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Caccia al risparmio per i buoni pasto: sistema vicino alla rivolta

La battaglia è quella per l’appalto Eni (40mila dipendenti), ma dietro si combatte una guerra. Da una parte le imprese che puntano al risparmio, dall’altra le associazioni Anseb e Fipe che cercano di far passare la formula “dell’offerta più vantaggiosa”. In mezzo un mondo caratterizzato da tassazione elevata, ritardi nei rimborsi e l’ombra del riciclo di denaro…

È un mercato che, quotidianamente, coinvolge 2,5 milioni di lavoratori tra settore pubblico (600.000) e privato (1,6 milioni) e viene stimato in 2,5 miliardi di euro. Per questo fa gola a diverse società (come il market leader Edenred, Day, Ristomat, Sodexo e BuonChef) che cercano di accaparrarsi fette di mercato con contratti a sei zeri, con offerte sempre più vantaggiose per le aziende. Ma si tratta di una continua corsa al ribasso che penalizza la qualità dell’offerta a favore di un risparmio che avvantaggia solo le imprese. Per questo motivo le associazioni Anseb (società emettitrici buoni pasto) e la Fipe (esercenti) sono sul piede di guerra e, dopo essersi rivolte all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, minacciano la rivolta del sistema. Al momento la battaglia si combatte sulla gara d’appalto indetta da Eni (in Italia circa 38mila dipendenti) che, secondo l’Anseb, avrebbe impostato al “massimo ribasso” lo svolgimento del bando “per assegnare un lotto stimabile a dire poco in 8 milioni di euro all’anno”. I toni fra Eni e le due associazioni sono sempre più accesi. Dal Fipe si fa intendere che nel caso il cane a sei zampe dovesse procedere con quel tipo di bando, “i suoi dipendenti troveranno difficoltà a spendere un buono pasto” anche perché “quello stesso buono pasto per l’esercente varrà molto meno del valore indicato sopra”. Un incontro tra Eni e le due associazioni – come riporta il Corriere della Sera – si dovrebbe tenere entro metà maggio. L’obiettivo è evitare quel ribasso sugli appalti di circa il 16-20% che rischia di pesare sugli esercenti, già costretti a una tassazione sul buono di circa il 10% (in Francia si paga una commissione del 3%) e a lunghe attese prima di riscuotere dallo Stato il denaro per il tagliando accettato alla cassa. “La realtà – sostiene Lino Stoppani, presidente Fipe – è che nella gara col massimo ribasso a rimetterci saranno proprio gli esercenti che vedranno traslato lo sconto maggiore in una commissione più alta che sarà dovuta sui loro incassi da buono pasto”. Quello appena descritto è un sistema che, scrive il quotidiano, non “può andare avanti a lungo” e nel quale “cova la ribellione”. È anche vero, però, che è difficile portare alla protesta collettiva diversi esercenti (bar, tabaccherie, ma anche supermercati) che accettando il buono pasto hanno ‘fidelizzato’ il cliente e che, in caso di protesta, rischierebbero di perdere buona parte dei ‘clienti del mezzogiorno’. Così, però, non si può andare avanti e il Fipe sta cercando di coinvolgere anche i dipendenti. “Cgil-Cisl e Uil dovrebbero stare dalla nostra parte – dice Stoppani – In fondo hanno contrattato un buono di 5 euro e invece i loro datori di lavoro, che hanno già risparmiato non attrezzando la mensa, ora vogliono spendere ancora meno ma così fanno correre a tutti grandi rischi”. Fra i rischi paventati nella corsa al ribasso c’è, soprattutto, quello relativo al riciclo di denaro: “manovre oscure” – scrive il Corriere – fatte da certe società che prendono contratti con sconti incredibili perché non si interessano al business in quanto tale ma solo a riciclare denaro.Ma come si fa a frenare le aziende che puntano all’ottimizzazione dei costi e al risparmio? L’ipotesi avanzata dall’Anseb suggerisce che le gare vengano assegnate non al massimo ribasso ma con la formula “dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, che possa comprendere oltre al prezzo anche la qualità del servizio e quindi non costringa gli esercenti a risparmiare sulle materie prime pur di guadagnare.