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A caccia del fondo perduto

Nonostante, per certi versi, abbia fatto di tutto per non meritarseli, grazie alla programmazione 2014-2020, l’Italia avrà a disposizione 100 miliardi di euro per promuovere l’economia e l’impresa. Per non perdere (di nuovo) il treno, questa volta alle pmi conviene puntare sulle progettualità ispirate da Bruxelles. Ecco chi può aiutarle a fare sistema

Se l’Italia avesse le mani, sarebbero rosse, gonfie e doloranti. Con tutte le bacchettate che ci siamo presi dall’Unione europea per il mancato utilizzo dei fondi destinati allo sviluppo economico del nostro Paese (o peggio per il modo in cui in molti casi sono stati sprecati), ci sarebbe quasi da stupirsi nel sapere che per la programmazione 2014-2020 ci sono stati riservati tra fondi strutturali e aiuti allo sviluppo ancora circa 100 miliardi di euro. Ce li meritiamo? Viene male a pensare che nei migliori dei casi nel 2013 le regioni tricolore abbiano sfruttato solo il 40% del denaro messo a disposizione, quando migliaia di attività lungo tutta la Penisola hanno dovuto chiudere i battenti. «Ho chiesto alle autorità nazionali e regionali uno sforzo straordinario per rimettere in circolo le risorse non impegnate della programmazione 2007-2013. Serve un centro di coordinamento nazionale per convogliare queste risorse su capitale umano, scuola e pochi grandi progetti. Inoltre non è necessario ridurre i trasferimenti dallo Stato per i servizi fondamentali, ma istituire un controllo più efficace», ha dichiarato Carlo Trigilia, titolare del dicastero per la Coesione territoriale. Non ci resta che sperare di aver imparato la lezione, e che stavolta la fame – vera – che ha l’intero sistema fiaccato dalla crisi, con la regia della pubblica amministrazione e attraverso lo snellimento delle pratiche burocratiche che dovrebbe comportare l’introduzione dell’Agenzia per la Coesione territoriale, pungoli la leggendaria creatività italica e stimoli pure i centri di ricerca e le università a entrare real-mente e fattivamente nella partita.

BENVENUTA AGENZIA PER LA COESIONE TERRITORIALE…

È stata istituita a fine agosto dal Consiglio dei ministri, nel quadro del decreto legge sulla Pubblica amministrazione, dovrebbe essere costituita materialmente a gennaio 2014 e intende porsi come una cabina di regia nazionale per la gestione dei fondi comunitari. L’obiettivo? Evitare gli sprechi e indirizzare le risorse tra le varie regioni per stimolare i settori strategici. La domanda sorge spontanea: la nuova Agenzia per la Coesione territoriale non rischia di diventare un ulteriore aggravio burocratico sui già complessi iter che le aziende devono affrontare? Gli addetti ai lavori non sembrano così pessimisti. «Al contrario, noi auspichiamo un meccanismo di coordinamento», dice Silvana Ballotta di Business Strategies. «C’è bisogno di un regolatore che colleghi tutti gli operatori del settore, soprattutto a livello regionale. Non temo complicazioni, anche se molto dipenderà da come verrà realizzata e gestita». Pure per Francesco Iervolino (AlmaEuropa) l’istituzione dell’Agenzia è una buona notizia. «Anche perché ultimamente il Miur e il Mise stanno dando importanti segnali di operatività. C’è in generale un effettivo snellimento delle procedure burocratiche. Per quanto mi riguarda il vero problema nazionale riguarda la mancanza di strategia e di un approccio strutturato nell’accesso ai fondi, figlia di una politica troppo assistenzialista. Ma le cose per fortuna stanno cambiando». Più prudente invece il punto di vista di Gian Luca Covino di Elpron: «In Italia il vero problema è la fascia intermedia dei gestori dei fondi, soprattutto pubblici, che il più delle volte penalizzano il mondo delle imprese non avendo una conoscenza né operativa né comunicativa con le stesse aziende. Quindi se l’Agenzia riuscisse a intervenire su tale inefficienza sarebbe la benvenuta».

UN NUOVO PARADIGMA

Certo, l’accesso ai fondi comunitari, siano essi per l’innovazione piuttosto che per la promozione o ancora per il sostegno finanziario all’impresa, implica un profondo cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni. Prima di tutto – sembra scontato dirlo ma non lo è – l’adozione della lingua inglese da parte delle pmi: spesso i bandi non sono disponibili in italiano, e capire cosa chiedono e offrono le istituzioni comunitarie è il primo passo per costruire un progetto coerente. In secondo luogo occorre cominciare a introdurre un altro tema spesso ostico per l’azienda italiana: la pianificazione, meglio se pluriennale. Infine, si fa sempre più indispensabile il ricorso al partenariato. Con altre aziende – e non necessariamente dello stesso territorio – con i già citati atenei e anche con gli enti pubblici locali. Insomma, c’è da scorciarsi le maniche ancor prima di cominciare a lavorare sul serio.

LARGO AI PROFESSIONISTI

Per aiutare le aziende a gestire questa complessità sono nate diverse agenzie e network di professionisti ultra specializzati, che hanno come obiettivo quello di diventare parte integrante nel processo di aggregazione e indirizzamento delle risorse e delle capacità imprenditoriali italiane. Elpron (Economic and legal professional network), per esempio, opera a livello nazionale e integra le competenze di professionalità che vanno dal commercialista agli avvocati, dagli esperti di finanza agli ingegneri, passando per certificatori e tecnici dell’internazionalizzazione. Le aree di maggiore intervento nei confronti delle imprese, con focus su quelle che generano fatturati non superiori ai cinque milioni di euro, sono la consulenza e l’assistenza negli investimenti produttivi delle aziende e delle start up innovative, l’internazionalizzazione e soprattutto, visto quanto dettato dalla spirito del tempo, il soccorso alle imprese in crisi e che possono utilizzare un numero significativo di strumenti finanziari regionali, nazionali e comunitari. «Di fatto sta succedendo che in mancanza di liquidità, e in assenza di un ruolo incisivo da parte delle banche nel settore del credito, il ruolo maggiore lo svolgano proprio i sistemi di garanzia pubblici che garantiscono, o co-garantiscono, mediamente fra il 50 e l’80% del finanziamento richiesto», spiega a Business People Gian Luca Covino, titolare dell’omonimo studio commerciale e tributario coordinatore del network. «Qualche dato? Attualmente esistono ben 132 strumenti finanziari nel settore in esame, di cui due di origine europea, 22 di origine comunitaria ma gestiti dagli enti Regione, 87 di estrazione esclusivamente regionale, 11 di estrazione nazionale. A questi vanno aggiunti alcuni fondi strutturali di settore (come quello dell’energia) e cinque di convenzioni di misure speciali crediti e garanzie. Non sempre le imprese sono in grado di ottimizzare tali opportunità, tenendo presente che la finanza deve rivolgersi contemporaneamente al recupero dell’azienda in crisi e al rilancio della stessa sui mercati nazionali ed esteri».

PAROLA D’ORDINE: AGGREGAZIONE

Altra impostazione è quella di AlmaEuropa, agenzia con sede ad Altamura (Ba) che ha da poco aperto un distaccamento a Milano per seguire più da vicino i partner nel Nord Italia. «Abbiamo maturato il nostro sistema di gestione delle progettualità direttamente sul campo, nel corso di due anni di attività», dice Francesco Iervolino, fondatore insieme con Giuseppe Luca Moliterni dell’azienda di servizi. «L’obiettivo è legare imprese di un settore o anche di settori differenti attorno a progettualità da sviluppare con finanziamenti a fondo perduto, in partnership con enti pubblici e gruppi di ricerca, che possono intervenire a vari livelli offrendo skill e competenze che le pmi spesso non possono permettersi al proprio interno». AlmaEuropa ha per esempio appena vinto un bando del Miur (il ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca) relativo allo sviluppo di tecnologie legate al digitale e alla realtà a impatto aumentato per la promozione dei beni culturali: «La dieta mediterranea è stata ammessa nel 2010 tra i patrimoni mondiali dell’Unesco in qualità di bene culturale immateriale, e noi abbiamo avviato un progetto per la creazione di itinerari tematici. Grazie a un partenariato con l’università di Foggia, è possibile valutare l’impatto economico dell’iniziativa sul territorio, mentre una start-up con sede ad Altamura svilupperà soluzioni software per l’implementazione digitale: musei e itinerari virtuali, che come il Mav di Ercolano, ricreeranno gli ambienti sui display elettronici. È stato infine coinvolto un tour operator, un’azienda locale specializzata nella creazione di pacchetti ad hoc, che si occuperà di organizzare l’offerta turistica “reale”». Per questo progetto, AlmaEuropa e i suoi partner hanno previsto un budget di 800 mila euro, coperti per il 65% da contributi a fondo perduto provenienti dall’Ue. «La quota restante viene apportata con mezzi propri. Ma attenzione: molti fondi gestiti dal Miur permettono il cofinanziamento dei partecipanti tramite il lavoro dei propri dipendenti. E così l’esborso finale per le imprese si abbatte di un ulteriore 25%».

ANCHE IL LUSSO VUOLE LA SUA PARTE

Business Strategies è invece una realtà fiorentina alla cui testa c’è Silvana Ballotta, che dopo aver lavorato per anni a stretto contatto con la Banca mondiale in progetti di finanziamento per l’internazionalizzazione delle imprese, ha messo la propria expertise al servizio delle pmi di settori che fino a non troppo tempo fa non avevano bisogno di sostegni comunitari, l’enologia e la gioielleria: «Però non ci limitiamo ad aiutare le imprese ad accedere a questi strumenti», spiega Ballotta. «Grazie ai fondi per la promozione, le aziende vinicole ottengono per esempio risorse per sviluppare i propri brand in Cina, Russia e America, ma poi una volta lì si accorgono che non basta raggiungere quei mercati, servono competenze in materia doganale, know how per la costruzione di network e per il posizionamento del prodotto in contesti che hanno regole e culture differenti. Una serie di operazioni che viene interfacciata da noi, anche quando si tratta di costruire cordate con imprese provenienti da altri territori, ma che hanno interessi comuni nella promozione all’estero». Il lavoro delle agenzie come Business Strategies è previsto dal legislatore europeo, ed è remunerato all’interno del progetto stesso, con fee variabili da caso a caso. I contributi a fondo perduto possono coprire il 50% di progetti il cui valore può oscillare da 30 mila a diversi milioni di euro. Tra i clienti di Ballotta ci sono per esempio Le Famiglie del vino, un consorzio di cantine capeggiato da Società Marco Felluga di Capriva del Friuli (Go). «Sono stati tra i primi a presentare un progetto nazionale per andare in America e rafforzare con attività di promozione i rapporti con importatori e clienti». Da quanto risulta a Business People, il consorzio ha investito in tre anni tre milioni di euro, finanziati al 50% dai fondi europei. «In un momento di grossa crisi anche per il vino italiano, sono riusciti a spostare parte dei ricavi sul mercato americano, dove il consolidamento è ancora in corso». Ancora con l’aiuto di Business Strategies e di 300 mila euro all’anno, Casanova di Neri si è presentato invece come capogruppo di quattro vini Brunello alla conquista del mercato cinese, puntando non tanto sui singoli brand, ma sul valore aggiunto del prodotto, che nel Celeste impero è stato posizionato su una fascia medio-alta grazie all’organizzazione di eventi realizzati in insieme a marchi del luxury e della moda. Sempre per rimanere nell’ambito del lusso, un’altra case history che vale la pena citare è quella di Ponte Vecchio, illustre esponente dell’alta gioielleria fiorentina che ha dovuto fare i conti col rapido mutamento della situazione economica. «Grazie ai fondi per la promozione destinati al settore manifatturiero, Ponte Vecchio è riuscita a rafforzare il mercato americano, rispetto al quale, negli ultimi anni, aveva perso terreno», conclude Ballotta. «Gli investimenti per la partecipazione alle fiere di settore e le missioni per la creazione di nuove relazioni hanno dato i loro frutti, e ora l’azienda sta chiudendo un importante contratto di distribuzione che porterà alla nascita di nuove showroom in alcune città americane».

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In Puglia il patrimonio architettonico (qui la facciata di Santa Croce, a Lecce), ma anche gastronomico e artigianale verrà valorizzato grazie a un piano di marketing territoriale legato alla promozione della dieta mediterranea come bene culturale dell’Unesco. Un progetto da 800 mila euro finanziato dai fondi europei