e le banconote in circolazione nel mondo, non si superava i 5 mila miliardi di dollari.

LA VERA LOTTA ALL’EVASIONE

E AI FLUSSI DI DENARO

DEI NETWORK CRIMINALI

DOVREBBE TRADURSI IN UNA

GUERRA AI PARADISI FISCALI

I paradisi fiscali non garantiscono solo una tassazione inesistente ma soprattutto la segretezza, quello che i grandi evasori, le organizzazioni terroristiche e criminali desiderano più di tutto. Questo scrive il giornalista economico britannico Nicholas Shaxson ne Le isole del tesoro: «Stati minori come il Wyoming, il Delaware e il Nevada offrono sistemi convenienti e pressoché impenetrabili di tutela del segreto aziendale in un contesto quasi privo di regolamentazione, attirando enormi volumi di capitali illeciti e persino le risorse finanziarie dei terroristi, da ogni parte del mondo». Una vera lotta al sommerso, all’evasione fiscale e ai flussi di denaro che tengono in piedi network criminali e terroristici, dovrebbe tradursi in una guerra ai paradisi fiscali e alla legislazione che consente loro di prosperare, non al contante. Ma è molto difficile che ciò avvenga quando, come spiega Shaxson, i due più grandi paradisi fiscali al mondo sono Manhattan e Londra. Senza poi contare che alcune delle banche e delle big company in prima linea per un mondo no-cash, e quindi senza evasione e sommerso, sono anche delle note profit-shifters, sposta-profitti, in confidenza con l’elusione fiscale. Tax Justice, per esempio, l’anno scorso ha accusato due colossi come Microsoft e Apple di aver finanziato alcune loro operazioni (l’acquisizione di LinkedIn e un buy back) attraverso un finanziamento che aveva come collaterale parte della propria fortuna offshore, rispettivamente 200 miliardi e 108 miliardi di dollari. Una semplice ricerca con le parole Citigroup e tax evasion spalanca il mondo. Nel 2013, un report di U.S. Public Interest Research Group ha rivelato che 82% maggiori società quotate negli Usa nascondevano al fisco qualcosa come 1.200 miliardi di dollari.

I VERI INTERESSI IN GIOCOSe la War on cash non è efficace nel quadro di una lotta per un mondo più sicuro e con una migliore distribuzione delle risorse, grazie alla fine dell’evasione, di sicuro serve ad altro, e ad altri. In un mondo senza contanti, i colossi dell’hi tech avrebbero enormi margini di ulteriore crescita. Mastercard, Visa e Paypal per esempio potrebbero imporre una commissione su ogni acquisto e i consumatori non avrebbero alternativa. Per le banche, anche la semplice eliminazione delle banconote più grandi sarebbe un affare. James Mott, analista di Ubs, istituto che ha consigliato all’Australia di disfarsi della banconota da cento dollari, sostiene che questa mossa farebbe aumentare i depositi bancari di un 4%. I governi avrebbero un controllo stringente su tutte le attività dei loro cittadini, perché ogni movimento di soldi, ogni acquisto verrebbe registrato.

IN UN MONDO SENZA CONTANTI,

SAREMMO IN BALIA

DEL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO.

NON CI SAREBBE PIÙ RISPARMIO

Ma le conseguenze più importanti e in grado di plasmare un nuovo sistema economico sono altre due. In un mondo senza contanti, non ci sarebbe più la possibilità di correre in banca e ritirare i soldi in caso di crisi finanziaria. Il cosiddetto bankrun è ciò che il sistema finanziario teme di più, come si è visto nel corso dell’ultima crisi globale, quella del 2007-2009, creatasi in un contesto in cui per banche, hedge fund, società d’investimento, banche ombra ecc. era molto facile indebitarsi e fare investimenti spericolati. Tradotto in poche parole, hanno costruito castelli di carta sempre più remunerativi e sempre più golosi, alla cui base c’era il denaro dei risparmiatori. Se questi ultimi avessero ritirato i loro soldi, ci sarebbe stato un olocausto finanziario. È per questo che i governi sono intervenuti iniettando migliaia di miliardi nel sistema: perché il panico non si diffondesse e non si arrivasse al bankrun.Il problema è che l’iniezione di risorse nel sistema si combina con un drastico abbassamento dei tassi di riferimento. E qui si arriva alla seconda ragione della War on cash, l’altro pilastro argomentativo di Rogoff. In un mondo senza denaro liquido, le banche centrali potrebbero finalmente ignorare il cosiddetto zero lower bound. Per quanto lo sembri, non è nulla di spaventoso. Significa che le banche centrali sanno che, qualora portassero i tassi sotto lo zero, i cittadini ritirerebbero i propri depositi. Lo ha spiegato William Buiter, capo degli economisti di Citigroup (che fa parte della Better Than Cash Alliance): «Se non ci fossero stati i contanti, le banche avrebbero già portato i tassi a meno 6%».Nel nuovo mondo no-cash, i risparmiatori sarebbero invece in balia del sistema bancario e di quello finanziario. In caso di tassi negativi, potrebbero solo scegliere tra il consumare a prescindere, tanto i soldi in banca non rendono, oppure se investirli, esponendosi a dei rischi. Diventeremmo consumatori a oltranza o investitori nostro malgrado. Il sistema finanziario, invece, si assicurerebbe un flusso costante di soldi, senza correre il rischio del bankrun. Un solo piccolo dettaglio: in un mondo del genere, non ci sarebbe più risparmio. Perderemmo il principale meccanismo di mobilità sociale.

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