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Cibo, auto e macchinari: export italiano indietro nei mercati emergenti

Un report Unicredit sottolinea il potenziale nelle aree in via di sviluppo, ben presidiati da altre economie occidentali come Francia e Germania, che – anche nel food – danno lezioni al nostro Paese

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Sulla qualità non si discute, ma sulla capacità di esportare i propri prodotti all’estero, l’Italia ha ancora molta strada da fare. È quanto si afferma, in breve, in un report di Unicredit che riflette i possibili scenari del dopo Brexit nelle scelte delle imprese, con i Paesi emergenti che, nonostante il rallentamento, potrebbero tornare un mercato di riferimento per l’export. Paesi come Brasile, la Russia (sanzioni permettendo) e la Cina saranno un terreno fertile per le aziende esportatrici occidentali, in particolare per i beni di consumo. Già oggi, si sottolinea in un articolo de la Repubblica che riprende il report dell’istituto finanziario, i mercati emergenti valgono circa il 40% dell’import globale. Sarà la Cina il maggior mercato per tutti i segmenti presi in esame da Unicredit (auto, macchinari, cibo, abbigliamento, mobili e servizi) , con una previsione di crescita che proseguirà – a essere pessimisti – nei prossimi cinque anni. Dietro la Cina, sono molto appetibili anche la Russia e Messico, seguiti dall’India e da alcuni Paesi dell’Africa, come l’Etiopia, preferita al Sud Africa.

ITALIA INDIETRO. Il problema è che l’Italia – che si difende bene nel comparto mobili e abbigliamento – deve migliorare la capacità di penetrazione nei mercati asiatici in industrie quali “cibo e bevande, “automobili” e “macchinari”. Per dare alcuni numeri, basti pensare che la quota di automobili tedesche in Cina è pari al 27,2% mentre quelle inglesi è del 14,7; il made in Italy dell’auto, invece, si ferma solo all’1,1% del mercato. Stesso discorso per i macchinari: l’Italia ha un buon posizionamento in Indonesia, Vietnam e Thailandia, ma deve rafforzarsi in mercati chiave come India e Cina (qui la quota di mercato è ferma al 3,5%, contro il 18% della Germania). Infine la nota più dolente: anche nel cibo, in quanto a export, prendiamo lezioni da Germania e Francia.

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