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Backshoring, 90 aziende tornano in Italia. Ma sono solo i grandi del lusso

Migliore qualità e costi crescenti in Cina: così il made in Italy lo ridiventa al 100%. Protagonisti i big della moda

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A volte ritornano: sono 90 le aziende italiane che hanno riportato la produzione in Italia. Ma attenzione, il processo non è per tutti: senza incentivi come negli Usa o nel Regno Unito, solo le grandi imprese del lusso possono permettersi il viaggio all’indietro dal mondo della delocalizzazione.

A dirlo è il rapporto Back to Italy di Pambianco, presentato nel proprio convegno annuale quest’anno sponsorizzato da Deutsche Bank: «Negli ultimi sei anni circa 90 aziende italiane hanno riportato la produzione in Italia», ha messo in evidenza Flavio Valeri, Chief Country Officer per l’Italia dell’istituto di credito.

«Se si parla di lusso e di grandi gruppi noti a livello mondiale, senz’altro è in atto un ritorno della produzione in Italia», aggiunge David Pambianco, vicepresidente di Pambianco Strategie d’Impresa e direttore della rivista Pambianconews, «più correttamente bisognerebbe parlare di un mix tra il “backshoring”, cioè il rientro della produzione prima delocalizzata, e di aumento della produzione da parte di aziende che erano già presenti».

Da Prada (2 mila assunzioni e quattro nuovi stabilimenti) a Tod’s (un nuovo impianto) fino a Zegna (107 milioni di investimenti tricolori) e Ferragamo, i nomi sono quelli “noti” del mondo della moda. E i prossimi saranno Bottega Veneta, Marcolin e Stefano Ricci.

E anche gli stranieri puntano sempre più in Italia: lo studio di Pambianco ha analizzato un campione di 12 aziende produttive in Italia acquistate da stranieri e ha scoperto che il loro fatturato è cresciuto del 134% negli ultimi sette anni.

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Rotta verso l'Italia © Getty Images