Connettiti con noi

Business

“Incostituzionali”, salvi gli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione

La Corte costituzionale blocca il provvedimento che tagliava le buste paga di dipendenti pubblici con reddito superiore annuale superiore a 90 mila euro. Per una norma simile serve la modifica della Costituzione

architecture-alternativo

Servirà modificare la Costituzione per ridurre i maxi stipendi di magistrati e dirigenti della pubblica amministrazione. La Corte costituzionale, infatti, ha ‘stoppato’ la misura contenuta nell’ultima manovra varata dall’ultimo governo Berlusconi e che prevedeva tagli agli stipendi delle toghe dei dipendenti pubblici con un reddito superiore ai 90 mila euro. La Consulta ha dichiarato incostituzionali alcune norme del decreto legge sulla manovra economica 2011-2012 (dl del 31 maggio 2010, n. 78, convertito): norme che, secondo la Corte, ledono il principio di uguaglianza e determinano “un irragionevole effetto discriminatorio”.

I MAGISTRATI. Riguardo ai magistrati la normativa è stata annullata nella parte in cui dispone che non vengano erogati gli acconti 2011, 2012 e 2013 e il conguaglio del triennio 2010-2012. Aboliti anche i tagli all’indennità speciale (o “giudiziaria”) negli anni 2011 (15%), 2012 (25%) e 2013 (32%). La Consulta premette che per le toghe è previsto un meccanismo di adeguamento automatico dello stipendio, ogni tre anni, che il legislatore ha pensato per tutelare l’indipendenza dei magistrati anche sotto il profilo economico. Ciò non significa, afferma la Corte, che in caso di gravi congiunture economiche vi possano essere deroghe e limitazioni (è successo per la crisi del 1992), ma a certe condizioni. In particolare il “sacrificio” non deve essere “irragionevolmente esteso nel tempo, né irrazionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini”. Cosa che invece, si spiega in un’agenzia Ansa, sarebbe avvenuta in questo caso, con “una ingiustificata disparità di trattamento fra la categoria dei magistrati e quella del pubblico impiego”. Per quanto riguarda poi l’indennità “giudiziaria”, o “speciale”, la Corte ritiene che la decurtazione prevista dalla norma impugnata non sia un mero taglio di stipendio, ma un vero e proprio tributo che, ancora una volta, “introduce senza alcuna giustificazione un elemento di discriminazione soltanto ai danni della particolare categoria” dei magistrati.

PUBBLICO IMPIEGO. Considerazioni in parte analoghe valgono per la normativa in cui si prevede che, per il periodo 1 gennaio 2011-31 dicembre 2013, i trattamenti economici dei dipendenti pubblici “superiori a 90 mila euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150 mila euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150 mila euro”. Secondo la Consulta questa parte della norma è incostituzionale parché non si tratta di una mera “riduzione delle retribuzioni”, di un vero e proprio prelievo tributario, “un’imposta speciale ingiustificatamente limitata ai soli dipendenti pubblici”. E questo “viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta”. fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il quale… non può consentire deroghe al principio di uguaglianza».