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È la cultura la ricetta italiana anti-crisi

Alla filiera culturale si deve il 5,4% della ricchezza prodotta nel nostro Paese, pari a 75,5 miliardi di euro, e quasi milione e quattrocentomila posti di lavoro. I numeri del primo rapporto italiano che quantifica il peso della cultura nell’economia nazionale

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La via italiana per combattare la crisi? Passa dalla cultura. In molti lo dicono da tempo, a sostenere ora la tesi i numeri in arrivo dal primo rapporto italiano che quantifica il peso della cultura nell’economia nazionale “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, il rapporto elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere (con la collaborazione dell’assessorato alla cultura della Regione Marche.

La cultura frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 75,5 miliardi di euro, e dà lavoro a quasi un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati. Estendendo il calcolo dal sistema produttivo culturale privato anche a quello della pubblica amministrazione e del no-profit, il valore aggiunto della cultura arriva a 80,8 miliardi, pari al 5,8% dell’economia nazionale. E allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive – a tutta la “filiera della cultura, ossia ai settori attivati dalla cultura, come il turismo legato alle città d’arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15,3% del totale dell’economia nazionale. Il sistema produttivo culturale vanta infatti un moltiplicatore pari a 1,7: per ogni euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell’economia altri 1,7. In termini monetari, ciò equivale a dire che gli 80,8 miliardi di euro prodotti nel 2012 dall’intero sistema produttivo culturale, riescono ad attivarne quasi 133 miliardi, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di circa 214 miliardi di euro.

Insomma, nonostante «i sacrifici imposti dall’austerity e dalla miopia di parte della classe dirigente del Paese, la cultura – sottolinea il rapporto – dimostra ancora una volta di essere uno dei motori primari della nostra crescita». Sacrificata spesso sull’altare della riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra una capacità di reazione anticiclica migliore rispetto a quella del totale della nostra economia: confrontando la performance ottenuta dal settore cultura nel 2012 con quella del 2011, infatti, la flessione di valore aggiunto a prezzi correnti è contenuta al -0,3% rispetto al -0,8% del resto dell’economia. Tenuta e reattività superiore alla media sono ancora più evidenti per la dinamica occupazionale delle imprese culturali: rispetto al 2011 gli occupati dal sistema cultura sono cresciuti nel 2012 dello 0,5% a fronte del -0,3% del totale dell’economia. Idem dicasi considerando la variazione del numero di imprese: nel 2012, il sistema produttivo culturale ha visto crescere del 3,3% le proprie unità, mentre il resto del tessuto produttivo del Paese rimaneva sostanzialmente immobile.

Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2012 ha registrato un attivo record di 22,7 miliardi di euro. Lo scorso anno, l’export di cultura ha sfondato i 39,4 miliardi di euro, equivalenti al 10,1% del dell’export complessivo nazionale, mentre l’import del comparto si è attestato sui 16,7 miliardi di euro e costituisce il 4,4% del totale.

La quasi totalità delle esportazioni del sistema produttivo culturale proviene dalle industrie creative, settore che veicola la ricchezza dei nostri contenuti culturali attraverso l’artigianato e il made in Italy. Ad oggi, il solo settore incide per il 9,3% del totale esportazioni nazionali. In termini di dinamica, negli ultimi tre anni si è assistito a una crescita continua delle esportazioni culturali: +11,5% medio annuo nel triennio 2009-2011 e +3,4% nel 2012. Di segno opposto, invece, la dinamica delle importazioni.

Interessante anche la capacità attrattiva della cultura sul turismo: se nel 2012 la spesa turistica ha toccato i 72,2 miliardi di euro, ben 26,4 di essi sono stati attivati dalle industrie culturali. In pratica si dove alla cultura oltre un terzo della spesa turistica stimata sul territorio italiano nell’anno di riferimento.

Cosa si intende per cultura? Quattro i macro settori presi in considerazione dalla ricerca: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere).

Geografia della cultura. In testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia, ci sono quattro realtà in cui il valore del comparto supera il 6%: Lazio (prima in classifica con il 6,8%), Marche (6,4%), Lombardia e Veneto (entrambe a quota 6,3%). Seguono Piemonte e Friuli Venezia Giulia a quota 5,8%, quindi Toscana al 5,2%, il Trentino Alto Adige al 5%, l’Abruzzo al 4,7% e l’Emilia Romagna al 4,6%. Mentre per il Lazio e la Lombardia sono le industrie culturali a prevalere, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia la classifica regionale subisce quale variazione: il Veneto è in testa a quota 7,1%, seguito da Marche (7%), Friuli Venezia Giulia (6,4%), Lombardia, Lazio e Toscana (tutte a 6,3%), Piemonte (6%), Valle d’Aosta (5,8%).